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L’affaire Dreyfus

All’inizio pareva tutto chiaro e cristallino: una spia era stata arresta e condannata al carcere niente di più e niente di meno; a un  certo punto però iniziarono i dubbi e, come una valanga che cresce d’intensità metro dopo metro, la vicenda si accese fino al punto che tutto in Francia dall’onore dell’esercito fino alla sopravvivenza delle istituzioni repubblicane parve legarsi al destino di un solo uomo: il capitano d’artiglieria Alfred Dreyfus.

Nella Francia di fine ottocento, nonostante siano passati già più di venti anni dalla fine della guerra con la Prussia, il fantasma di Sedan è più vivo che mai e l’amputazione dell’Alsazia-Lorena è ancora sentita come un lutto nazionale. In un paese dove l’assetto repubblicano deve fare ancora i conti con ritorni di fiamma monarchici l’esercito è l’unica istituzione attorno alla quale tutti i cittadini si stringono perché sarà questo che, un giorno, guiderà la revanche contro il nemico tedesco marciando con i suoi pantaloni rossi alla riconquista delle due province perdute. Queste breve abbozzo della Francia di quegli anni serve per inquadrare subito i due aspetti che, insieme all’antisemitismo, condizioneranno di più l’andamento dell’affaire: l’instabilità istituzionale del paese e il prestigio dell’esercito da difendere a qualsiasi costo. Bisogna infatti entrare sin da subito nell’ordine di idee che, quando il caso Dreyfus divenne l’affaire, il destino umano del capitano d’artiglieria divenne solo uno degli elementi, per alcuni neanche il più importante, di una vicenda che coinvolgeva la politica e, per certi aspetti, anche la fede religiosa dei singoli.

Tutto a inizio da quello che sarebbe passato alla storia come il bordereau, un documento consegnato la sera del 24 settembre 1894 al maggiore Joseph Henry del servizio informazioni militari, o ufficio statistica (il controspionaggio militare), da una sua informatrice: Marie Bastien. La Bastien svolge le pulizie nell’appartamento dell’addetto militare tedesco Von Schwartzkoppen, ma, da tempo, invece di bruciare le carte che trova nel cestino dell’ufficio del padrone di casa le raccoglie e le consegna al maggiore Hanry dietro pagamento di qualche franco e l’orgoglio di stare servendo il proprio paese. Non appena il messaggio viene ricostruito (era infatti stato fatto a brandelli) si capisce subito che si tratta di informazioni militari dettagliate (dettagli sui pezzi d’artiglieria, sulle truppe di copertura e sul Madagascar) che possono essere state fornite ai tedeschi solo da un ufficiale. Subito iniziano le indagine per scoprire la spia e vengono informati della cosa il capo di stato maggiore De Boisdeffre e il ministro della guerra Generale Mercier il quale ne è entusiasta perché, da tempo ai ferri corti con la destra (con destra da ora in poi intenderò lo schieramento che va dai nazionalisti che vogliono un governo militare,  ai monarchici fino ai cattolici integralisti), crede che trovare il traditore sarà per lui un gigantesco viatico politico. Come si può vedere la vicenda si intrecciò sin da subito con interessi di natura politica che andarono a influire sulla serenità di chi si occupava dell’inchiesta. Il nome di Dreyfus viene fuori al termine di un breve procedimento di esclusione: in primo luogo il traditore deve essere un ufficiale d’artiglieria perché la maggior parte delle informazioni riguardano quest’arma però essendoci anche quelle informazioni sul Madagascar e sulle truppe di copertura deve essere anche qualcuno che lavori presso lo stato maggiore l’unico luogo dove si può entrare in contatto con notizie così diverse. Si scorre dunque l’elenco degli ufficiali d’artiglieria in servizio presso lo stato maggiore generale e ci si ferma sul nome di Alfred Dreyfus su queste testuali basi “E’ un tipo sornione, poco simpatico ai colleghi e sempre curioso… eppoi è ebreo.” Alla luce di queste parole conviene mettere subito in luce la questione dell’antisemitismo che, come vedremo, permeerà l’intera pubblicistica antidreyfusiana; alla fine dell’ottocento l’ostilità verso gli ebrei si fonda su due pilastri: la religione, in quanto negli ambienti cattolici l’ebreo resta colui sul quale, con le parole dell’evangelista Matteo, ricade il sangue di Cristo, e il nazionalismo che vede l’ebreo come un individuo che non potrà mai essere fedele a nessuna patria in quanto parte di una comunità sovranazionale, oggi diremmo la lobby ebraica, che punta a infiltrarsi nei gangli vitali della società per assumerne segretamente il controllo. Le rivoluzioni borghesi di metà ottocento hanno portato alla fine dei ghetti e delle discriminazioni nei confronti degli ebrei che hanno quindi potuto, per la prima volta, inserirsi in ogni ambito della nazione: politica, economia e, appunto, esercito; gli ambienti conservatori però, inferociti dalla fine dell’ordine costituito, alla ricerca di un capro espiatorio hanno finito per identificare l’ebreo con le rivoluzioni iniziando a immagine che tutto ciò sia il risultato di un gigantesco complotto da loro organizzato. Non è un caso che è proprio in quegli anni che inizia a girare quel clamoroso falso che sono “I protocolli dei savi di Sion” che mette nero su bianco questo progetto di dominio mondiale; non siamo ancora al razzismo biologico del nazismo, ma i presupposti ideologici ci sono già tutti. Comunque il semplice fatto che Dreyfus sia ebreo non è sufficiente per ritenerlo una spia e così ci si procura un campione della sua scrittura per confrontarlo con quella del bordereau. Inizia qui il tragicomico valzer delle perizie con i primi tre esperti che si dividono subito due per l’uguaglianza delle grafie e uno contro; il ministro Mercier scalpita però per giungere a un arresto da poter sbandierare in parlamento e tanto meglio se l’arrestato è ebreo: il successo con la destra sarebbe assicurato! Il 15 Ottobre Dreyfus viene arrestato negli uffici del Ministero della guerra dal maggiore du Paty de Clam, un personaggio che vedremo sarebbe comico se la vicenda non fosse drammatica, e lasciato per qualche minuto solo con una pistola nella speranza che si suicidi per chiudere il tutto. Ovviamente il capitano d’artiglieria non usa l’arma e, anzi, proclama a piena voce la sua innocenza; tradotto in carcere dentro una cella d’isolamento viene interrogato giorno e notte da du Paty de Clam che, imitando quasi l’ispettore Closeau, cerca un tic o un gesto (ad esempio dirà un accavallamento delle gambe a seguito di una data domanda) che fornisca la prova psicologica della colpevolezza perché invece la prova materiale latita. Infatti nonostante le perquisizioni e gli accertamenti nulla pare emergere a sostegno della colpevolezza di Dreyfus, ma soprattutto manca il movente che non può essere economico, essendo il capitano d’artiglieria di famiglia agiata, né politico dato che appartiene a quegli alsaziani che hanno preferito emigrare piuttosto che restare sotto il nuovo governo tedesco. Lo stesso maggiore Henry è costretto ad ammettere che non è emerso alcun elemento che possa giustificare un processo, ma ormai ci si è spinti troppo oltre e né lo stato maggiore né il ministro se la sento di affrontare lo scandalo e l’umiliazione che seguirebbero al rilascio del prigioniero per cui danno l’ordine perentorio di procedere unicamente sulla base dell’attribuzione a Dreyfus del  bordereau; la notizia inoltre ha iniziato a filtrare nella stampa che, con varie gradazioni, convinta dell’infallibilità dell’esercito da già per certa la colpevolezza dell’ufficiale. I giornali svolgeranno un ruolo di primo piano nella vicenda dell’affaire contribuendo a spaccare la Francia in due partiti: dreyfusiani e antidreyfusiani sebbene, almeno in queste prime fasi, come detto sono tutti contro il capitano d’artiglieria con quelli di destra (cito solo La libre Parole perché ritornerà più volte) che subito battono con violenza sulle sue origini ebraiche.

Il 19 Dicembre si apre il processo a porte chiuse dinanzi al tribunale militare direttamente all’interno del carcere. Sin da subito emerge una caratteristica di Dreyfus che andrà molto a suo svantaggio: è sempre freddo, distaccato quasi antipatico; a lungo si è indagato su questo comportamento soprattutto perché la sua figura sarà a tal punto distorta dall’immagine del martire che, in seguito, chi lo conoscerà di persona ne rimarrà sempre deluso. Va detto che l’essere vittima di una macroscopica ingiustizia non contrasti per niente col non essere semplicemente una persona simpatica, ma sarà il fratello Mathieu, che combatterà fino alla fine per lui, a provare a dare una chiave di lettura affermando che Alfred è in fondo un militare fino al midollo abituato a non esternare mai le sue emozioni restando sempre impassibile. Il dibattimento è grottesco con Du Paty de Clam che insiste con le sue “prove psicologiche” e i periti grafologici che non riescono a mettersi d’accordo se il  bordereau sia stato scritto o meno dall’imputato. La difesa si convince che, data la pochezza del materiale accusatorio, l’assoluzione è prossima, ma ignora gli interessi superiori che stanno dietro al processo e infatti il maggiore Henry viene incaricato dal ministro di fugare ogni dubbio dei giudici prima testimoniando che una fonte riservata gli ha confermato che Dreyfus  è la spia poi, con un gesto che contribuirà in seguito a far esplodere il caso, consegnando ai giudici riuniti in camera di consiglio un dossier segreto che conterrebbe le prove della colpevolezza. Il dossier in realtà è ridicolo essendo composto solo da una copia del bordereau e da quattro documenti tedeschi che il controspionaggio ha ricostruito in cui non si fa mai parola dell’accusato, ma che Henry accompagna con propri commenti volti a dimostrare come in realtà lo facciano. Ci possiamo chiedere: Henry in questo momento è già consapevole dell’innocenza di Dreyfus? Io credo di no, penso che il Maggiore, stretto tra le pressioni dei superiori e l’ambizione di diventare l’uomo che ha incastrato il traditore, sia incorso nel rischio tipico di ogni indagine cioè convincersi aprioristicamente della colpevolezza  del proprio sospettato finendo per leggere ogni fatto che emerge unicamente alla luce della propria idea. Il 22 Dicembre i giudici escono dalla camera di consiglio con una sentenza di colpevolezza che condanna l’imputato alla degradazione con disonore e alla deportazione perpetua in una colonia penale; la vergognosa cerimonia si terrà, di fronte a un pubblico esultante e insultante, nello spiazzo dell’Ecole  militaire il 15 Gennaio 1895 e Dreyfus, con grande scandalo dei presenti, terrà sempre un comportamento fiero non cedendo mai allo sconforto e, anzi, proclamando ancora una volta la sua innocenza. L’imputato è scampato alla pena di morte solo perché questa è stata abolita nel 1848 per i reati politici, ma il destino che lo attende è, in effetti, quasi peggiore della morte perché come luogo della sua deportazione viene scelta l’Isola del Diavolo nell’infame Guyana francese dove viene costretto in una baracca isolato anche dagli latri prigionieri. Ecco una breve descrizione del luogo ad opera di uno dei tanto detenuti che vi passò in seguito: di giorno sole torrido, di notte un’umidità malsana che favorisce la germinazione di insetti velenosi per non parlare di scorpioni, ragni e altre bestiacce orrende; se ci si getta in mare, preferendo l’immensa distesa liquida alla dura terra dell’esilio, i pescicani stanno in agguato pronti ad addentare le tue membra ghiacciate dall’orrore.

Partito Dreyfus per la sua prigionia la Francia se ne dimentica e sembra andare avanti: il governo, nonostante il successo del processo, è caduto ed è stato sostituito mentre la destra continua a cavalcare l’antisemitismo poco seguita però da un pubblico che, sgozzato finalmente il capro espiatorio sulla disfatta del 1870, si gode gli sfarzi della Belle Epoche e i successi coloniali della Repubblica. A perorare la causa di Dreyfus restano soltanto la moglie Lucie e il fratello Mathieu che riescono a fare in modo che della vicenda si continui a parlare, seppur sotto voce, nei salotti di politici che iniziano ad avere qualche dubbio sulla regolarità del processo. Nessuno sa che la svolta nella vicenda sta già avvenendo proprio in quelle stesse stanze dov’era iniziata. E’ successo che nel Luglio 1895 alla guida dell’ufficio di statistica è giunto il tenente colonnello Georges Picquart il quale, un anno dopo, si vede recapitare nuovi frammenti di carta da Marie Bastien che, ricostruiti, svelano un inquietante verità: un ufficiale francese è ancora in contatto con i tedeschi e stavolta se ne ha sin da subito nome e cognome Maggiore Ferdinand Esterhazy. Ecco qualcuno che sin da subito sembra avere il profilo della possibile spia: di origini franco-austriache ha combattuto nell’esercito asburgico per poi giungere all’esercito francese attraverso la legione straniera, conduce una vita dispendiosa fatta di gioco d’azzardo e una prostituta mantenuta come amante. Picquart corre dal capo di stato maggiore De Boisdeffre per comunicargli la notizia e ne riceve l’incarico di condurre un’indagine accurata; apparentemente in questo momento sono tutti convinti che i traditori siano due, ma Picquart, per scrupolo, fa esaminare la grafia di Esterhazy da uno dei periti che aveva riconosciuto quella di Dreyfus ricevendo una risposta che, per un uomo come lui che fa dell’onore e dell’onestà una bandiera, è una staffilata al cuore: è la stessa scrittura del bordereau! Quando fa osservare al perito che quella mostratagli è un documento recente la risposta che riceve è la seguente: “Allora direi che sono gli ebrei i quali stanno addestrando qualcuno a imitare la calligrafia di Dreyfus per le loro oscure manovre…” ogni commento è superfluo. Sconvolto Picquart si fa portare il dossier Dreyfus e, sgomento, si trova davanti alla sole quattro carte che erano state consegnate segretamente ai giudici in camera di consiglio da Henry, davvero un uomo è stato condannato solo con questo? Convinto ormai che il capitano d’artiglieria sia stato vittima di un mostruoso errore giudiziario il capo dell’ufficio statistica torna allo stato maggiore il 1 Settembre per riferire il fatto, ma il generale De Boisdeffre  resta della sua idea dei due traditori e invita Picquart a continuare le indagini su Esterhazy nonché trovare nuovi elementi contro Dreyfus.

Mentre Picquart è corroso dal dubbio la valanga inizia a formarsi anche fuori dagli uffici militari in quanto Anton Gilbert medico, ma anche amico sia di Mathieu Dreyfus che dell’allora presidente della Repubblica Felix Faure, recatosi all’Eliseo in visita al suo vecchio amico viene a sapere che Dreyfus è stato condannato sulla base del dossier segreto. Gilbert resta sconvolto per l’illegalità commessa e si reca subito a informarne Mathieu che però ne è già venuto a conoscenza mezzo il vicepresidente del senato Scheurer-Kestner, uno dei primi politici a convincersi dell’innocenza del capitano d’artiglieria. Deciso a far tornare a parlare della vicenda del fratello Mathieu fa giungere a un’agenzia inglese la voce che Alfred sarebbe evaso; il 3 Settembre la notizia è su tutti i giornali e produce due effetti uno tragico su Alfred perché le misure di sicurezza attorno a lui vengono aumentate ai limiti della tortura (tutte le sere viene legato al letto con due anelli di ferro), ma anche uno positivo perché un giornale, L’Eclair, allo scopo di dimostrare la colpevolezza del capitano d’artiglieria al di là di ogni dubbio rende pubblica la storia del dossier segreto provocando grande turbamento nell’opinione pubblica. Subito Luise Dreyfus inoltra al parlamento una domanda di revisione del processo del marito alla luce dell’illegalità verificatasi, scatenando la reazione vemente delle destre,  e il nuovo ministro della guerra Billot, al quale sono per altro giunte voci dei dubbi di Picquart, chiede chiarezza a uno stato maggiore ormai in piena crisi di nervi. Picquart infatti ha avuto un nuovo incontro stavolta con il vice capo di stato maggiore generale Gonse durante il quale ha sia ribadito la sua convinzione della innocenza di Dreyfus sia messo in chiaro che non intende piegarsi agli inviti all’omertà che gli vengono rivolti. Stretti tra l’uno dei del capo dell’ufficio statistica e della moglie di Dreyfus gli alti comandi decidono per una linea d’azione in due ponti: togliere il fascicolo Esterhazy dalle mani di Picquart e fornire al ministro della guerra una prova decisiva che lo conviva a rigettare la richiesta di Lucie Dreyfus. Di far ciò si incarica il solito maggiore Hanry che crea dal nulla un falso messaggio (il “falso Henry”) dall’addetto militare tedesco a quello italiano (allora Italia e Germania erano unite nella Triplice) in cui si afferma esplicitamente che Dreyfus è la spia; forte di questo documento, di cui nessuno nella politica conosce la falsità, il ministro Billot dichiara in parlamento che non vi sarà alcuna revisione del processo ottenendo vivi applausi da tutta l’aula. Intanto Picquart è stato inviato d’urgenza in un giro d’ispezione dei servizi di spionaggio di alcune armate, missione estesa poi a tutta la Francia e quindi all’Algeria giù giù fino ai più sperduti avamposti in un deserto dove le tribù berbere sparano a vista sui soldati francesi e dunque dove un “incidente” potrebbe sempre succedere; comunque tanto per sicurezza gli viene anche notificata una lettera con la quale lo si informa di un procedimento contro di lui perché il sempre solerte Henry lo ha accusato di aver manipolato, LUI!, il messaggio riguardante Esterhazy. Picquart capisce il gioco che si sta facendo, ma non intende correre il rischio che il segreto che si porta dentro possa morire nella tomba con lui così, nell’Aprile del 1897, scrive una lettera-testamento indirizzata al Presidente della Repubblica nella quale mettere nero su bianco tutto ciò che a scoperto e poi, durate in breve ritorno a Parigi per tentare di far ragionare gli alti gradi confida tutto al suo avvocato Leblois facendogli giurare rivelare il tutto solo in caso di sua morte. La cosa è però troppo grande per Leblois che decide di confidarsi con Scheurer-Kestner il quale si muove incontro la famiglia del capitano d’artiglieria per informarli essere convinto della sua innocenza; ovviamente la voce della cosa inizia subito a trapelare e giunge ben presto alle orecchie dello stato maggiore che, convinto di aver appena superato la tempesta, deve in tutta fretta mettere una toppa anche a questo buco. La soluzione, incredibile, che viene decisa è di proteggere Esterhazy il cui nome ormai presto o tardi diventerà di pubblico dominio; questo è un punto dell’affaire che ho sempre trovato paradossale: per proteggere la reputazione dell’esercito si decide di proteggere una spia vera per far restare in carcere una spia falsa! Mi sono sempre chiesto se a qualcuno di questi generali sia mai passato per la testa il timore che, facendo così, si potesse dare occasione a Esterhazy di portare ulteriormente avanti il suo tradimento? Perché ormai a questo punto della vicenda per lo meno lo stato maggiore generale è pienamente consapevole che Dreyfus è innocente, ma decide che l’onore dell’esercito debba prevalere su tutto poiché ammettere l’errore vorrebbe dire infrangere il mito dell’infallibilità dello stato maggiore. Così ai primi di tra la fine d’Ottobre e l’inizio di Novembre  1897 il maggiore du Paty de Clam prende contatti con Esterhazy  per dettargli due lettere da inviare al governo in cui si vagheggia di un complotto ebraico per far ricadere su di lui la colpa del crimine di Dreyfus; come si vede la linea scelta dall’esercito è di gettare la palla in tribuna cavalcando l’onda dell’antisemitismo per suscitare le passioni più basse del popolo francese contro il capitano d’artiglieria. Intanto però la valanga è ormai lì lì per staccarsi: Scheurer-Kestner si rivolge tanto al Presidente della Repubblica che all’intero governo per manifestare la sua convinzione che è stato commesso un gravissimo errore giuridico; il Presidente Faure e la maggioranza dei ministri decidono di assumere le vesti di Pilato, ma il Ministro Billot, vecchio amico del vicepresidente del senato, gli promette un’inchiesta. Scheurer-Kestner accetto di aspettare per una quindicina di giorni, ma decorsi inutilmente, di fronte al silenzio di Billot, decide di rompere gli indugi anche perché è emerso un fatto nuovo e decisivo: in un opuscolo a favore della revisione è stata pubblicata una copia del  bordereau e J. De Castro, banchiere di Esterhazy, ha riconosciuto la grafia del suo cliente dandone informazione a Mathieu Dreyfus. Il 15 Novembre su Le Temps Scheurer-Kestner pubblica una lettera aperta in cui informa il pubblico di essere in possesso della prova dell’innocenza di Dreyfus e, lo stesso giorno, sempre sui giornali compare anche una lettera del fratello del condannato indirizzata al ministro Billot in cui si accusa Esterhazy di essere l’autore del bordereau. La valanga è infine venuta giù e il caso Dreyfus è appena divenuto l’Affaire!

L’opinione pubblica, chiamata così d’improvviso in campo, reagisce sgomenta con la maggioranza, supportata dall’esercito e da alcuni giornali, che resta, anche violentemente, convinta della colpevolezza, ma anche con uno schieramento dryfusiano che esce alla luce del sole e invoca apertamente la revisione del processo. La prima reazione dello stato maggiore è di invitare Esterhazy a chiedere pubblicamente lui un’inchiesta sulle accuse mossegli, in quattro giorni il tutto si conclude con una relazione del generale de Pellieux, uno dei pochi militari non al corrente dei falsi che si sono perpetrati, in cui, pur criticando Esterhazy dal punto di vista morale, lo si ritiene estraneo alla vicenda del bordereau e, anzi, si suggerisce di procedere contro Picquart che viene subito messo agli arresti domiciliari. Il fuoco però continua a divampare anche perché in favore di Dreyfus ha preso pubblicamente posizione lo scrittore più famoso di Francia: Emile Zola. Sin da Novembre l’autore naturalista ha iniziato a pubblicare una serie di articoli su Le Figaro, uno dei pochi giornali che ha deciso di mantenere un atteggiamento neutrale sulla vicenda, in cui si è espresso a favore della revisione del processo e questo, unito alla pubblicazione, sempre su Le Figarò, di alcune lettere di Esterhazy messe a confronto con il bordereau per dimostrane l’identicità, contribuiscono a tenere la vicenda al centro del dibattito al punto che l’esercito decide di mandare sotto processo il maggiore così da ottenere un’assoluzione salvifica. Il 10 Gennaio 1898 si apre il processo e meno di ventiquattrore dopo, con una camera di consiglio di appena tre minuti, si chiude con un verdetto d’innocenza all’unanimità; Esterhazy è portato in trionfo per le strade di Parigi da una folla esultante che urla “Viva la Francia! Morte agli ebrei!” mentre Picquart viene condotto in carcere. Il fronte antidreyfusiano cavalca il momento e, dopo aver ottenuto una dichiarazione del governo di pieno appoggio all’operato dell’esercito, le destre scatenano la piazza minacciando di dare l’assalto alle sinagoghe e ai negozi gestiti da ebrei; anche Le Figaro, che ha subito un netto calo di lettori a causa delle sue posizioni moderate, si ritrae dalla lotta. Tutto sembra perduto, ma Zola non ci sta e decide di guidare il contrattacco con un atto esplosivo: uno dei pochi giornali che continua a sostenere la tesi dell’innocenza è L’Aurore diretta dal politico radicale George Clemenceau, detto “il tigre” a causa del suo carattere combattivo nonché futuro presidente del consiglio della vittoria nella grande guerra, ed è a lui che Zola porta un articolo scritto sull’onda dell’indignazione per l’assoluzione di Esterhazy; Clemenceau lo legge e lo definisce dinamite accettando di pubblicarlo a tutta prima pagina dopo averne cambiato il titolo. Il 13 Gennaio 1898 la Francia si trova d’innanzi alla “Lettera aperta al presidente Felix Faure” o  “J’accuse”.

Mi voglio soffermare un attimo su questo articolo vero e proprio spartiacque della storia francese moderna nonché bandiera della libertà di pensiero al pari del “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire e al “Tractatus theologico-politicus” di Spinoza. Definito giustamente dal deputato Guesde “il più grande atto rivoluzionario del secolo” l’articolo di Zola segna il passaggio dal dryfusianesimo in punta di fioretto di Scheurer-Kestner, proclamazione dell’innocenza del capitano d’artiglieria mantenendo però il rispetto delle istituzioni, allo scontro frontale con l’avversario. Per lo scrittore il processo a Esterhazy ha dimostrato come le autorità non vogliono riaprire il caso e siano disposte a qualsiasi bassezza pur di proteggersi per cui bisogna abbandonare ogni timore reverenziale nei confronti dell’esercito chiamandolo direttamente in causa come il direttore d’orchestra dell’intera manovra. Ripercorrendo l’intera vicenda Zola offre al lettore, per la prima volta, il quadro completo dell’Affaire mettendo in luce tutte le illegalità perpetrate e le contraddizioni che stanno dietro alla versione ufficiale costringendo l’opinione pubblica a farsi una sua idea non accettando più supinamente le verità che gli giungono dall’alto. Con quell’uso tranchant del pronome personale per mettere sul banco degli imputati uno per uno i protagonisti della vicenda l’autore si mette poi in prima linea offrendosi come bersaglio volontario alla reazione delle istituzioni al fine di tenere viva la fiamma dello scandalo. Consiglio vivamente a chiunque, in particolare a chi voglia darsi al giornalismo, di leggere questo manuale di ars polemica e di stile, ma comunque ne trascrivo qui sotto una breve sintesi contenenti i bravi più incisivi:

“Mi permette, signor presidente… Un tribunale militare ha appena osato, in seguito a un ordine, assolvere un Esterhazy, schiaffo supremo a qualsiasi verità, a qualsiasi giustizia! estremo insulto alla verità e alla giustizia! Poiché essi hanno osato, oserò anch’io…. Un individuo nefasto ha diretto tutto, ha fatto tutto , ed il tenente colonnello du Paty de Clam…. il caso Dreyfus è lui; un caso che sarà possibile comprendere soltanto dopo che un’inchiesta leale avrà stabilito con esattezza le azioni e le responsabilità di costui…. C’è anche il ministro della guerra, generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è anche il capo di stato maggiore, generale de Boisdeffre, che sembra abbia ceduto al suo fanatismo clericale… (come i generali) abbiano potuto impegnare la loro responsabilità in questo errore che, in seguito, hanno ritenuto loro dovere imporre come verità sacrosanta, una verità da non mettere neppure in discussione…. è un anno ormai che il generale Billot, che i generali de Boisdeffre e Gonse sanno che Dreyfus è innocente e hanno serbato per loro questa spaventosa realtà! E costoro dormono, hanno moglie e figli che amano!… hanno ( i giudici) emesso una sentenza iniqua, che peserà per sempre sui nostri tribunali militari, che d’ora in poi vizierà tutte le loro sentenze come sospette… Io accuso il tenente colonnello du Paty de Clam di essere il diabolico artefice dell’errore giudiziario… Accuso il generale Mercier di essersi reso complice di una delle più grandi iniquità del secolo… Accuso il generale Billot di aver avuto in mano le prove sicure dell’innocenza di Dreyfus, e di averle occultate, rendendosi complice del delitto di lesa umanità e lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso… Accuso i generali de Boisdeffre e Gonse di essersi resi complici dello stesso delitto… Accuso il generale De Pellieux di aver condotto un inchiesta scellerata, con ciò intendo della più mostruosa parzialità… Accuso infine il primo Consiglio di guerra di aver violato la legge, condannando l’imputato in base a un documento rimasto segreto; e accuso il secondo Consiglio di guerra di aver coperto questa iniquità per ordine superiore, commettendo a sua volta il crimine giuridico di assolvere scientemente un colpevole… So benissimo di ricadere sotto l’imputazione degli articoli 30 e 31 della legge del 1881 sulla stampa, che punisce i reati di diffamazione. Ed è volontariamente che mi ci espongo. Aspetto…”

Il “J’accuse” andò a ruba e, come pronosticato da Clemenceau, ebbe l’effetto di una carica di dinamite. Il prestigio di Zola contribuì vieppiù a dividere il paese e fare in modo che la vicenda di Dreyfus travalicasse i confini francesi divenendo d’interesse mondiale; personalità della cultura e dell’arte come Twain, Tolstoj e Verdi si dichiarano pubblicamente a favore della battaglia per la libertà del capitano d’artiglieria indirizzando l’opinione pubblica occidentale a favore di questi. L’articolo però ha anche l’effetto di produrre una scissione interna al fronte dreyfusiano perché l’ala legalitaria, come Scheurer-Kestner, prende le distanze da quello che definisce un atto rivoluzionario mentre altri settori della politica, che fino a quel momento erano rimasti spettatori della vicenda come Jaurès e i socialisti, decidono di scendere in campo. Le destre invece sono compatte nel considerare il pezzo come un attentato alla Francia e chiedono al governo di colpire tutti coloro che insistono nell’diffamare l’esercito sostenendo l’innocenza della spia. Il generale de Boisdeffre, intuendo ciò a cui punta Zola, vorrebbe evitare di portare la vicenda in un aula di tribunale, ma il ministero, stretto tra le piazze e le destre, infine decide di denunciare autore ed editore però solo per le parti del “J’accuse” riguardanti il caso Esterhazy così da tenere fuori la vicenda di Dreyfus dall’aula. Il 7 Febbraio si apre il processo in un clima tesissimo, la situazione del paese è ben rappresentata dalla vignetta d’epoca, che potete vedere qui accanto, dove una famiglia si riunisce quietamente per cenare dietro però l’avvertimento “Soprattutto.. non parlate dell’affaire”, la scena subito sotto è descritta con le lapidarie parole “Ne hanno parlato”. I giudici del processo Zola sono stati debitamente istruiti di tenere l’affaire fuori dal dibattimento, ma la difesa gioca d’astuzia e, cavillando, riesce a portare sul banco dei testimoni politici e generali che però mantengono un silenzio sprezzante supportanti anche da un pubblico che li acclama come eroi. Durante il dibattimento però l’esercito incappa in due pericolosi incidenti: Henry, messo a confronto con Picquart, straparla non solo confermando l’esistenza del dossier segreto mostrato ai giudici militari in camera di consiglio, ma aggiungendo anche un fantasioso messaggio dell’Kaiser stesso in cui si parla di Dreyfus inoltre il generale De Pellieux accenna per la prima volta al “falso Henry” come prova regina della vicenda. Queste rivelazioni avranno un peso determinante in futuro, ma per intanto si perdono nel mare del dibattimento che si conclude con un ovvia condanna a un anno di reclusione e tremila franchi di multa per Zola. Governo ed esercito festeggiano dando il via a una purga nei confronti dei dryfusiani: Picquart viene riformato per gravi mancanze, Scheurer-Kestner perde la poltrona di vice-presidente del senato e molti politici non vengono rieletti alle votazioni del Maggio 1898. Queste elezioni però non rappresentano un trionfo per le destre che, a eccezioni di alcuni leader come Drumont plebiscitati, perdono anch’esse terreno a favore di radicali e progressisti che non sono mai state in prima linea in merito all’affaire; la maggioranza degli elettori si schiera dunque sia contro chi ha sostenuto l’innocenza di Dreyfus, sia contro chi minaccia si scatenare le piazze contro “ebrei e traditori” preferendo le forze moderate nella speranza che queste chiudano la vicenda una volta per tutte. Come però se vi fosse una volontà divina che rimette la palla in gioco ogni volta che questo pare concludersi la Cassazione annulla la condanna a Zola in perché doveva essere il tribunale militare a procedere contro lo scrittore. Ovviamente l’esercito si affretta a presentare una nuova denuncia, ma intanto l’affaire resta al centro della scena mentre si verifica un fatto strano e inquietante: un falsario di cui spesso Henry si è servito, Moise Lehman, viene trovato impiccato apparentemente suicida sebbene tra i dreyfusiani la parola omicidio inizierà quasi subito a circolare sebbene nessuna prova in merito sia mai emersa.

Siamo arrivati al Giugno 1898 a un passo dal momento decisivo di questa tortuosa vicenda. Come detto vi sono state le elezioni e un nuovo governo è salito in carica presentando il primo ministro della guerra non militare della storia di Francia: il barone De Cavaignac. Questi, sebbene convinto della colpevolezza di Dreyfus, vuole far pulizia nelle esercito e inizia facendo riformare Esterhazy per gravi mancanze morali; le destre, che avevano fatto di Esterhazy una bandiera, temendo che questo sia il prodromo di una riapertura dell’affaire chiedono chiarezza al ministro il quale, deciso a mettere una parola conclusiva sulla vicenda, si fa consegnare il dossier Dreyfus per poterlo studiare. Questo dossier è frattanto cresciuto come un pollo del giorno della festa tanto è stato riempito dal solerte Henry  di falsi di ogni tipo ( da messaggi innocui cuciti insieme per alterne il senso a una P. modificata con un tratto di penna in una D.) e il povero De Cavaignac, anche senza i pregiudizi che lo condizionano, non sarebbe assolutamente in grado di vedere oltre questo mare di menzogne così si presenta trionfante alla camera per dare lettura del materiale affermando che la colpevolezza di Dreyfus è al di là da ogni dubbio. Neanche ha finito di parlare che già Picquart afferma di poter provare che almeno uno dei documenti letti è un falso e per questo viene arrestato con l’accusa di rivelazione di materiale confidenziale, ma l’affermazione che il dossier sia falso viene ripresa da Jaurès in una serie di articoli mentre Zola, condannato anche in appello, parte per Londra su consiglio di amici che temono cosa possa succedergli se dovesse entrare in carcere. De Cavaignac vorrebbe un repulisti completo, ma il governo non lo appoggia così, per smentire le voci sulla falsità del dossier, ordina all’ufficio statistica un esame completo del materiale per certificarne la veridicità; neanche ventiquattrore dopo il capitano Coignet gli fa cadere addosso una montagna comunicandogli che il “falso Henry” è, appunto, un falso peraltro grossolano. De Cavaignac resta per un mese con il rospo in gola poi il 31 Agosto convoca Henry, de Boisdeffre e Gonse per metterli davanti al fatto, l’incontro è teso con Henry che prova a negare tutto prima di crollare ammettendo il falso fatto “Nell’interesse della giustizia e della patria.” scagionando però i suoi superiori. Messo immediatamente agli arresti verrà trovato il giorno dopo con la gola tagliata nella sua cella e ancora oggi ci si chiede se si suicidò o fu suicidato. Informata della vicenda l’opinione pubblica esplode e, per la prima volta, alle piazze antidreyfusiane si contrappongono delle altrettanto agguerrite piazze dreyfusiane mentre i generali de Boisdeffre e De Pellieux si dimettono dai loro incarichi, affermando di essere stati tratti in inganno da gente senza onore, e Esterhazy lascia in tutta fretta la Francia. Ormai il tappo è saltato e molti giornali, anche alcuni che fino a un attimo prima erano certi della colpevolezza, ammettono che un nuovo processo a Dreyfus è divenuto imprescindibile. Le destre tentano di scavare un’ultima trincea celebrando il “martire” Henry e il suo “falso patriottico”, ma il governo decide di trasmettere la richiesta di revisione avanzata da Dreyfus alla Cassazione che, il 29 Ottobre, la dichiara ricevibile. Il paese sembra ormai sull’orlo della guerra civile: in breve tempo si succedono tre ministri della guerra, il governo tenta di modificare il giudizio della Cassazione dando la competenze sulla revisione alle sezioni unite e Picquart, comparendo davanti al tribunale a seguito della denuncia dell’ormai ex De Cavaignac, sfida apertamente l’esercito affermando che “se si troverà nella mia cella il cappio di Moisé Lehman o il rasoio di Henry sarà omicidio perché mai ho pensato, o penserò, di suicidarmi.”

Per gli antidryfusiani ormai è una tegola dopo l’altra: il 16 Febbrai 1899 il Presidente della Repubblica Felix Faure, strenuo oppositore della revisione, muore mentre si trova in compagnia sella sua amante; il fatto è ovviamente sufficientemente piccante per dare luogo all’ironia di una parte e alle accuse di complotto ebraico dall’altra, ma la cosa importante è che al suo posto viene eletto Emile Loubert convinto dreyfusiano. Il 21 Febbraio successivo si raggiunge il momento più drammatico quando, mentre un distaccamento militare si sta recando all’Eliseo per rendere gli onori al nuovo presidente, un corteo delle destre guidato da alcuni deputati tenta di convincere gli ufficiali a guidare un colpo di stato. Il golpe fallisce causa l’indecisione del generale Roget a capo delle truppe e  così la Cassazione, il 2 Giugno, concede la revisione dopo che il consigliere relatore ha affermato in aula la sua convinzione dell’innocenza di Dreyfus. Parigi e l’intera Francia sono una polveriera con bande nazionaliste che si scontrano con operai socialisti e il timore costante di una nuova sedizione militare contro la Repubblica; per salvare “la libertà e la Repubblica” (parole del ex presidente del consiglio Brisson) viene varato un governo d’emergenza, con al suo interno per la prima volta un socialista, che si assume l’incarico di frenare le piazze e stroncare le velleità golpiste nell’esercito.

Il 30 Giugno Dreyfus rimette piede in Francia dopo cinque anni venendo per la prima volta a conoscenza di cos’è successo nel paese durante la sua deportazione (“ero rimasto al bordereau” dirà in seguito); subito viene tradotto nel carcere militare di Rennes città scelta per celebrare il processo perché ritenuta meno calda di Parigi. Ormai tutti, dreyfusiani e antidryfusiani, ammettono esplicitamente che in argomento non è la colpevolezza o meno dell’ex capitano d’artiglieria, ma che tipo di Francia dovrà affrontare il nuovo secolo: una Francia repubblicana, laica costruita sulle libertà civili o una Francia retta da un governo militare, clericale e antisemita. In un simile contesto l’uomo Dreyfus, cui la prigionia non ha modificato il carattere freddo e austero, pare a molti che lo vedono e gli parlano per la prima volta assolutamente inferiore alle aspettative; si attendeva un martire, una bandiera e invece si ha un omino incolore il cui esame attento però rivela tutte le conseguenze fisiche dell’inferno a cui è stato sottoposto (capelli bianchi nonostante abbia appena quarant’anni, magrissimo e con un viso cadaverico). Il 7 Agosto si apre il dibattimento davanti al tribunale militare riunito nel liceo locale e inizia la sfilata dei testimoni: la vedova di Henry che giura che il marito ha redatto il “falso” partendo da informazioni certe, vari militari (definiti da un osservatore “ruderi e larve”) che, senza alcun ritegno, tornano a sostenere la colpevolezza di Dreyfus attaccandosi a quel dossier che la Cassazione ha dichiarato falso. Il 14 Agosto si sfiora la tragedia quando un giovane esagitato spara contro Dreyfus ferendo però leggermente il suo avvocato; l’aula del tribunale di trasforma in una bolgia quando Juarès, nell’apprendere la notizia, urla “Per rovinare Dreyfus nel 1894 avevano soppresso la difesa, oggi trovano più semplice sopprimere i difensori!”. Nonostante l’incidente si riesce a giungere bene o male alle dichiarazioni di chiusura con l’accusa che chiede la condanna (riuscendo a restare serio mentre afferma che la prova della colpevolezza è cristallina) e la difesa che chiede l’assoluzione senza però gettare ulteriore benzina sul fuoco, ma anzi parlando di pacificazione nazionale una linea non condivisa da tutti i dryfusiani presenti. La camera di consiglio dura appena un ora e quella che ne esce fuori è una sentenza che nemmeno Pilato sarebbe stato in grado di emettere: colpevole, ma con circostanze attenuanti! Tutto il paese rimane atterrito per questo mostro giuridico in quanto, come dice qualcuno “si può essere spie doppie, triple, ma non spie a metà!” mentre nel resto d’Europa, dove l’innocenza di Dreyfus è data ormai per scontata, esplode una violenta rabbia antifrancese con parole di fuoco anche da parte di teste coronate come la Regina Vittoria e il Kaiser Guglielmo. Per i dreyfusiani la sentenza è una tragedia, ma anche il fronte avverso non ha di che festeggiare sia perché il verdetto è giunto a maggioranza (il presidente e un altro giudice hanno votato per l’innocenza) sia per quelle incomprensibili circostanze attenuanti. Il governo, temendo che stavolta il paese possa esplodere per davvero, è in seduta permanete e, nonostante alcuni vorrebbero deferire la questione alla Cassazione, alla fine approva la linea del ministro della guerra che, per evitare lo scontro frontale con l’esercito, propone il compromesso della grazia presidenziale che salverebbe capra e cavoli perché rimetterebbe in libertà Dreyfus, ma sarebbe condizionata dall’accettazione della sentenza. I dreyfusiani al gran completo (Picquart, Jaurès, Mathieu, Clemenceau ecc.) si riuniscono per discutere la proposta ed esplode lo scontro tra le due anime del movimento: quella politica, che ritiene la grazia l’equivalente di una resa, e quella umanitaria a cui preme in primo luogo salvare la vita a Dreyfus. Alla fine, di fronte anche alla suppliche della famiglia, prevale l’idea che la cosa più importante sia evitare un nuovo incarceramento che potrebbe essere fatale al condannato senza però con questo rinunciare a portare avanti la battaglia per la verità; così il 19 Giugno il Presidente della Repubblica firma la grazia e quattro giorno dopo Dreyfus torna ad essere un uomo libero.

Così si concluse il dramma umano di Alfred Dreyfus, ma non l’affare in quanto troppo era successo perché vi si potesse mettere una pietra sopra con una grazia. Il governo punta a varare un’amnistia riguardante tutti i reati connessi all’affaire per tentare di sanare le ferite ed entrambi gli schieramenti l’accettano dato il gran numero di esponenti dell’una e dell’altra parte che stanno per andare, o sono già, sotto processo, ma gli antidreyfusiani sono ormai sulla difensiva mentre i drefusiani affilano le armi in attesa del momento della riabilitazione totale di Dreyfus. L’ora arriva nel 1903 quando Jaurès lancia in parlamento la sfida al governo di riaprire l’affaire per andare a far pulizia nello stato maggiore, per tutta risposta il ministro della guerra ordina una nuova inchiesta che si conclude nell’Ottobre dello stesso anno con l’affermazione incontrovertibile dell’innocenza di Dreyfus e una dura condanna nei confronti dell’ufficio di statistica autore di aver prodotto solo falsi su falsi. Sulla base di questo giudizio nel 1904 si apre un nuovo processo di revisione, durante il quale i “ruderi e larve” salgono ancora una volta al banco dei testimoni senza però più la spocchia di prima, e nel Luglio 1906 emette una sentenza in cui si “Annulla la sentenza del Consiglio di guerra di Rennes, che in data 9 Settembre 1899 aveva condannato Alfred Dreyfus a dieci anni di detenzione e alla degradazione militare; afferma che per errore e a torto tale sentenza è stata pronunciata.”. Il giorno dopo il Parlamento vota una legge speciale che reintegra nell’ esercito tanto Dreyfus che Picquart e un deputato, quando il generale Mercier ribadisce di essere ancora convinto della colpevolezza del capitano d’artiglieria, replica “Per giustizia il tribunale dovrebbe spedire al bagno penale i criminali accusatori della vittima la cui innocenza è stata proclamata. E per primo lei!”. L’atto finale della vicenda è il conferimento, che sa tanto di catarsi finale, della Legion d’onore a Dreyfus nello stesso cortile dell’Ecole militaire dove dodici anni prima questi era stato degradato.

L’affaire Dreyfus rappresentò un tizzone ardente piantato nelle carni della Francia di fine ottocento e il paese sfiorò la guerra civile, ma la battaglia combattuta ne segnò il cammino perché, come già detto, i due schieramenti rappresentavano due modi di intendere tutto: dal governo, alla società financo alla fede religiosa. L’esito dell’affaire fu il definitivo affermarsi delle istituzioni repubblicane e la sconfitta di chi sognava un ritorno della monarchia o magari i generali al potere; con le elezioni del 1906 e la vittoria del blocco delle sinistre il dreyfusianesimo andò al governo, proprio con Clemenceau, e procedette alla laicizzazione della società nonché all’epurazione dall’esercito di tutti coloro che potessero ancora complottare contro la Repubblica. Il clima di Union sacrée che garantì al paese stabilità politica durante la grande guerra fu possibile anche perché la maggioranza delle forze politiche, dai conservatori ai socialisti, più o meno si riconosceva nei valori della Repubblica affermatisi negli anni dell’affaire. Gli sconfitti però non uscirono di scena, ma si nascosero in attesa dell’ora del ritorno che scoccò quando nel 1940 le armate tedesche marciarono vittoriose sotto l’Arco di Trionfo; a Vichy le parole d’ordine delle destre durante l’affaire (patria, onore dell’esercito, antisemitismo e odio per tutto ciò che la Repubblica rappresentava)  divennero ideologia dello stato e, in una sorta di vendetta contro Dreyfus, portarono la Francia a prender parte al crimine dell’olocausto.

Ma che fine fecero i protagonisti di questa storia? Alcuni, l’abbiamo detto, come Clemenceau ebbero un glorioso futuro politico mentre per altri il destino fu ben più inclemente: Zola morì intossicato dai fumi di una stufa non si è mai saputo se per incidente o dolo, Picquart per una caduta da cavallo appena due anni dopo essere divenuto ministro della guerra mentre a Juarès sparò un nazionalista poche ore prima dello scoppio della guerra nel 1914. Esterhazy si rifugerà in Inghilterra e non verrà mai processato come il vero responsabile del tradimento neanche quando, sul letto di morte, l’ormai ex-addetto militare tedesco a Parigi Von Schwartzkoppen lo riconoscerà come il vero autore del bordereau. E Dreyfus? Amareggiato perché la legge sul suo reintegro non gli riconobbe nell’anzianità di servizio i dodici anni di calvario chiese l’inserimento nella riserva venendo richiamato in servizio durante il conflitto mondiale per combattere sulla Marna e a Verdun ottenendo il grado di tenente colonnello. Per tutti gli anni che gli restarono da vivere Dreyfus continuò a sottrarsi al suo ruolo di simbolo definendosi null’altro che “un piccolo capitano d’artiglieria cui un tragico errore ha impedito di seguire la carriera”; morirà nel 1935. In un estremo sfregio della sorte la sua nipote preferita finirà i suoi giorni a Auschwitz vittima del medesimo odio che avrebbe voluto far terminare l’esistenza del nonno sulla terra arsa dal sole dell’Isola del Diavolo una piccolo, ma terribilmente profetico, lager.

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