Nel 1865 Jules Verne pubblica il suo “Dalla Terra alla Luna” in cui immaginava l’organizzazione di una missione con equipaggio umano allo scopo di raggiungere il nostro satellite. Non era la prima volta che un letterato raccontava di un viaggio verso la Luna, già Ariosto alla fine dell’ “Orlando Furioso” vi fa andare Astolfo in sella a un ippogrifo per recuperare il senno di Orlando, ma il racconto di Verne è particolare perché si tratta di una delle prime opere in cui questo genere di viaggio non ha carattere fantastico o poetico bensì è inteso come il risultato del progresso scientifico del genere umano. Sebbene il racconto sia molto bello il metodo teorizzato da Verne, sparare un proiettile attraverso un gigantesco cannone, venne ben presto ritenuto irrealizzabile dai tecnici perché non solo l’accelerazione dello sparo sarebbe stata troppo forte, al punto di schiacciare e uccidere gli uomini all’interno del proiettile, ma sempre il proiettile avrebbe finito per distruggersi nell’attrito con gli strati più densi dell’atmosfera. Già agli inizi del novecento due uomini, Robert Goddard in America e Konstantin Tsiolkowski in Russia (guarda caso proprio nei paesi che sarebbero stati protagonisti della corsa allo spazio), immaginarono per primi la possibilità di raggiungere la Luna attraverso un razzo, ma fu solo dopo la seconda guerra mondiale che la tecnologia necessaria a tentare l’impresa fu a disposizione. La biografia-intervista di Wernher Von Braun scritta da Bernd Ruland s’intitola “La mia vita per lo spazio”, uno scrittore inglese acidamente disse che magari bisognava aggiungere “anche se di tanto in tanto colpisco Londra”. Risulta infatti innegabile che il grande balzo nello spazio degli anni cinquanta fu possibile solo partendo dalle V2 tedesche cioè i missili che, nell’immaginario di Hitler e Goebbels, avrebbero dovuto radere al suolo le citta della Gran Bretagna. A guerra finita tanto gli Stati Uniti che l’URSS, pur di reclutare gli ex-scienziati del Terzo Reich, furono ben disposti a chiudere un occhio sulle loro eventuali implicazioni nei crimini di guerra del nazismo; le V2 infatti venivano assemblate nel campo di concentramento di Dora – Mittelbau e quindi almeno sui 20.000 morti di questo lager i responsabili del programma missilistico tedesco non possono dirsi privi di colpa. Con i progetti della V2 in mano le due super potenze iniziarono a costruire i loro rispettivi missili balistici per lanciarsi vicendevolmente testate nucleari, ma alcuni gruppi di scienziati cominciarono anche ad investigare la possibilità di usare i medesimi vettori per mettere in orbita un satellite artificiale. L’ora giusta sembrò suonare alla metà degli anni ’50 quando il Consiglio internazionale delle società scientifiche si era augurato che, in occasione dell’Anno geofisico internazionale indetto tra il 1957 e il 1958, fosse possibile lanciare un satellite per esplorare lo spazio. Solo un anno prima questa dichiarazione il fumettista belga Hergé aveva fatto atterrare sulla Luna il suo Tintin a bordo di un razzo molto simile a una V2. Confidando sulle capacità tecnico-scientifiche del suo paese il Presidente Eisenhower affermò il 29 Giugno 1955 che gli Stati Uniti sarebbero stati i primi a centrare l’obiettivo; l’affermazione scatenò un’euforia collettiva nel mondo occidentale perché si era convinti che se c’era qualcuno che poteva riuscire nell’impresa quelli erano proprio gli Stati Uniti. Fu forse questo eccesso di fiducia nei propri mezzi che fece in modo che gli americani se la prendessero comoda convinti di non essere in gara con nessuno; Eisenhower infatti per prima cosa dovette decidere chi sarebbe stato a portare avanti il progetto: l’Esercito coi suoi missili balistici Redstone e Atlas oppure la Marina con il razzo Vanguard? Temendo che il coinvolgimento dell’esercito avrebbe favorito una militarizzazione dello spazio decise di ignorare le raccomandazioni di Von Braun, il quale lavorava per l’esercito, affidando il lavoro alla Marina visto che il Vanguard era “scienza pura” senza implicazioni militari. Von Braun sapeva che il programma Vanguard non aveva assolutamente le caratteristiche per mettere in orbita qualcosa per cui tentò di aggirare l’ordine del Presidente lanciando nel Settembre 1956 lo Jupiter C II; il razzo polverizzò tutti i record, ma all’accensione dell’ultimo stadio, quello che avrebbe dovuto portare il satellite in posizione, i motori fecero cilecca. La colpa non era però dell’ingegnere tedesco bensì di un sabotaggio ad opera dello stesso esercito americano; il Pentagono infatti, saputo di ciò che stava facendo Von Braun, lo convocò a rapporto per fargli una lava di testa e allo stesso tempo inviò degli uomini perché svuotassero i serbatoi del quarto stadio del razzo. La marina così rimase sola e, coma predetto da Von Braun, i primi lanci del Vanguard ebbero risultati molto modesti così che alla vigilia della scadenza indicata da Eisenhower il massimo che il razzo poteva portare era quello che la stampa poi avrebbe chiamato un “pompelmo spaziale” da 9 chili. Ma tanto nessuno gli correva dietro… oppure no? L’ambiziosa affermazione del Presidente americano infatti non aveva solo provocato plaudenti entusiasmi, ma anche una criptica risposta della sua controparte sovietica Nikita Krushev “Noi non cantiamo mai prima di aver fatto l’uovo.”. Una successiva affermazione del 2 Agosto 1955 di Leonid Sedov al congresso degli astronauti di Copenhagen in cui si annunciava che l’URSS avrebbe lanciato un satellite in tempi brevi non fu presa in grande considerazione ritenendola una mera ripicca alle affermazioni americane; in realtà anche i sovietici avevano avviato un loro programma spaziale e le parole di Eisenhower lo aiutarono a superare i suoi primi ostacoli. Se negli Stati Uniti infatti il problema era Esercito o Marina, in Russia era invece convincere il Partito e i vertici militari a sottrarre risorse dai missili balistici per dirottarli sull’esplorazione spaziale. L’equivalente russo di Von Braun era il dottor. Sergiei Pavlovich Korolev sopravvissuto alle purghe staliniane e destinato a diventare, per questioni di sicurezza e segretezza, un’ombra dietro la burocratica dicitura di progettista capo. Non meno brillante dell’ex-ingegnere di Hitler Korolev capì che senza il supporto governativo il programma spaziale sovietico non sarebbe andato da nessuna parte e così nel 1953 scisse al partito per illustrare la fattibilità e l’utilità della messa in orbita di un satellite. In quel momento però per il Cremlino i missili erano solo un mezzo su cui caricare una testa nucleare e così la sua proposta fu bocciata, ciò fino alle incaute dichiarazioni di Eisenhower che diedero a Korolev l’occasione per tornare alla carica. Obtorto collo i militari concessero agli scienziati il lancio di un satellite tra i 1000 e i 1400 chili escludendo però categoricamente fantasie come viaggi spaziali e cose del genere; fatto il satellite si doveva tornare senza indugi ai missili balistici. Il gruppo di Korolev aveva già a disposizione tutto ciò che gli serviva: il 2 Giugno del 1955 era infatti stata inaugurata la base di Baikonur nel deserto del Kazakhstan, vicino alla quale ben presto sarebbe iniziata a sorgere la cittadina di Zvezdograd (Città delle stelle), dove iniziarono i lavori per la progettazione del razzo R-7. Korolev però era convinto di poter ottenere ancora di più rispetto alla piccola concessione dei militari e così decise di approfittare della visita di Krushev a Baikonur per prima incantare il Segretario del Partito con l’imponenza del R-7 per poi spaventarlo con la profezia che se non si faceva qualcosa gli americani sarebbero stati i primi a mettere un satellite in orbita. Intuendo l’immenso valore propagandistico della cosa Krushev, dopo aver avuto l’assicurazione che lo studio sui missili balistici non avrebbe subito rallentamenti, autorizzò che venissero tolte le restrizioni poste dai militari al programma spaziali e anzi ne aumentò anche i finanziamenti. Libero di procedere Korolev mise al lavoro i suoi anche perché la notizia del test dello Jupiter C lo aveva impressionato; temendo di arrivare secondo accettò il consiglio del suo amico e collega Mikhail Tikhonravov di mettere da parte l’Oggetto D1, un satellite scientifico di una tonnellata (peso eccessivo per il razzo R-7), riducendo le pretese a un satellite più leggero in grado di portare solo una trasmittente e una batteria. Originariamente il piano era di lanciare tra Aprile e Giugno 1957, ma il 15 Maggio un disastroso test del R-7, il missile esplose dopo soli due minuti dalla partenza, fece slittare i tempi. I russi però non si diedero per vinti e raddoppiando i loro sforzi riuscirono ad effettuare il primo test di successo il 21 Agosto e, dopo un secondo test di controprova, si decise di fissare la data del lancio al 6 Ottobre, anticipato poi al 4 sempre per il timore di Korolev che gli americani fossero al loro stesso livello di avanzamento. In effetti il mondo continuava ad attendere da un momento all’altro che Washington facesse il grande annuncio e ancora una volta venne sottovalutata l’affermazione del capo delegazione sovietico Anatoli Blagonravov che il 1 Luglio, in occasione dell’apertura dell’Anno internazionale di Geofisica, disse che il lancio di un satellite ad opera dell’URSS era “questione di giorni”; ciò anche perché gli interpreti tradussero la frase con un meno allarmante “nel prossimo futuro”. Alle 23 di sera, ora di Mosca, del 4 Ottobre 1957 Radio Mosca annuncia a sorpresa “Il primo satellite artificiale della Terra è stato lanciato con successo e sta ora girando intorno al globo, su una traiettoria ellittica alla quota di circa 900 km. L’oggetto ha la forma di una sfera con un diametro di circa 58 cm; pesa 83, 6 kg e porta con sé un apparecchio radiotrasmittente. Il suo nome è Sputnik, che in russo significa “compagno di viaggio”.”; poco dopo ancora la radio annuncia “E ora ascoltate, questa è la voce dello Sputnik 1..”, qualche secondo di silenzio e poi un distinto “bip… bip… bip…”. Per gli Stati Uniti fu un calcio nei denti perché era impossibile negare che i sovietici li avevano fatti fessi; in un attimo la fiducia quasi fideistica nella supremazia tecnologia dell’America venne affondata su entrambe le sponde dell’Atlantico che si svegliavano con in orbita una luna rossa. Nonostante i tentativi dell’amministrazione Eisenhower di minimizzare l’evento l’impressione nell’opinione pubblica fu immensa anche perché il tentativo di far passare lo Sputnik come nient’altro che una palla d’alluminio con quattro antenne venne rapidamente ridicolizzato dalla stampa. Il problema non era solo della sconfitta scientifica, ma anche del timore che i russi avessero raggiunto un avanzamento nella tecnologia missilistica tale da fargli avere un bel po’ di metri di vantaggio nella corsa agli armamenti. In realtà come abbiamo visto il razzo R-7 era ancora a livello di mero prototipo e non c’era alcuna possibilità che potesse portare una testa nucleare su una città americana, ma lo shock fu tale che la Casa Bianca fu bombardata di critiche da parte di Senato e Congresso per aver tirato i remi in barca in un campo decisivo come quello degli armamenti. Nacque il così detto missile gap, cioè il timore da parte delle due super potenze che una potesse conseguire un primato assoluto nell’ambito degli ICBM tale da annullare l’effetto di deterrenza del armamento nucleare della controparte, che avrebbe determinato le politiche strategiche tanto degli Stati Uniti che dell’URSS fino alla fine della guerra fredda. Miglior risposta venne dalla comunità scientifica internazionale che, dopo lo stupore, rimase estasiata dal fatto che finalmente l’umanità fosse riuscita a superare il limite della Terra per avventurarsi nello spazio; la dimostrazione che era possibile portare un oggetto stabilmente in orbita apriva un oceano di possibilità di scoperte scientifiche. Krushev rimase sbalordito dalla reazione sia interna che internazionale provocata dalla Sputnik e quindi decise di cavalcare l’onda chiedendo a Korolev di organizzare un secondo lancio per celebrare l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Il leader sovietico pensava a un nuovo satellite che fosse in grado di trasmettere le note dell’Internazionale, ma Korolev, poco interessato alla propaganda, riteneva che un oggetto del genere non sarebbe stato altro che una versione 2.0 del primo Sputnik senza alcuna utilità scientifica. Il progettista capo aveva invece in mente qualcosa di più ambizioso: mettere in orbita un essere vivente. Tanto l’URSS quanto gli Stati Uniti avevano sin dagli inizi degli anni ’50 avevano avviato dei programmi in cui venivano usate cavie animali per simulare le situazioni in cui si sarebbe trovato un essere umano durante un volo suborbitale ed orbitale. Gli americani scelsero le scimmie mentre i russi delle cagnette selezionate allo scopo nell’Istituto Pavlov di Leningrado; un altro gruppo di animali, considerati sacrificabili, vennero invece usati per condurre ricerche sulla fisiologia e tarare al meglio l’apparecchiatura che si sarebbe utilizzata per “l’elité”. Il 3 Novembre 1957 lo Sputnik 2 viene messo in orbito e stavolta si trattò di ben altro che una palla di alluminio con quattro antenne; il nuovo oggetto infatti aveva la forma di un cono a tre stadi: nel primo trovavano posto due esprimenti per la misurazione delle radiazioni X e ultraviolette nell’alta atmosfera, nel secondo vi erano le antenne radio mentre nel terzo era stato creato un alloggio dove prese posto una cagnetta bastardina di due anni chiamata inizialmente Kudrjavka, ma che poi per semplificare verrà ribattezzata Laika. I russi non sono subito chiari sul fatto che la “missione” di Laika sia senza ritorno e quando ciò divienne chiaro vibranti proteste si alzarono dall’occidente per il sacrificio dell’animale (in Italia Dino Buzzati scriverà un lacrimevole articolo sulla sorte di Laika mentre in Inghilterra, dove notoriamente sono amanti dei cani, si tennero manifestazioni di protesta davanti all’ambasciata sovietica). La cosa ben prestò transitò nella tipica lotta tra guelfi e ghibellini della Guerra fredda con l’occidente che accusava il blocco comunista di mancanza di etica mentre l’URSS replicava ricordando il silenzio di fronte “allo sfruttamento crudele dei popoli coloniali votati a morte lenta”; a onor del vero va detto che almeno da parte americana le critiche erano quanto mai ipocrite visto che nessuna delle scimmie usate per i loro test di volo fino a 130 km era tornata viva. Comunque a monte di queste polemiche l’URSS aveva ottenuto un altro grande successo scientifico che avrebbe potuto essere però ancora più grande se non fosse stata per la psicosi da segretezza. Come detto infatti lo Sputnik 2 portava con se anche due esperimenti che una volta raggiunta l’orbita iniziarono a captare un intenso flusso di particelle fuori dall0’atmosfera, in particolare il 7 Novembre venne registrato un aumento del 50% dell’intensità delle radiazioni mentre nello stesso momento nessuna stazione terrestre rilevava variazioni di sorta. I risultati migliori si sarebbero potuti ottenere quando lo Sputnik avesse toccato il suo apogeo, ma ciò avvenne mentre il satellite attraversava una zona oltre il polo sud fuori dalla portata di ricezione delle stazioni sovietiche. Non avendo voluto i sovietici condividere i codici di accesso con gli altri esperti mondiali e non avendo il satellite un sistema di memorizzazione delle informazioni questi preziosissimi dati andarono perduti e così gli scienziati russi non poterono avere un quando chiaro di ciò che avevano rilevato. A trarre vantaggio da questi errori saranno, e lo vedremo a breve, gli americani che però intanto devo incassare il secondo colpo nel giro di pochi mesi; ancora una volta Eisenhower tenta di mostrarsi imperturbabile andando a giocare a golf e ancora una volta l’opinione pubblica lo bombarda di critiche mentre negli ambienti dell’esercito inizia a girare il commento sarcastico “abbiamo preso i tedeschi sbagliati”. L’avventura dello Sputnik 2 terminerà nella notte tra il 13 e il 14 Gennaio 1958, dopo 2570 orbite, quando il satellite si disintegrò nell’atmosfera terreste. E Laika? Per anni la tesi prevalente fu che la cagnolina era morta dopo aver assunto l’ultimo pasto avvelenato preparato per evitarle sofferenze, ma negli ultimi anni dalla Russia è iniziata ad emergere una nuova verità e cioè che probabilmente Laika morì poche ore dopo il lancio, tra la terza e la quarta orbita, per un infarto dovuto a un improvviso aumento di calore dovuto a un malfunzionamento dello scudo termico (anche se indiscrezioni più recenti affermano che forse l’animale non arrivò mai vivo in orbita per un guasto al sistema di ossigeno pochi istanti dopo la partenza). Intanto il 6 Dicembre del 1957 gli Sati Uniti si apprestavano a ridurre finalmente le distanze con il primo lancio ufficiale di quel razzo Vanguard tanto voluto dal Presidente; giornali e televisioni si accalcarono per raccontare in diretta l’inizio della rimonta dell’America e invece… invece non appena il conto alla rovescia finì il razzo volò per qualche metro prima di tramutarsi in una gigantesca palla di fuoco. L’umiliazione è completa e i russi decidono di infierire facendosi latori attraverso l’ONU di un’offerta di assistenza tecnica; sembrava quasi una partita di calcio in cui una squadra è scesa in campo sicura di vincere facile e invece dopo pochi minuti si ritrova sotto di due gol sbagliando anche un rigore. Certo giustamente qualcuno affermò che i sovietici si facevano belli dei loro successi perché la censura nasconde gli eventuali fallimenti, ma questa considerazione poco aiuta perché alla fine della fiera lo Sputnik 1 e 2 in orbita ci erano andati. L’ora però della rivincita sta per suonare e passa dalla rivelazione fatta dal Chicago Sun Times della decisione presa a suo tempo da Eisenhower di prediligere ai razzi dell’esercito (e di Von Braun) quelli della marina perché convinto che lo spazio non dovesse diventare cosa di competenza militare. Messo sulla graticola dall’opinione pubblica come il responsabile ultimo degli insuccessi il Presidente fu costretto a ingranare la retromarcia e a dare finalmente carta bianca a Von Braun che, senza perde tempo, organizzò un lancio per il 28 Gennaio, spostato poi al 31 causa maltempo. Alle 22.25 l’Explorer I entra in orbita facendo tirare un grosso respiro di sollievo all’intero mondo occidentale. Non sono infatti solo gli Stati Uniti ad essere preoccupati per i successi sovietici, ma anche l’Europa sia perché qui il timore per le capacità missilistiche sovietiche sono molto più giustificate data la minor distanza sia perché molti governi si trovano in imbarazzo nel dover spiegare come un paese che era descritto miserevole sotto la cappa comunista fosse in grado di mandare roba nello spazio quasi non ci fosse un domani. In Italia ad esempio Democrazia cristiana e Movimento sociale possono finalmente cantar vittoria dopo aver dovuto per settimane subire il gongolamento delle sinistre. Vero è che rispetto agli Sputnik l’Explorer è molto più piccolo (si e non 14 kg distribuiti su due metri di lunghezza per quindici di diametro), ma gli americani sono riusciti a imbottirlo di materiale scientifico, in particolare un contatore Geiger-Muller per la rivelazione di raggi cosmici opera del fisico James Van Allen. Grazie a questo macchinario Van Allen sarà in grado di raccogliere quegli stessi dati che i russi avevano perso con lo Sputnik 2: si nota infatti che in alcune zone dell’orbita terreste le rilevazioni del contatore davano zero e si capisce ben presto che ciò non vuol dire assenza di eventi bensì un eccesso di rilevazioni che hanno saturato la strumentazione. La prova del nove arriverà con l’Explorer III, il II aveva fatto fiasco, lanciato il 26 Marzo; Van Allen potrà così teorizzare che la Terra è avvolta da una fascia di particelle cariche intrappolate all’interno del suo campo magnetico e che proteggono il nostro pianeta dai raggi comici. La fascia sarà battezza nell’estate del 1958 col nome del suo scopritore ed è ancora oggi conosciuta come fascia di Van Allen. Frattanto i russi, dopo le congratulazioni di rito, non si sono affatto fatto prendere dal panico e hanno continuato a portare avanti il loro programma secondo i tempi preventivati; Korolev infatti sa che l’Explorer non significa affatto il pareggio tra USA e URSS e che anzi i sovietici hanno ancora un discreto vantaggio con cui stupire il resto del mondo. Il 15 Maggio lo Sputnik 3 è messo in orbita e si tratta di nuovo di record perché è il più grosso oggetto fino ad allora mai lanciato da uomo nello spazio (pesa 1327 kg) e permette a Krushev di gongolare felice perché gli americani “dormono sotto una luna rossa”. Dal canto loro questi devono invece di nuovo ingoiare il rospo, reso più acerbo dall’ammissione di Von Braun che ci sarebbero voluti almeno due anni perché gli Stati Uniti fossero in grado di equiparare un lancio del genere. Lo Sputnik 3 è finalmente quell’Oggetto D che Korolev aveva sognato sin dall’inizio di lanciare: un satellite interamente scientifico con a bordo un sacco di esperimenti su radiazioni cosmiche, energia solare, rilevatore d’impatto di micro meteoriti ecc.; ma a dimostrazione che i sovietici proprio non hanno fortuna con la fascia di Van Allen le misurazioni della sua profondità, che avrebbero affievolito lo smacco di non averla rilevata per primi, andarono di nuovo perdute per il malfunzionamento di alcune apparecchiature. Di fronte però all’ennesimo successo dei sovietici Eisenhower capisce che è necessario fare qualcosa alla radice: serve invogliare le nuove generazioni a dedicarsi alla scienza e così vengono approvati una serie di forti stanziamenti a favore dell’educazione scientifica nonché si invitano a Premi Nobel a girare le scuole del paese per descrivere ai ragazzi il loro mestiere. Oltre a ciò però la Casa Bianca, riconoscendo che parte del ritardo rispetto ai russi è stato dovuto all’indecisione iniziale Marina o Esercito, decise di evitare problemi per il futuro creando un ente apposito che avrebbe avuto il compito di supervisionare l’esplorazione spaziale ad uso civile; il 29 Luglio 1958 nacque la National Aeronautic and Space Administration meglio conosciuta con l’acronimo di NASA. Sempre nella seconda metà del 1958 gli Stati Uniti finalmente poterono vantarsi di aver conseguito un chiaro successo sui sovietici con la messa in orbita il 19 Dicembre del satellite Score che non solo è il primo satellite per le telecomunicazioni, trasmetterà un messaggio natalizio del Presidente al mondo intero, ma pesa anche quattro tonnellate ed è dunque ben più pesante dello Sputnik 3, smentendo così le pessimistiche dichiarazioni di Von Braun. Non è un caso che spesso la corsa allo spazio sia stata raffigurata come una partita a ping-pong tra Stati Uniti e URSS; dopo lo Sputnik 1 infatti i lanci hanno iniziato a susseguirsi a ritmo serrato con le due super potenze che tentano immediatamente di ribattere ai successi della controparte. Non si tratta più infatti solo di una questione scientifica o militare, ma anche di prestigio; l’esplorazione spaziale è infatti sulla bocca del mondo intero e ogni nuovo primato raggiunto permette di proclamare la superiorità di un sistema (capitalista o comunista) sull’altro. Di fronte dunque allo Score statunitense veniva dato per scontato che ci sarebbe stata una qualche risposta sovietica, in pochi però si aspettavano che Korolev fosse di nuovo pronto a cambiare i parametri della partita. A Baikonur infatti si iniziava a ritenere che mettere satelliti in orbita ormai fosse diventata una cosa “facile”, per cui si decise di cambiare orizzonti e provare a puntare il bersaglio grosso: la Luna. In verità già la NASA, subito dopo la sua nascita, aveva tentato di spedire delle sonde verso il nostro satellite con il programma Pioneer, ma tutti i lanci erano stati in un modo o nell’altro dei fallimenti; gli unici risultati di rilievo furono la scoperta di una seconda fascia di particelle attorno alla Terra con il Pioneer II e la misurazione della profondità dell’intera fascia di Van Allen con il Pioneer III. Gran parte degli insuccessi sarà dovuta a malfunzionamenti dei missili usati (razzo Thor-Able e razzi progettati da Von Braun) a dimostrazione che in quel momento gli Stati Uniti non disponevano ancora di un vettore in grado di spingere un oggetto fuori dall’orbita terrestre. Purtroppo per Von Braun e compagni non si poteva dire la stessa cosa dei sovietici, infatti Korolev aveva da tempo iniziato a modificare il razzo R-7 per renderlo in grado di far raggiungere a una sonda la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre. Il 2 Gennaio 1959 Radio Mosca lasciò di nuovo tutti senza parole rivelando che l’URSS aveva effettuato il lancio di un oggetto, chiamato Metchka e ribattezzato Lunik, direzione il satellite naturale della Terra. La sonda il 3 Gennaio rilasciò una nube di gas sodio, divenendo una specie di cometa artificiale e al fine studiare il comportamento del gas nel vuoto, per poi il 4 Gennaio passare 5.995 km dalla Luna e dunque entrare in un’orbita solare tra la Terra e Marte. Ancora una volta caroselli di gioia nelle strade russe, ancora una volta sconforto in occidente dove si ha la sensazione di stare continuando ad arrivare secondo in una partita a due; ancora una volta Krushev che può mettere in mostra il suo atteggiamento guascone, ancora una volta Eisenhower bersaglio di critiche per l’apparente sottovalutazione dei progressi sovietici (il Presidente si limiterà ad emettere con comunicato con delle congratulazione di circostanza all’Urss). Per nulla pago del successo Korolev decide di raddoppiare e così il 12 Settembre il Lunik II prende il volo stavolta non per fare il pelo alla Luna, ma per andarci a impattare contro cosa che avverrà il giorno dopo nell’area conosciuta come Sinus Lunicus. Stavolta l’Occidente in un primo momento metterà in dubbio che i sovietici possano essere riusciti in così poco tempo a conseguire un risultato di tale portata, anche perché la solita mania della segretezza fa in modo che molti informazioni sull’impatto non vengano immediatamente forniti, ma dopo neanche un giorno il radiotelescopio di Manchester in Inghilterra diffonde i dati che permettono di calcolare la traiettoria del Lunik II e confermare che i sovietici hanno di nuovo fatto centro (sia letteralmente che metaforicamente). Il successo russo è poi triplo sia perché finalmente si può anche vantare una chiara scoperta scientifica, l’accertamento dell’esistenza dei venti solari, sia perché il Lunik II ha portato sulla Luna una serie di gagliardetti con i simboli dell’Unione Sovietica. Krushev, che ormai abbiamo imparato ama i gesti ad effetto, quando pochi giorni dopo si recherà in visita negli Stati Uniti regalerà una copia di questi gagliardetti ad Eisenhower. Neanche un mese dopo arriverà poi il colpo che sembra assegnare inequivocabilmente il set all’URSS: il Lunik III, lanciato il 4 Ottobre, circumnavigò la Luna scattando le prime foto del lato nascosto del nostro satellite; i 29 scatti, fatti a una distanza di 64.000 km, permisero di coprire il 70% della superfice nascosta rivelando un paesaggio molto diverso rispetto al lato visibile, con soli due mari e molti crateri d’asteroidi. Mentre in tutto il mondo la stampa comunista si fa bella mettendo in prima pagina il collage dei 29 scatti (in Italia lo farà L’Unità) negli Stati Uniti il morale è sotto i tacchi e Von Braun afferma che “andando avanti così atterreremo sulla Luna passando per la dogana sovietica”. Quello dell’ingegnere tedesco è un allarme ingiustificato, ma non isolato visto che già all’epoca dello Sputnik 2 molti giornali americani avevano parlato della possibilità di una missione russa verso la Luna con equipaggio umano. Forse è a causa di queste voci, o forse perché i sovietici stanno rapidamente riempiendo il volto nascosto di toponimi del tipo mare moscovita o monti Sovietsky, che Eisenhower mette le mani avanti e propone una convenzione internazionale in materia di spazio in cui si dichiari che i corpi celesti non possano essere oggetto di rivendicazioni nazionali e che i lanci futuri debba passare sotto supervisione ONU. Dall’URSS scienziati e lo stesso Krushev gli fanno eco affermando che non vi è alcuna intenzione di avanzare pretese territoriali sulla Luna e che l’esplorazione spaziale debba essere messa al servizio dell’intera umanità, ma poi in concreto non si farà mai niente e le due super potenze continueranno a gestire la vicenda come una sfida tra loro. Comunque in realtà gli Stati Uniti non stavano andando così male e, anche se non conseguivano successi di grande visibilità come quelli russi, non di meno miserp la firma su non pochi risultati di grande importanza tecnica per mezzo dei loro satelliti: americani sono infatti i primi satelliti metereologici per la rilevazione continua del tempo ad uso civile così come americano è il Telstar cioè il primo satellite adibito alle telecomunicazioni. Di ben altro tenore è invece il Midas capostipite dei satelliti spia e messo in orbita al fine di rilevare, attraverso un sistema ad infrarossi, il lancio di missili balistici. Comunque dopo i Lunik la corsa allo spazio sembrò entrare in una fase di stanca; si continuarono a lanciare satelliti per uso civile, ma per quasi due anni nessuna delle due parti mise a segno un colpo ad effetto come quelli del triennio ’57-’59. La verità è che dopo i vari Sputnik, Explorer e Lunik il “semplice” lancio di un satellite non è più in grado emozionare gli animi e si è inattesa che giunga il momento in cui venga osato il passo successivo: mandare un uomo nello spazio. A questo obiettivo si dedicano alacremente tanto gli USA che l’URSS intensificando le missioni con equipaggio animale anche se in realtà il primo lancio che aprirà la strada ai voli umani, il Korabl Sputnik 1 del 15 Maggio 1960 in cui per la prima volta è testata in orbita la capsula Vostok, non avrà per equipaggio un animale, ma un manichino. La missione non fu un gran successo perché al momento in cui si sarebbe dovuto far rientrare il razzo sulla Terra vi furono dei problemi e così la capsula rimase in orbita 843 giorni prima di ridiscendere nell’atmosfera. Ben peggio andò il 15 Luglio del 1960 con una delle prime missioni sovietiche che sarebbero rimaste senza nome per seppellirne il completo fallimento; qui il razzo, che avrebbe dovuto portare in orbita due cagnette di nome Chaika e Lisichka, esplose dopo soli diciassette secondi uccidendo entrambi gli animali. Successo ebbe invece il lancio del 19 Agosto che portò in orbita il Korabl Sputnik 2 con a bordo le cagnette Belka e Strelka, topolini, ratti, insetti, alghe marine, batteri ed alcuni frammenti di pelle umana donata dai medici del programma spaziale per studiare l’effetto delle radiazioni sul corpo umano; stavolta tutti tornarono a terra sani e salvi il giorno dopo atterrando a dieci chilometri dal punto stabilito. La missione fu importante non solo perché dopo il triste fato di Laika i sovietici erano finalmente riusciti a riportare sulla Terra una capsula con a bordo degli esseri viventi, ma anche perché il sistema di espulsione mezzo paracadute dei sedili su cui erano alloggiate le cagnette, fondamentale in vista di una missione umana, aveva avuto pieno successo. Va detto però che la cagnetta Belka sarà anche il primo essere vivente a mostrare dopo il rientro i sintomi del così detto “mal di spazio” comprendenti nausea, capogiri e letargia dovuti al rapido passaggio da una situazione di assenza di gravità alle normali condizioni terresti. Il successo della Korabl Sputnik 2 comunque non era ancora indicativo della sicurezza della Vostok perché la missione successiva, Korabl Sputnik 3, lanciata il 1 Dicembre ’60 con a bordo altre due cagnette, Pchelka e Mushka, ebbe di nuovo esito negativo visto che la capsula entrò in orbita, ma una serie di problemi ne determinano la perdita insieme all’equipaggio. Non si è mai accertato esattamente cosa successe e cioè se, come disse Radio Mosca all’epoca, la capsula andò distrutta a contatto con l’atmosfera o rientrò sulla Terra cadendo in mare in una zona sconosciuta o ancora se venne fatta esplodere da Baikonur una volta che se ne perse il controllo. Per comprendere l’ultima possibilità bisogna capire che i sovietici, sempre per la mania della segretezza, avevano deciso che rientrando sulla Terra le loro capsule dovessero atterra su suolo dell’URSS o comunque comunista, al contrario gli americani opteranno per gli ammaraggi. Questa scelta spiega l’importanza del prima citato sistema di eiezione dei sedili perché ovviamente una capsula rientrando dallo spazio, anche se rallentata da un paracadute, si schianta al suolo con una certa forza e quindi un essere umano, per non rischiare di morire nell’impatto, doveva paracadutarsi fuori. Seguì un’altra missione senza nome (cagnette Sciutka e Kometa) lanciata il 22 Dicembre dove, nonostante un guasto al razzo R-7, si riuscì a far rientrare la Vostok e a salvare i due animali nonostante terribili ore passate a -40° nel pieno della Siberia. Catastrofe completa invece si era verificata il 23 Ottobre al primo test di lancio del nuovo missile R-16, costruito da Mikhail Yangel nonostante i dubbi di Korolev sulla scelta di usare come propellente una miscela di idrazina e acido nitrico. A causa di una perdita di carburante venne sospeso il conto alla rovescia e inviati alcuni tecnici per riparare la falla, ma d’improvviso un guasto fece accendere la propulsione dell’ultimo stadio trasformando la piattaforma di lancio in un immenso rogo e provocando un’esplosione che uccise 190 persone. Ovviamente di questa tragedia non si saprà niente fino alla caduta dell’URSS negli anni novanta. Nonostante questo incidente Korolev riuscirà nel 1961 a realizzare due missione che sembrano risolvere i dubbi sulla capsula Vostok: il Korabl Sputnik 4 venne lanciato il 19 Marzo, con a bordo di nuovo uno zoo (la cagnetta Cernuska oltre a rettili, porcellini d’india e topolini) e un manichino con una tuta d’astronauta, rientrando senza problemi dopo 1 ora e 40 minuti; il Korabl Sputnik 5 partirà invece il 25 Marzo 1961, con a bordo la cagnetta Zvezdochka e un manichino battezzato Ivan Ivanovich, e rientrerà anch’essa con successo dopo un ora avendo sperimentato il funzionamento del sistema di trasmissione (vennero usate due ricette di zuppa). Questa sarà l’ultima missione della capsula Vostok senza equipaggio umano infatti a Baikonur è già pronta la triade di cosmonauti tra i quali si dovrà scegliere il nome del primo uomo a entrare nello spazio. E gli Stati Uniti? Fondamentalmente andranno un po’ a rilento rispetto ai ritmi dei sovietici: il 28 Maggio 1959 le scimmie Able e Miss Baker eseguirono il primo volo suborbitale mentre le i loro colleghi Sem (4 Dicembre) e Miss Sam (31 Gennaio ’60) testeranno per prime, sempre in volo suborbitale, la capsula Mercury. Solo il 31 Gennaio gli Stati Uniti entreranno in orbita con la scimmia Ham che diventerà un autentico eroe nazionale ottenendo la prima pagina della rivista Life. Ham era stato addestrato a premere ogni venti secondi con la mano destra una leve che accendeva una spia rossa mentre ogni due minuti con la mano sinistra doveva premere un’altra leva che spegneva una spia blu; a ogni errore riceveva una scarica elettrica e una spia bianca usata per farla stare tranquilla si spegneva. Il 29 Novembre del 1961 prenderà poi il volo la scimmia Enos, ma a quel punto la storia dell’esplorazione spaziale sarà già passata oltre il viaggio degli animali.
Bibliografia:
- Paolo Magionami, Gli anni della Luna
- Carlo Pinzani, Il bambino e l’acqua sporca – La guerra fredda rivisitata
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