Di Giovanni Raimondo
Prendersi un caffè, è diventato un momento di relax, di una chiacchiera con un’amica, un momento di dibattito politico ecc. Insomma ti dà un momento di riposo, divertimento e di dibattito, interloquendo con le persone che frequentano quel posto. La pianta di caffè è originaria dell’Etiopia, però trova il luogo di coltivazione nello Yemen, che da lì si diffuse in Arabia e Turchia, in cui iniziarono a nascere i primi locali di caffè, tra il cui il primo locale di caffè fu aperto a Costantinopoli nel 1554. Il commercio rimase per lungo tempo in mano agli arabi, tanto che ne proibirono l’esportazione, perchè gelosi. In queste regioni arabe, dove la maggioranza era musulmana veniva vietato l’alcool, in quanto contrario agli insegnamenti del Corano, invece il caffè venne considerato eccellente stimolante delle facoltà intellettive, doti di coraggio, nemico del sonno e un buon afrodisiaco. Nel Seicento, i chicchi neri dell’arabo “qahwa”, partendo dalla Turchia, giunsero in Europa, a bordo delle navi dei mercanti veneziani approdando a Trieste, porto dell’Impero Austriaco, diffondendosi a Venezia dove la parola “Kahve” fu italianizzata in “caffè”. Ma la città che ne fece un proprio prodotto fu Vienna. Qui si diede vita ai numerosissimi locali alla fine del XVII secolo, chiamati “Kaffeehaus”. Il caffè fu portato dal pascià Kara Mahmud nel 1665, un ambasciatore turco che arrivò a seguito di 300 persone alla corte di Leopoldo I, con lo scopo di impressionare i viennesi. Portò con sè, stalloni arabi, cammelli, due addetti alla preparazione del caffè di nome Mehmed e Ibrahim, e una scorta di semi di caffè. Si sa per certo che lavoravano sodo durante il loro soggiorno, consumando molta legna, che serviva a disporre sempre caffè fresco. Il caffè attecchì in città e nel 1666, alla partenza dell’ambasciatore turco, è attestato che una compagnia orientale, commerciasse privatamente caffè dal 1667 al 1683, anno dell’invasione turca a Vienna. Il racconto ufficiale racconta tutt’altro però, perchè si fa coincidere l’arrivo del caffè a Vienna, all’assedio turco, il quale fa un’impresa memorabile a cui capo ci fu Kara Mustafà a seguito di 300.000 guarnigioni turche. La città fu assediata da circa 25.000 tende turche e Kara, pronto per un lungo assedio, mandò truppe nei territori circostanti mentre il genio militare islamico scavava gallerie sotto le mira per farle esplodere. La situazione era diventata molto grave, e a questo punto i viennesi, isolati, decisero di mandare un esploratore ad oltrepassare le linee nemiche, per avvertire gli alleati a non ritardare l’attacco. Le truppe cristiane, guidate dal re di Polonia, Giovanni II Sobieski e dal duca Carlo di Lorena, si presentarono sul campo di battaglia, cogliendoli di sorpresa, costringendoli alla ritirata in fretta su per il Danubio. I viennesi amano ricordare questo evento ma soprattutto ricordano Kolschitzky, che con la sua conoscenza della lingua e costumi turchi, aiutò i viennesi, fornendo le disposizioni delle truppe nemiche. Altro fattore importante che decise la vittoria sui turchi, furono i fornai, che siccome lavoravano di notte, si accorsero del tentativo d’attacco turco, dando l’allarme. Il re polacco, per celebrare la vittoria della Cristianità, ordinò ai fornai di inventare un dolce che ricordasse a questo evento e fu proprio Peter Wendler, a creare il famoso cornetto “kipferl”( in italiano “mezzaluna”), un panetto a forma di simbolo della bandiera turca, da divorare metaforicamente. I viennesi chiesero a Kolschitzky, che ricompensa voleva avere, e lui astutamente chiese di avere i sacchi di foraggio per cammelli abbandonati dai turchi in ritirata, insieme alle armi, le armature, le tende ed altri accessori di guerra, venendo accontentato. Il foraggio per cammelli, come lui sapeva, erano in realtà circa 500 libbre di verdi bacche di caffè, che aveva imparato a tostare, macinare e bollire, nei suoi viaggi in Oriente. Dovette penare parecchio, per avere una licenza per esercitate il commercio in una città che era strettamente sotto rigido controllo amministrativo. Mentre rivolgeva petizioni alle autorità austriache per avere la licenza di commerciare il caffè, apri a Vienna il primo locale di caffè chiamato “Zur blauen Flasche”, utilizzando la merce che i turchi avevano abbandonato nei loro accampamenti, però incontrò un mercato limitato, quindi escogitò di usare lo zucchero e latte per mitigare la densità e il gusto amaro della bevanda, riscontrando una grande popolarità che mantiene ancora tutt’ora. Nel 1685 non venne consegnata a lui ma a Johannes Diodato, un armeno residente a Vienna, che serviva da tempo, il caffè senza alcuna autorizzazione, al quale Leopoldo I, gli concesse il monopolio reale per circa 20 anni, facendo diventare Vienna, il trampolino di lancia per la cultura del caffè, ma anche come vedremo in seguito, un punto culturale con Napoli, attraverso il quale passerà “l’oro nero”. A Napoli, il culto del caffè arriva con Maria Carolina d’Asbrugo, divenuta moglie di Ferdinando IV di Borbone, che con non poca ostinazione, radicò il caffè. A Napoli, già da tempo si conosceva la bevanda come testimonia Antonio Latini nel suo trattato di cucina “La scala moderna”, che cita il caffè come rimedio per i convalescenti, e Lady Anne Miller nel 1771, descrive un ballo di corte nella Reggia di Caserta, dove nacque forse il primo caffè del Regno di Napoli, servito dai baristi con berretti e giacche bianche dietro a delle tavole. Nel 1819, a Napoli, ci fu l’invenzione della caffettiera “cuccumella”, nel quale si rivoluziona la preparazione del caffè, infatti fu inventato un sistema a doppio filtro, che alternava il metodo di decozione alla turca, a quello di infusione alla veneziana. Nel 1884, un imprenditore di nome Angelo Moriondo, a Torino, resosi conto che la società stava cambiando, in occasione della Expò Generale di Torino, presentò la prima macchina per il caffè espresso, in cui ricevette la medaglia di bronzo. Con l’arrivo di Maria Carolina, oltre al caffè, arrivò anche il “kipferl”, italianizzato in cornetto e nel 1898, un imprenditore viennese, inventò a Napoli, con delle nocciole pregiate vesuviane insieme al cioccolato il “Manner Original Neapolitan Wafer n° 239”, il famoso Wafer Neapolitaner. Con l’arrivo della Moka, Napoli già maestra abile nel fare il caffè espresso, creò un altro tipo di preparazione , che consiste nella miscela e nella sua particolare tostatura, che le conferisce una più scura colorazione, rispetto alle altre regioni italiane e straniere. E prestata una precisa e accurata attenzione nella torrefazione. La tostatura, dopo qualche giorno di riposo, esalta gli oli essenziali contribuendo ad una migliore estrazione degli aromi. Tutta questa complessa lavorazione, unita alla maestria nelle manovre alle macchine per espresso, conferisce al caffè di Napoli, un caratteristico e ottimale gusto. Inoltre un altro vantaggio a favore del caffè di Napoli è l’estrazione di caffeina che è correlata al tempo di esposizione dell’acqua calda, è minima. A dispetto di molti, che dicono il contrario, il caffè ristretto è molto più salutare di quello lungo. L’unico caffè che si può affiancare a quello di Napoli, è quello di Trieste, perché è liturgico, ma nonostante tutto non conserva in sè, peculiarità caratteristiche di tostatura di quella di Napoli. Intorno al caffè ruotano tanti miti, leggende, storie e testimonianze. Un rito che è nato a Napoli, durante la guerra, è il caffè sospeso. Il caffè sospeso è un abitudine filantropica e solidale in cui le persone che frequentano i bar, pagano un caffè a beneficio di uno sconosciuto che ne fa richiesta. E una lezione di dignità e umanità che si è diffusa in tutto il mondo. A Napoli è di regola berlo con le quattro C ovvero le iniziali della frase “comme coce chisto cafè”. Di storie sul caffè, ce ne sono parecchie tra cui 4 molto curiose che riguardano Luigi XVI, Papa Clemente VII, Gustavo III e il governatore della Mecca.
Luigi XIV, capita l’importanza a livello economico che fruttava, emise delle tasse sul caffè, dal quale riuscì a finanziare alcune imprese. Papa Clemente VII, volle assolutamente bandire “la bevanda del diavolo” perchè considerata oggetto di perdizione, ma quella certezza di bandirla, fu presto sostituita dal dubbio, quindi il Papa la volle assaggiare e ne rimase talmente folgorato e entusiasta da battezzarla “bevanda cristiana”. Gustavo III ,Re di Svezia, condannò due lestofanti, accusati di omicidio, a far bere uno il caffè e l’altro il tè, forse per dimostrare che il caffè era veleno o per diramare la superiorità del caffè, ma fu assassinato prima che uno dei due prigionieri morisse. Si dimostrò comunque che quello che bevve il tè, visse fino a 83 anni, invece quello che bevve il caffè visse fino a 100 anni. Il governatore della Mecca, nella convinzione che il caffè portava il popolo alla ribellione, tentò di impedirne l’uso, ma la popolazione reagì in modo aspro e violento, che il divieto fu abrogato immediatamente.
I kaffeaus di Napoli erano diventati centri culturali di rilievo del Settecento, raggiungendo nell’Ottocento, la massima espressione, visto l’apertura di tanti locali in via Toledo, come per esempio il “Caffè Trinacria” dove si recava gente del calibro come Giacomo Leopardi e Antonio Ranieri. Per quanto riguarda le testimonianze sul caffè ce ne sono davvero tante tra cui quella che diede un viaggiatore Pietro della Valla: “Hanno i Turchi un’altra bevanda di color nero, e la state sifa rinfrescativa e l’inverno al contrario; però è sempre la stessa e si bee calda, che scotti, succhiandola a poco a poco, non a pasto ma fuor di pasto per delizia e per trattenimento, quando si sta in conversazione; né mai si farà di loro radunanza alcuna dove non se ne beva, stando sempre perciò preparato un buon fuoco, con molte scodelline di porcellana piena di questa robba”.
Infine il caffè è diventato l’ispirazione di molti comici italiani tra cui ricordiamo Eduardo De Filippo e Totò.
Giuseppe
12 Dicembre 2017Bravooooooo Johnnyyy