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Storia dei Fasci Siciliani dei lavoratori – I Congressi di Palermo

Di Carlo Bonaccorso

Con questa nuova pubblicazione, andremo ad analizzare i congressi che si svolsero a Palermo il 21 e 22 maggio 1893, il primo riguardante la creazione di una Federazione Socialista Siciliana e l’altro riguardante l’organizzazione dei Fasci dei lavoratori.

Inseriti all’interno del contesto nazionale, essi rientrarono in quella serie di congressi regionali richiesti dal Partito dei Lavoratori Italiani alle sezioni locali e alle associazioni socialiste ad esso affini, in funzione del Congresso nazionale di Reggio Emilia (settembre 1893); in tal senso, l’elaborazione di modifiche e proposte che venivano elaborate dalle varie assemblee in virtù proprio dell’incontro nazionale, assumevano un’importanza notevole soprattutto per le questioni locali. I congressi siciliani nello specifico assunsero un posto di rilievo dal momento che la Sicilia, grazie alla diffusione dei fasci nel territorio isolano, si trovava sotto i riflettori del socialismo italiano. Tuttavia, nell’isola si tardò tanto. Mentre nei mesi precedenti si svolgevano diversi congressi regionali in varie parti d’Italia, discutendo eventuali proposte da inviare al Partito dei Lavoratori Italiani, in Sicilia si attese fino a maggio. Considerando che l’ultimo giorno utile per la presentazione di eventuali modifiche al programma congressuale originario era giorno 18 aprile, si comprende l’importanza che tale aspetto ricopriva per il gruppo dirigente isolano, per portare la questione contadina siciliana nel contesto nazionale. Ma l’occasione fu persa. E le decisioni che vennero fuori successivamente da Reggio Emilia (e prima ancora dal congresso di Zurigo) saranno negative nei confronti dei fasci; si decretò infatti la linea da seguire nelle campagne italiane, approvando le tesi del socialdemocratico tedesco Kautsky che rivolgeva la propaganda unicamente ai braccianti, escludendo mezzadri e piccoli proprietari, rei di puntare alla proprietà individuale; un colpo durissimo per i fasci che segnò il distacco del Partito dei Lavoratori italiani dal movimento siciliano composto da braccianti, mezzadri e piccoli proprietari. Nonostante tutto ciò, i Congressi di Palermo si rivelarono comunque fondamentali per l’organizzazione delle associazioni socialiste in Sicilia e soprattutto per i fasci che trovarono quella direzione unitaria che si rivelò efficiente nei mesi successivi.

La motivazione che indusse i dirigenti siciliani a convocare due congressi è spiegata dallo stesso Rosario Garibaldi Bosco: Abbiamo voluto distinguere i due congressi – egli diceva – allo scopo di definire meglio il Partito. La Lega, la Federazione (socialista), come la vogliamo chiamare, è necessaria. Questa, ispirata da un unico indirizzo competente della materia, si propone l’esplicazione omogenea del programma socialista. I Fasci attueranno più praticamente il programma stesso, senza che però le due organizzazioni si abbiano a staccare tanto nella propaganda quanto nell’azione.1

Proprio nel giorno della scadenza stabilito dal Partito dei Lavoratori, il 18 aprile, venne inviata a tutti i fasci dell’isola e alle associazioni socialiste siciliane una circolare del fascio di Palermo sulla convocazione di un congresso dei fasci e di tutte le forze socialiste dell’isola; la circolare era firmata da Bosco, Bracciante, Bibbia, Lauricella e Ceraulo, tutti facenti parte del fascio palermitano e delle organizzazioni operaie collegate ad esso. Un punto fondamentale veniva riportato all’interno della circolare: la partecipazione è riservata soltanto a coloro che accettano il programma del Partito dei Lavoratori Italiani, così da evitare discussioni più o meno accademiche che farebbero perdere tempo.2 Tale puntualizzazione trovava la sua giustificazione nella posizione espressa dal gruppo palermitano ed occidentale dell’isola che si posizionava su una piena adesione di tutte le organizzazioni socialiste e dei fasci al partito nazionale; ma, come vedremo successivamente, trovò, probabilmente in maniera inaspettata, una forte corrente d’opposizione espressa dal gruppo della Sicilia orientale, Catania e Messina nello specifico che impedirono di fatto la completa adesione, esprimendo una posizione più autonomista e regionalista. L’altro aspetto che spinse Bosco e gli altri a riportare all’interno della circolare quella precisazione, fu legato alla presenza dei fasci cosiddetti “apocrifi” o “spuri”, quelli cioè creati a fini esclusivamente elettoralistici che non accettarono mai gli statuti adottati dai fasci ufficiali, né le metodologie di lotta, tantomeno le rivendicazioni.

I motivi che portarono i dirigenti dei fasci a ritardare sull’organizzazione dei congressi è legata alla rapida diffusione dei fasci dopo i fatti di Caltavuturo del gennaio 1893 e la necessità della propaganda nei centri rurali siciliani delle figure chiave quali Verro, Barbato, Bosco, De Felice, Montalto e tutti gli altri; nonostante ciò, però, a Catania si ritenne utile organizzarne uno operaio a livello provinciale per la giornata del primo maggio, voluto fortemente da De Felice e dal fascio catanese; in esso vennero stabilite ulteriormente le direttive organizzative da seguire nella provincia.3 A Palermo, negli stessi giorni Bosco e Maniscalco organizzavano un incontro con il Circolo Universitario Socialista di Palermo, con l’obiettivo di gettare le basi per la formazione di una lega socialista siciliana. Si formulò uno statuto che venne presentato al congresso del 21 maggio per l’approvazione.4

Si arrivò dunque a quei giorni di maggio con un movimento, quello dei fasci, in piena espansione nell’isola; 50 i delegati e più di 90 furono i fasci che parteciparono ai congressi, con un numero di quasi cinquemila partecipanti.5 Il tutto si svolse in una città messa sotto strettissima sorveglianza da parte delle forze dell’ordine per volere del governo Giolitti e del prefetto di Palermo che parlava di probabili rivoltosi armati in arrivo in città6. Addirittura, si arrivò a chiedere il totale divieto di manifestazione pubblica da parte del prefetto: Spiegava il prefetto, al ministro dell’interno che l’allarme della borghesia derivava dalla preoccupazione di vedere a Palermo riuniti “insieme a numerosi operai anche molti contadini, che potrebbero venire in città armati”, e questo avrebbe potuto dar luogo a “disordini per parte dei dimostranti e per reazione del ceto borghese”. L’annotazione del prefetto rifletteva chiaramente l’atmosfera di acuta tensione di classe esistente nell’isola.7 Vennero autorizzati i due congressi (inizialmente previsti per i giorni 26 e 27 e poi anticipati ai giorni 21 e 22) ma venne vietata la manifestazione di chiusura prevista per giorno 23 maggio8; il 21 maggio la città era posta in assetto di guerra e via via che i delegati provinciali e i lavoratori arrivavano, cominciavano i pedinamenti serrati e le perquisizioni arbitrarie (mai una pistola fu trovata).

Il 21 maggio, dunque, nei locali di Via Alloro 97, si apriva il Congresso delle associazioni socialiste di Sicilia. Fuori campeggiava una scritta eloquente: Compagni uniamoci e Viva il socialismo. Obiettivo: creare un’unica Federazione Socialista Siciliana e decidere se unire i Fasci al partito. Dopo il discorso d’apertura di Rosario Garibaldi Bosco che ricordò i compagni arrestati nelle settimane precedenti, tra cui Nicola Barbato, Presidente del Fascio di Piana dei Greci, arrestato ai primi di maggio a San Giuseppe Jato con l’accusa di incitamento all’odio di classe, cominciò la discussione. Si parlò della denuncia dei fasci apocrifi e alla necessità di isolarli, fasci definiti spuri e presieduti da borghesi a scopi unicamente elettorali 9. Si passò quindi alla discussione legata alla formazione della lega socialista; De Felice si soffermò sul concetto di rivoluzione e sulla formazione rivoluzionaria della nascente organizzazione: Amici, io non vi invito a compiere atti inconsulti, osservo solo che contro un esercito e contro i mezzi che mancano ai lavoratori che sono quelli che generano ricchezza noi abbiamo l’organizzazione. Noi abbiamo da opporre l’esercito dei lavoratori. Fate o fratelli, ch’io possa dire: la Sicilia è unita, la campagna e la città si sono dati la mano. E sorga presto questo sole dell’avvenire, l’alba della nuova civiltà. Tu Palermo ce lo dirai e noi saremo tutti qui quando da Palermo verrà il grido: l’alba della civiltà è spuntata.10 Lo stesso de Felice, successivamente, propose la votazione di un ordine del giorno: I fasci dei lavoratori di Sicilia riconoscono la necessità della lotta di classe ed affermano il principio socialista rivoluzionario.11 Approvato dalla maggioranza, il principio della lotta di classe venne così accolto dalle organizzazioni siciliane.

I successivi discorsi di Petrina e Noè confermarono la posizione del De Felice; quello di Noè, di ispirazione anarchica procurò non pochi fastidi ai molti presenti, ricordando la decisione presa nell’agosto del 1892 a Genova durante il Congresso fondativo del Partito dei Lavoratori Italiani, nella quale venne decretata l’esclusione degli anarchici e che venne applicata anche a Palermo e provincia. Lo stesso Montalto, Presidente del Fascio di Trapani, in una lettera datata 23 maggio 1893 scrisse della sua profonda insoddisfazione legata alla tonalità troppo ribellista che si prese in alcune discussioni, non permettendo analisi più serie; a suo avviso, tali fatti scaturirono dalla presenza di anarchici, decretando un passo indietro rispetto alle decisioni prese al Congresso di Genova: C’è premura di far la rivoluzione, ma impreparati. 12 Anche Bosco non si mostrò per nulla entusiasta di questo aspetto, confermando quel distacco che si accentuò nelle successive discussioni tra la corrente occidentale (socialista) e quella orientale (più anarchisteggiante, principalmente nelle figure di Macchi e Leonardi), soprattutto per quel che riguardò l’unione della Federazione e dei Fasci al Partito dei Lavoratori Italiani. Ma non solo; se per Bosco e il gruppo palermitano il socialismo doveva farsi bandiera della classe lavoratrice, raccogliendosi in un unico partito autonomo dalla borghesia, d’ispirazione marxista, denunciando lo sfruttamento economico di cui il proletariato industriale e agricolo ne era vittima, per il gruppo orientale invece, o meglio per alcuni suoi esponenti, non vi era il partito come strumento di lotta, né la partecipazione alle elezioni, ma la distruzione dello Stato in quanto forma repressiva, tramite la rivoluzione. De Felice si mantenne in equilibrio tra queste due visioni.

Il gruppo di Palermo ribadì più volte la precisazione riportata nella circolare del 18 aprile riguardante l’adesione al programma del partito, ma servì a poco; che la differenza tra le due correnti fosse netta, lo si poteva riscontrare già negli statuti dei Fasci; se in quelli occidentali, infatti, l’intestazione riportava Partito dei Lavoratori Italiani – Regione Sicilia, in molti di quelli orientali essa mancava13. Lo stesso gruppo di Catania, nella discussione sul principio di lotta di classe, non accennò mai al partito.

Bosco presentò dunque la bozza di statuto:

Art. 1 – Le organizzazioni socialiste della Sicilia dichiarano formata la Sezione siciliana del Partito dei Lavoratori Italiani.

Art. 2 – Conseguenza di tale formazione l’obbligo che ciascuna associazione ha di aderire al Partito dei Lavoratori Italiani.

Art. 3 – Le organizzazioni socialiste nominano, a mezzo dei propri rappresentanti, un Comitato Centrale composto di nove membri avente sede a Palermo; inoltre, vi saranno un Segretario e un Tesoriere.

Art. 4 – Compito del Comitato è quello di:

  1. coordinare le forze socialiste in Sicilia;
  2. attuare praticamente tutte le proposte che dal Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori Italiani vengano emanate;
  3. propagandare l’idea socialista in Sicilia;
  4. inviare conferenzieri nei vari paesi dell’isola dietro richiesta dei singoli gruppi e organizzazioni;
  5. fondare organizzazioni operaie o non nei paesi dove non esistono;
  6. promuovere sottoscrizioni a favore dei colpiti dalla Questura per cause inerenti alla propaganda; a favore degli scioperanti quando lo sciopero è stato provocato da quelle ragioni.14

Cominciò quindi la discussione articolo per articolo e già dal primo vi fu lo scontro tra le correnti; Petrina nello specifico si rifiutò d’accettare la totale adesione al Partito dei Lavoratori Italiani, sostenuto da Noè e dalle associazioni socialiste catanesi presenti al Congresso; Scuderi, uno dei rappresentanti socialisti di Catania si dichiarò regionista e come lui diverse altre figure; De Felice, pur cercando di mantenere un equilibrio, sostenne l’autonomia della federazione. Bosco, per quanto consapevole della diversa visione, non si aspettava una posizione così forte: Noi dobbiamo unirci, non separarci dagli altri compagni della penisola15, non riuscendo però a trovare una maggioranza. Venne approvato dunque l’emendamento proposto da Petrina: Art. 1 – Le organizzazioni socialiste della Sicilia dichiarano di aggregarsi al Partito dei Lavoratori Italiani come membri della grande famiglia internazionale dei lavoratori16. Cancellato il secondo articolo, ci si rivolgeva al terzo e quindi all’elezione del Comitato Centrale; dopo un lungo dibattito sulla necessità o meno di nominare unicamente elementi di Palermo per una questione di facilità di spostamenti, si arrivò all’elezione di 9 membri rappresentanti la Sicilia tutta: Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato (eletto nonostante la sua assenza) e Bernardino Verro (Palermo), Giuseppe De Felice Giuffrida (Catania), Nicola Petrina (Messina), Giacomo Montalto (Trapani), Agostino Lo Piano Pomar (Caltanissetta), Luigi Leone (Siracusa), Antonio Licata (Girgenti). Venne approvato l’articolo 3 con un’aggiunta proposta da De Felice che dava voto deliberativo a 7 membri tante quante le province e consultivo a due, dando però alle associazioni aderenti autonomia d’azione se il contesto lo rendeva necessario. L’adesione al Partito dei Lavoratori veniva in parte approvata ma con primaria importanza alle decisioni proposte dal Partito Socialista Siciliano. Venne inoltre accolta la proposta di Verro di dichiarare Giustizia Sociale organo di stampa della nascente organizzazione.17

Si concluse così il Congresso del 21 maggio; venne dichiarata la nascita della Federazione Socialista Siciliana con una netta vittoria delle forze più autonomiste; l’elezione di tre elementi del palermitano all’interno del Comitato Centrale, fu una magra consolazione per Bosco che non riuscì a realizzare la completa adesione al Partito dei Lavoratori Italiani.

Lo storico Francesco Renda sostenne che mancò una vera discussione politica, confidando in toto nel programma agricolo del Partito dei Lavoratori Italiani.18 L’errore commesso, infatti, nel creare la Federazione Socialista Siciliana, fu quello di non aver stilato un vero e proprio programma politico tale da presentare l’organizzazione nascente come partito autonomo collegato a quello nazionale, ma piuttosto come una “sola” unione di associazioni socialiste; questo, in futuro, pesò gravemente sulla solidità della federazione.

Il Congresso dei Fasci siciliani di giorno 22 venne aperto ancora dal Bosco che si soffermò sul significato di quell’evento e sulla necessità di imprimere alle organizzazioni operaie in Sicilia un indirizzo da potere i fasci funzionare regolarmente con programma omogeneo e affermarsi nel principio della lotta di classe e della socializzazione della terra e degli strumenti di lavoro19; l’obiettivo era quello di creare delle associazioni mutualistiche e sindacali organizzate e con un programma comune, di netto contrasto ai fasci apocrifi quali ad esempio quelli di Giarre, Riposto e Alia. Si passò quindi alla discussione riguardante l’adozione di uno statuto unico per ogni federazione provinciale, redatto da consiglieri provinciali; il Comitato Centrale era formato dai Presidenti delle Federazioni. Si raccomandava inoltre a tutti i fasci la costituzione delle Camere del Lavoro20. Il successivo dibattito si concentrò sulla proposta di De Felice, di ritorno da un incontro con i contadini di San Giuseppe Jato, della creazione di comitati d’azione rivoluzionaria da nominare in tutta segretezza in ogni federazione provinciale e che trovò sostegno nel gruppo orientale, ma non in quello occidentale; la proposta, tuttavia, non venne neanche messa ai voti. Ancora oggi l’idea del Presidente del Fascio catanese non è chiara; è difficile capire se la creazione di questi comitati segreti dovesse essere una sorta di precauzione in caso d’arresto dei gruppi locali dirigenti, o se invece si trattava della formazione di nuclei pronti alla lotta rivoluzionaria.

Successivamente, la discussione passò allo statuto generale dei Fasci siciliani che venne approvato dalla maggioranza dei presenti:

  1. I Fasci dei lavoratori di Sicilia dichiarano costituirsi in sette federazioni provinciali e ciascuna federazione porterà il nome della provincia ove ha sede.
  2. Tutti i Fasci di ciascuna federazione si dichiarano sezioni del Fascio residente nel capoluogo, ed in mancanza di esso di altro Fascio riconosciuto dalle diverse sezioni quale più importante.21
  3. Ogni federazione provinciale avrà unico statuto. Quando condizioni speciali esigessero regolamenti aggiuntivi questi avranno valore per le sezioni per le quali sono stati riconosciuti necessari.
  4. I Presidenti dei Fasci provinciali costituiscono il comitato centrale dei Fasci dei lavoratori.
  5. La funzione di tale comitato è quella di coordinare l’azione di tutti i Fasci e di controllarne le manifestazioni. Il Congresso raccomanda alle singole federazioni provinciali di stabilire, fra un mese, dei sottocomitati provinciali aventi gli stessi scopi, per quel che riguarda la provincia, del comitato centrale.22

E proprio in riferimento all’articolo 3, mesi dopo il Congresso di Palermo, nella Sicilia sud-orientale ve ne fu uno provinciale, a Ragusa, il 28 novembre 1893 per discutere su:

  1. unità dei Fasci della zona;
  2. unità o pluralità di statuti delle cooperative di lavoro, consumo e agrarie;
  3. costituzione di un comitato centrale provinciale direttivo per regolare l’indirizzo e la propaganda;
  4. fondazione di un giornale organo esclusivo dei fasci della provincia;
  5. collegio di difesa;
  6. condotta da tenere nelle elezioni politiche ed amministrative locali, prendendo norma dagli ordini del giorno votati altrove in precedenti congressi;
  7. discussione del progetto Albertoni.23 24

Si presentò dunque in molte zone della Sicilia la necessità di organizzarsi il più velocemente possibile, così da rendere subito efficace la struttura organizzativa dei Fasci.

Il congresso del 22 maggio si rivelò estremamente importante in termini organizzativi, come ribadito da Francesco Renda: Fu questa, indubbiamente, una prova di forza politica, di capacità organizzativa e di maturità ideologica.25. La dimostrazione di maturità mostrata dal movimento siciliano al Congresso è innegabile e dimostra in maniera lampante quanto la tesi del ribellismo spontaneo portata avanti negli anni da diversi storici, sia del tutto errata. Gli interventi di numerosi contadini e operai sulle questioni legate all’elaborazione di piattaforme rivendicative, furono notevoli; in particolar modo quelli di Maria Cammarata del fascio di Piana dei Greci e di Giuseppe Rao del fascio di Termini Imerese, oltre a quello di una contadina di Corleone, in quanto portarono all’attenzione tematiche fondamentali quali l’iscrizione delle donne ai fasci e l’abolizione dei dazi di consumo. Lo stesso redattore – capo del Giornale di Sicilia rimase stupito dagli interventi delle donne; confidandosi con Adolfo Rossi ebbe a dire: Non credevo a me stesso. Parlavano a voce alta e chiara, con disinvoltura e coraggio sorprendente26.

Il Congresso votò all’unanimità la decisione di coinvolgere le donne nel movimento, come riporta la Relazione del Questore di Palermo: Si propugna da vari congressisti il principio di far entrare nella lotta di classe la donna e tutti ne convengono; si stabilisce di fare ai vari fasci raccomandazioni per associare nell’associazione la donna27. Definiti gli aspetti organizzativi, il movimento dei Fasci passò alla sua fase successiva che comprendeva oltre alla partecipazione alle elezioni amministrative, anche l’organizzazione di scioperi e agitazioni, fino all’elaborazione dei patti di Corleone e di Grotte (di cui parleremo nella prossima pubblicazione).

Per concludere, i Congressi di Palermo occupano all’interno della storia dei Fasci siciliani dei lavoratori e del movimento operaio e contadino isolano, un posto estremamente importante; insieme ai documenti rivendicativi proposti dai contadini e dai minatori, la creazione di uno statuto generale segnò la fine dell’ambiguità delle lotte popolari siciliane e di quel ribellismo spontaneo d’impronta feudale, dando inizio alla stagione delle battaglie sindacali organizzate

I Congressi di Palermo decretarono ufficialmente l’incontro tra la città e la campagna ed in tal senso, i Fasci occupano un posto estremamente importante all’interno della storia delle lotte agrarie e operaie siciliane e italiane.

Note:

1 Giustizia Sociale, Palermo, 28 maggio 1893, in Renato Marsilio, I Fasci Siciliani, Edizioni Avanti, Milano – Roma, 1954

2 S. F. Romano, Storia dei fasci siciliani, Edizioni Laterza, Bari, 1959

3 F. Renda, I Fasci siciliani 1892 – 94, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1977

4 S. F. Romano, op. cit.

5 Dai Fasci siciliani alla Resistenza, a cura di Angelo Ficarra, Istituto Poligrafico Europeo, Atti del convegno, Palermo, 23 aprile 2013

6 ASP, Il prefetto di Palermo al ministro dell’interno, 8 maggio 1893

7 S. F. Romano, op. cit., pag. 192

8 Tale manifestazione aveva come tema centrale la rivendicazione delle 8 ore, agganciandosi così all’agitazione nazionale già in atto. Salvatore Francesco Romano, op. cit.

9 M. Ganci, I Fasci dei lavoratori; saggi e documenti, Sciascia editore, 1977

10 Giustizia Sociale, maggio 1893

11 Ibidem

12 AST, Tribunale Militare di Guerra, Processo contro Curatolo Vincenzo, b. 516

13 S. F. Romano, op. cit.

14 R. Marsilio, op. cit., pag. 15

15 Giustizia Sociale, maggio 1893

16 R. Marsilio, op. cit.

17 Rapporto del Questore al Prefetto del 23 maggio 1893, in A.S. di Palermo, Prefettura, 1893, Cat. 16, f.3.

18 F. Renda, I Fasci Siciliani 1892-94, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1977

19 Giustizia sociale, Palermo, 28 maggio 1893

20 Ibidem

21 N.B. – La sede naturale di ciascuna federazione è nel capoluogo di provincia, perché lì si svolge la vita intellettuale ed amministrativa per tutti i comuni che la compongono.

22 Rapporto del Questore al Prefetto del 23 maggio 1893, in A.S. di Palermo, Prefettura, 1893, Cat. 16, f.3.

23 G. Miccichè, I Fasci dei lavoratori nella Sicilia sud-orientale, Edizioni Zuleima, Catania – Ragusa, 1981

24 Il progetto di legge Albertoni presentato dal deputato radicale Pietro Albertoni nel 1893 era composto da dieci articoli suddiviso in cinque punti principali: a) riduzione prezzo del sale fabbricato dallo Stato al costo di produzione; b) abolizione del dazio di consumo interno sulle farine, sul pane e sulla pasta; c) limitazione della trasmissione ereditaria della ricchezza ed aumento progressivo della tassa di successione; d) aumento imposta sulla rendita; l’imposta sul consolidato doveva arrivare fino al 20%; e) aumento dazi comunali sui generi di lusso. Il progetto, che interessò molto il trapanese per l’abolizione del monopolio del sale, venne accolto favorevolmente dal movimento dei Fasci che decise di sostenerlo.

25 F. Renda, I Fasci siciliani 1892-94, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1977

26 J. Calapso, Donne ribelli; un secolo di lotte femminili in Sicilia, Flaccovio editore, Palermo, 1980)

27 In M. Ganci, op. cit., pag. 255

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