La triade finale di nomi dalla quale sarebbe emersa l’identità del primo uomo nello spazio aveva avuto una gestazione lunga e complessa. Dopo un lungo esame del personale a disposizione delle basi aeree di tutta l’URSS alla ricerca dei candidati idonei, 70 kg di peso per 170 cm di altezza e una incrollabile fede nella causa comunista, nel Febbraio 1960 venne stilata una lista di venti soggetti idonei. Si trattava peer lo più di giovani piloti dei MIG, tutti tra i 34 e i 24 anni, per i quali iniziò un lungo periodo d’addestramento fisico e teorico che comprendeva anche la temutissima camera d’isolamento; questa era appunto una camera in cui temperatura, illuminazione e pressione erano per diedi giorni gestite a discrezioni degli esaminatori per testare il comportamento dei candidati in ogni situazioni che si sarebbe potuta venire a creare nello spazio. Si trattava, e tutti i cosmonauti l’anno confermato, di un’esperienza al limite dell’umano tollerabile e quindi non deve sorprendere se avvenne anche una tragedia quando Valentin Bondarenko, stremato mentalmente dai dieci giorni lì dentro, diede accidentalmente fuoco alla stanza morendo nel rogo. Il 25 Gennaio 1961 la lista si era ridotta a solo sei nomi considerati idonei e ad Aprile ne rimasero solo tre: Yuri Gagarin, German Titov e Grigory Nelyubov. Alla fine la scelta cadde su Yuri Gagarin, il prediletto di Korolev, che aveva dalla sua aveva due punti a vantaggio: primo l’aspetto da bravo ragazzo della porta accanto, con quel suo sorriso sfuggente e quasi imbarazzato, secondo il background perché essendo figlio di un falegname e di una domestica venne considerato più “proletario” rispetto a Titov figlio di un insegnante. Incredibile la storia di Gagarin che da giovane sembrava destinato a diventare un meccanico, ma nel 1955 decise di iscriversi a una scuola serale di volo entrando così nell’aereonautica sovietica diventando pilota ingegnere con il massimo dei voti; spedito in un’ignota base a 300 km dal circolo polare artico qui venne notato dai tecnici inviati per tutto il paese in cerca dei futuri cosmonauti e inviato a Mosca per i test. Così, dopo aver superato una prova dopo l’altra, il 12 Aprile 1961, a poco meno da un mese dalla nascita della sua seconda figlia Galya, Gagarin si apprestò al suo grande volo. Prima però di continuare vediamo un attimo come si giunse dal punto di vista tecnico a questo punto. Già alla fine degli anni quaranta si era studiata la possibilità di lanci suborbitali con equipaggio umano per mezzo di aerei a reazione appositamente modificati o di strani ibridi tra una capsula spaziale e un elicottero; il successo dello Sputnik però spostò le attenzioni dalla suborbita all’orbita terreste e così il 22 Maggio 1959 venne ufficialmente varato il programma Vostok (oriente). Oltre 7000 persone tra scienziati, tecnici e ingegneri si trasferirono a Zvezdograd per prendere parte al progetto di costruzione della capsula che avrebbe dovuto rendere possibile il grande balzo. Fondamentalmente la Vostok era un oggetto composto da due parti: la capsula vera e propria, dalla forma sferica e dotata di tre oblò, all’interno della quale avrebbe preso posto il cosmonauta su un seggiolino eiettabile, di cui abbiamo già detto, e un modulo per il rientro dove sarebbero stati alloggiati i retrorazzi per mettere la navicella nella giusta traiettoria. Annoso problema fu scegliere se fornire o meno al cosmonauta la possibilità di pilotare personalmente la capsula: il KGB era contrarissimo perché temeva atti di diserzione e, paradossalmente, di orientamento negativo erano anche i medici che sospettavano possibili malesseri o svenimenti del cosmonauta una volta in orbita. Alla fine si scelse per l’opzione salomonica di mettere nella capsula i controlli manuali, ma di bloccarli con un codice da comunicare al cosmonauta solo in caso di emergenza; per cui il primo uomo nello spazio più che un pilota sarebbe stato un mero passeggiero della Vostok interamente controllata da Baikonur. L’idea era di mettere sotto il seggiolino della capsula un manuale che spiegava come sbloccare i comandi, ma l’idea parve troppo cervellotica e così si decise infine di comunicare a Gagarin i codici mentre si trovava sulla torre di lancio. Poco prima il questi aveva dato il via a un rito che ancora oggi viene scrupolosamente messo in atto da ogni cosmonauta prima di essere lanciato: andare in bagno. Sono le 8.51 quando il conto alla rovescia si esaurì e venne dato l’ordine di accensione mentre Gagarin pronunciava la storica frase “Poyekhali!” (“Si va!”) che divenne il motto dei cosmonauti prima sovietici e poi russi. Ci vollero nove minuti perché il razzo R-7 portasse la capsula in orbita e Gagarin, dopo le frasi di circostanza in cui ringraziava il Partito e lo Stato sovietico, lasciò andare la tensione dicendo “Mi sento bene, il volo procede regolare. La Terra è azzurra. Vedo le nuvole. E’ bellissimo.”. Più controverso invece è se abbia davvero detto “Non vedo nessun Dio” seguito da un ringraziamento alla filosofia del cosmismo, all’epoca tornata di gran moda nell’URSS, e al suo ideologo Federov che esprimeva (in via molto generica) una fede assoluta nella scienza come mezzo per colonizzare lo spazio e giungere al massimo perfezionamento della specie umana. Per quanto abbia provato ad immaginarlo secondo me è impossibile a chi non sia mai andato di persona lassù anche solo pensare a cosa dovette provare Gagarin nell’osservare per la prima volta il nostro pianeta da fuori; vederlo non come il tutto a noi conosciuto, ma come una parte di un tutto immensamente più grande della sola Terra. A inizio novecento il già citato padre russo della missilistica applicata all’esplorazione spaziale, Konstantin Tsiolkowski, aveva pronunciato la celebre frase “La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre in una culla.”. Con Gagarin l’umanità aveva finalmente abbandonato la sua culla aprendosi all’intero universo; non si trattava solo di un evento storico dal punto di vista scientifico, ma anche filosofico ed etico con il lontananza il riecheggiare di Giordano Bruno che aveva parlato di infiniti universi e mondi. Il volo di Gagarin durò 108 minuti, ma il rientro non fu privo di momenti di tensione a causa di una perdita d’assetto della Vostok che iniziò a girare su se stessa mentre lo scudo termico sembrava sul punto di collassare. Fortunatamente però alla fine la capsula riuscì a rientrare integra nell’atmosfera e a settemila metri Gagarin venne espulso fuori così da poter poi aprire il paracadute a quattromila metri. Sotto di lui, vicino al villaggio di Smelovka nella regione di Saratov, una contadina di nome Anna Taktarova è la prima ad avvistare questa figura che lentamente scendeva dal cielo; sa benissimo di chi si tratta perché da ore Radio Mosca ha dato l’annuncio del grande evento e così, senza esitazione, gli corre incontro per abbracciarlo e offrigli una tazza di latte caldo. Era stato Yuri Levitan, il radiocronista che durante la seconda guerra mondiale aveva annunciato la vittoria di Stalingrado e la resa di Berlino, a leggere alle 8 ora di Mosca il comunicato che, ancora una volta, aveva stupito il mondo “E’ avvenuto oggi 12 Aprile il primo volo nello spazio con un cosmonauta sovietico a bordo. La prima astronave del mondo con un uomo a bordo è la Vostok, lanciata il 12 Aprile dall’Unione Sovietica e inserita in un’orbita circumterrestre. Il primo cosmonauta è il maggiore Yuri Gagarin. Contatti radio bilaterali sono stati stabili e mantenuti con Gagarin. Il veicolo spaziale, esclusa la parte del razzo vettore, pesa 4725 kg.”.
Primo astronauta nello spazio? Molti staranno pensando, ma dei cosmonauti perduti non parli? Ok proviamo a farlo cercando di evitare la lotta tra guelfi e ghibellini; per i non aggiornati la teoria dei cosmonauti perduti recita che l’URSS, prima di Gagarin, avrebbe effettuato almeno altri tre voli con equipaggio umano tutti conclusisi con la morte dei cosmonauti. A far nascere questa teso contribuì molto la mania di segretezza dei sovietici che non preannunciavano mai i lanci da loro effettuati, ma ne davano notizia solo in caso di successo stendendo invece un velo d’omertà nel caso dei fallimenti. In una situazione del genere, a fronte di un’URSS che avanzava a tappe forzate, era inevitabile che qualche giornalista raccogliesse mezze voci e dichiarazioni sottovoce ricavandone articoli roboanti in cui si riferiva di un volo umano conclusosi tragicamente. Senza nascondermi dietro un dito io resto pesantemente scettico rispetto a questa teoria per due motivi: uno con l’avvento della glasnost i sovietici iniziarono a desecretare una marea di materiale anche in merito al loro programma spaziale, ma mai nessuna notizia è emersa in merito ai cosmonauti perduti sebbene invece siano state ammesse vicende ben più gravi come il disastro di Baikonur; due pensare a dei lanci segreti è difficile da credere perché da tempo gli USA avevano iniziato ad usare i satelliti come mezzo per monitorare le attività balistiche sovietiche e credere che CIA ed NSA possano essersi fatti sfuggire non uno, ma almeno quattro lanci mi risulta improbabile. Certo a questa obiezione alcuni sostenitori della teoria tetano di smarcarsi facendo un mezzo carpiato per connettere la vicenda dei cosmonauti perduti con il falso allunaggio: gli americani sanno la verità sui cosmonauti morti, ma non ne parlano perché se no la Russia rivelerebbe le prove che l’allunaggio sarebbe stato un falso! Ci vuole solo un pizzico di logica per smentire questa affermazione riflettendo che, per quanto ci si possa provare, sulla bilancia dell’opinione pubblica la rivelazione dell’esistenza di cosmonauti perduti non avrebbe mai lo stesso peso dell’ammissione che non siamo mai andati sulla luca! Di fatto i russi potrebbero dire “Ok abbiamo perso tre o quattro cosmonauti, ma almeno alla fine Gagarin in orbita l’abbiamo messo mentre voi sulla Luna non ci siete mai andati. Comunque uno a zero per noi.”. E le registrazioni dei fratelli Judica Cordiglia? Ecco questo poteva essere un eccellente argomento per una discussione seria se non fosse che certe trasmissioni, chi ha orecchie per intendere intenda, le ha arbitrariamente trasformate in verità assoluta. Sempre per i non addetti i fratelli Judica Cordiglia erano due radioamatori italiani che, dopo i primi Sputnik, iniziarono ad intercettare le frequenze dei segnali radio di ciò che Stati Uniti e URSS mettevano in orbita, non mi spingo a spiegare il come perché essendo poco competente in materia vorrei evitare castronerie; sempre secondo la tesi dei cosmonauti perduti i Cordiglia furono in grado di captare almeno quattro volte le richieste di soccorso da parte di cosmonauti sovietici precedenti a Gagarin che mai fecero ritorno sulla terra. Definite dalle suddette trasmissioni la prova regina dell’intera storia queste registrazioni sono balzate agli onori della cronaca senza che venissero messere in luce alcune criticità e contraddizioni nel loro contenuto. Chiariamo i Judica Cordiglia fecero un lavoro incredibile di “pirtateria” spaziale” e nessuno ha mai messo in dubbio la veridicità delle loro rivelazioni, solo se n’è contestata l’interpretazione. Di nuovo sui dettagli più tecnici mi limiti a riferire: ad esempio vari fisici contestarono il così detto “SOS al mondo” del 28 Novembre 1960 perché proveniva da un punto fisso nello spazio e quindi non da un oggetto in orbita, ma da qualcosa che si allontanava dalla Terra eventualità però impossibile perché nel ’60 i sovietici non disponevano di un razzo vettore così potente da spingere una capsula con equipaggio umano fino alla velocità di fuga dall’orbita terrestre. Ancora il messaggio captato più famoso e più spesso fatto ascoltare, quello del 23 Maggio 1961, in cui tre cosmonauti, tra i quali una donna che ripete di avere caldo e che vede una fiamma, sarebbero morti durante il rientro nell’atmosfera. Per quanto agghiacciante la registrazione si presta ad alcune criticità: 1) fino al 1962 il programma spaziale russo non ebbe cosmonauti donne, 2) rientrando nell’atmosfera la ionizzazione dell’aria provoca il blackout delle trasmissioni, 3) nel 1961 l’URSS non era in grado di effettuare il lancio di un equipaggio di tre persone dato che la Vostok era progettata solo per uno e la sua erede Voschod (1964) vedremo ne conterrà tre a stento e con grossi problemi (solo la Sojuz varata tra il ’66 e il ’67 sarebbe stata progettata espressamente per portare tre persone) 4) è molto difficile credere che l’URSS abbia deciso di rischiare tra cosmonauti in una volta, dato la lunghezza e i costi per il loro addestramento, nei primi tentativi di mandare un uomo in orbita. Personalmente ho trovato la spiegazione data da alcuni esperti che i Cordiglia avrebbero potuto captare, confondendosi, dei segnali terra-terra o da aerei in volo piuttosto sensata e a conti fatti meglio in linea al mio tanto apprezzato rasoio di Ockham. A monte di tutto però mi chiedo: e se anche tutto fosse vero? Perché la sensazione che ho è che il non detto di tutta questa vicenda è: se ci sono dei cosmonauti perduti allora va ridotta l’importanza del volo di Gagarin. Lo dico senza mezzo termini secondo me un ragionamento del genere non avrebbe senso! Non troverei nulla di sconvolgente o strano che nei primi anni della corsa allo spazio ci possano essere stati dei caduti dopotutto si tratta di missioni estremamente pericolose e ancora oggi, nonostante tutti gli avanzamenti della tecnologia, i rischi rimangono comunque alti basti pensare che ancora il modernissimo Space Shuttle ha avuto ben due incidenti catastrofici. Al massimo si potrebbe constatare l’incapacità dell’URSS di fare i conti con i fallimenti, ma dopotutto stiamo parlando di un paese che in primo momento tentò di tenere segreto anche Chernobyl. Lo ripeto però l’equazione cosmonauti perduti = minor valore del volo di Gagarin è pura follia perché sarebbe come dire che visto che nel Giugno del 1924 George Mallory e Andrew Irvine morirono a meno di 240 m della cima dell’Everest, o forse la raggiunsero anche prima di perdere la vita, renderebbe meno storica e importante la conquista del tetto del mondo ad opera di Ed Hillary e Tenzing Norgay nel 1953.
Riprendendo il filo della storia Gagarin diviene subito un eroe nazionale nonché strumento della propaganda sovietica da esibire in ogni occasione. I giornalisti fanno a gara per ottenere una sua intervista e in quattro e quattr’otto verrà data alle stampe un’autobiografia autorizzata. In tutta Europa si levano lodi sperticate al sistema scolastico sovietico il quale, pur con tutti i limiti di essere strumento di un regime autoritario, si è rivelato essere un autentico mezzo meritocratico in grado di produrre tecnici e scienziati all’avanguardia in grado di realizzare imprese a un ritmo incredibile. C’è ovviamente anche tanta curiosità per la capsula Vostok che l’occidente potrà vedere per la prima volta alla Mostra aerea di Tushino del Luglio ’61, anche se lievemente modificata (sono state aggiunte delle alette e una carenatura più pesante) per “ingannare” le spie; solo nel 1965 i sovietici toglieranno il velo sulle caratteristiche della navicella che per prima ha portato un uomo in orbita. Frattanto gli Stati Uniti furono di nuovo costretti a fare gli spettatori di uno spettacolo che credevano avrebbe avuto loro per protagonisti. Primo oggetto nello spazio? Sovietico. Primo oggetto lanciato verso la Luna? Sovietico. Primo uomo nello spazio? Sovietico. Insomma l’URSS vaporizza primati mentre l’America sembra costantemente in ritardo di un quarto d’ora. Alla Casa Bianca però non c’era più il flemmatico Eisenhower, ma il giovane e pimpante John Kennedy che reagì in maniera molto diversa dal suo predecessore. Dopo infatti le congratulazioni di rito e l’ennesimo aumento dei fondi destinati alla ricerca spaziale, il Presidente parlò al Congresso in diretta televisiva con un discorso che sarebbe passato alla storia “E’ giunto il momento di compiere passi maggiori, il momento per una grande iniziativa americana, il momento in cui la nazione deve assumere un ruolo di netta preminenza nelle imprese spaziali. Ritengo che noi possediamo tutte le risorse e tutto il talento necessario. Ritengo che il nostro paese debba impegnarsi a raggiungere, prima della fine del decennio, l’obiettivo di far atterrare un uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra. Nessun altro progetto spaziale in questo momento sarà più emozionante, sensazionale o importante per la futura esplorazione dello spazio, e nessuno sarà altrettanto difficile e costoso da realizzare. In senso più concreto non sarà solo un uomo ad affrontare il volo verso la Luna, ma l’intera nazione, perché noi tutti dobbiamo adoperarci perché egli possa raggiungerlo.”. Erano parole ambizione visto che in quel momento il massimo che gli USA erano in grado di fare era mettere delle scimmie in orbita, ma, solo un anno dopo quel primo discorso, Kennedy ne tenne un altro alla Rice University in cui spronò ancora di più il paese a crederci “Abbiamo deciso di andare sulla Luna entro questo decennio non perché sarà facile, ma perché sarà difficile….Alziamo le vele in questo nuovo oceano poiché in esso vi sono nuove conoscenze da ottenere e nuovi diritti da conquistare ed essi devono essere conquistati e usati per la pace e il progresso di tutti.”. Molti sono convinti che la tragica morte di JFK a Dallas nel ’63, un trauma che si impresse nella coscienza collettiva dell’America, fece in modo che l’intero paese sentisse come suo dovere morale quello di realizzare il sogno del defunto Presidente. Per intanto però la NASA era alle prese con il tentativo di far funzionare la sua capsula Mercury elaborata dal gruppo di lavoro con sede a Langsley Filed in Virginia e poi a Houston in Texas. Contemporaneamente cominciò la ricerca degli astronauti (non dei cosmonauti perché la guerra fredda era anche nei nomi da dare alle cose); il 2 Aprile 1959 venne diramata la lista dei primi sette candidati risultati idonei: maggiore Gordon Cooper, capitano Virgil “Gus” Grissom, maggiore Donald Slayton, capitano Scott Carpenter, capitano Alan Shepard, capitano Walter Schirra e tenente colonnello John Glenn. Le cose però andavano a rilento perché prima il missile Atlas e poi il Redstone di Von Braun fallirono i rispettivi test esplodendo poco dopo il lancio; peggio ancora il 25 Aprile, due settimane dopo il volo di Gagarin quindi quando a tutti serviva un’iniezione di fiducia, un ennesimo test fece fiasco quando dopo solo 40 secondo dall’accensione il razzo Atlas sbandò e si fu costretti ad autodistruggerlo. Serviva disperatamente segnare un punto per dimostrare di essere ancora vivi, lo chiedono in primo luogo i sette astronauti già balzati al rango di eroi, ma che per adesso non facevano altro che addestrarsi e tenere interviste. Così il 5 Maggio 1961 si decise di rischiare e provare, dopo i successi dei test con le scimmie, il primo volo suborbitale con un essere umano a bordo; il prescelto fu Alan Shepard (e se i miei colleghi videogiocatori non sentono come nuovo questo cognome legato allo spazio beh non è una coincidenza) a cui Tom Wolfe dedicherà una biografia titolata “The rights stuff”. Il volo, durante il quale l’astronauta doveva compiere una serie di manovre manuali, si svolse senza imprevisti, tranne l’ordine di “farsela addosso” quando Shepard comunicò un’impellenza fisica. Dopo 15 minuti e 22 secondi la Mercury ammarò dolcemente e Shepard venne ripescato in piena salute; certo in confronto al volo di Gagarin era stata pochissima cosa, ma quanto meno sufficiente a tenere alto il morale delle truppe. Nonostante ciò la prova che la NASA non era ancora pienamente pronta al grande balzo appare evidente quando al volo suborbitale successivo, 21 Luglio, Gus Grissom, dopo aver toccato i 190 km d’altezza, rischiò grosso al momento dell’ammaraggio perché il portellone della Mercury si aprì prima del previsto e la capsula iniziò ad imbarcare acqua. Sia l’astronauta che la navicella saranno recuperati, ma non si può negare che tanto la parte tecnica che umana siano ancora un po’ acerbe rispetto all’avversario russo che si apprestava a fare il bis. La notte del 6 Agosto infatti German Titov salì nello spazio a bordo della Vostok 2 e stavolta non si trattava di una breve toccata e fuga come quella di Gagarin, ma di una permanenza in orbita di quasi una giornata intera. L’obiettivo era dichiaratamente quello di verificare gli effetti sul corpo umano di un lungo periodo in assenza di peso e, nonostante le solite reticenze dei sovietici che tentano la linea del tutto è andato benissimo, si saprà che Titov durante il volo ebbe forti sensazioni di nausea quando voltava rapidamente la testa o cercava di fissare oggetti in movimento. Dopo essere riuscito a dormire per quasi sette ore, prima dimostrazione della possibilità di una tale attività in orbita, e dopo aver visto sorgere e tramontare il sole 17 volte (le 17 aurore cosmiche di cui lo stesso Titov avrebbe parlato nella solita biografia ufficiale)per un totale di settecentomila km percorsi, Titov rientrerà sulla Terra alle 10.18 del 7 Agosto. Sebbene eiezione e discesa col paracadute vadano a meraviglia le condizioni del cosmonauta appena atterrato non erano le migliori poiché Titov fu il primo uomo a soffrire del già citato “mal di spazio” dovuto proprio al lungo periodo in assenza di peso. Comunque nonostante ciò il volo fu un immenso successo e i sovietici ovviamente sfruttarono subito la cosa a fini di propaganda magnificando i mezzi di cui disponeva lo stato socialista e inviando i soliti messaggi proforma perché le superpotenze si uniscano al fine di conquistare lo spazio; lo scopo è quello di rendere l’URSS il campione della distensione facendo apparire gli Stati Uniti gretti e rancorosi nel non dare risposta alla mano tesa. In realtà in America, anche se ci si cerca di consolarsi osservando che dopo Gagarin il volo di Titov non ha nulla di inaspettato, il morale torna a sprofondare nonostante l’illusoria impennata d’entusiasmo per la missione di Shperad; inoltre il nuovo successo russo non fece altro che rinfocolare il missile gap in quanto molti politici e militari si andarono convincendo che l’URSS fosse ormai a un passo dal dotarsi di un gigantesco arsenale missilistico in grado di portare una testata atomica in ogni angolo del globo. La NASA ha dunque disperatamente bisogno di pareggiare la situazione e così nel Febbraio 1962 si decide di mettere da parte i voli suborbitali per lanciare la Mercury in orbita. Ad essere scelto per il compito fu l’astronauta che aveva avuto i migliori punteggi sia fisici che attitudinali: John Glenn dall’Ohio. Il 20 Febbraio, dopo settimane di condizioni atmosferiche pessime, alle 9.47 finisce il conto alla rovescia e il missile Atlas prende il volo da Cape Canaveral portando in orbita geostazionaria anche gli Stati Uniti. Il volo però già alla seconda orbita iniziò a dimostrarsi difficoltoso perché la navicella aveva problemi di assetto e Glenn fu costretto a passare ai comandi manuali per tenerla in traiettoria; poco dopo a Houston una spia segnalò un possibile malfunzionamento dello scudo termico. Si decise così di mettere subito fine alla missione iniziando la manovra di rientro e così, dopo qualche minuto in cui tutta l’America trattenne il respiro, la navicella ammarò nel Mar dei Caraibi cinque ore dopo il lancio con Glenn dimagrito di tre kg, ma per il resto in perfette condizioni. Cinicamente si potrebbe parlare di un mezzo successo dato che la Mercury aveva dimostrato di essere ancora un oggetto acerbo, ma per carità di patria si decise di prendere tutto il positivo e tacere del negativo; così Glenn divenne l’uomo del momento e ben presto lascerà la tuta spaziale in favore della carriera politica. La NASA decise di fare subito il bis lanciando il 24 Maggio Scott Carpenter, ma ancora una volta la missione finirà quasi subito appesa alla sottile filo del disastro. Infatti dopo il passaggio del lato non illuminato della Terra l’astronauta si accorse che il consumo di carburante era molto al di sopra del previsto mentre anche la tuta dava molti problemi facendo salire la temperatura al suo interno sino a 39° il che ridusse la lucidità di Carpenter. Ancora una volta si decise di interrompere anticipatamente la missione, due orbite invece di sette, e ancora una volta sono attimi drammatici perché se il carburante si fosse esaurito durante le manovre coi retrorazzi sarebbe stato impossibile controllare la navicella durante la discesa attraverso l’atmosfera terreste. Per fortuna andrò di nuovo tutto bene e Carpenter ammarò esausto, ma vivo a 200 km da Porto Rico. Gli Stati Uniti sembravano poter riprendere finalmente fiato e guardare con un po’ di ottimismo alla corsa allo spazio, ma si trattava di un ottimismo velato da una maligna ombra: il silenzio sovietico. I voli di Glenn e Carpenter erano stati accolti con dichiarazioni di complimenti da Mosca, ma poi niente e questo niente spaventava perché i precedenti dimostravano che i lunghi periodi di quiete anticipavano i migliori colpi a sorpresa dell’URSS. Il silenzio fu rotto l’11 Agosto 1962 quando Radio Mosca annunciò la messa in orbita della Vostok 3 con a bordo Adrian Nikolajev; per un attimo parve che i timori stavolta fossero infondati dato che si trattava solo del terzo lancio di un russo in orbita, ma dopo pochi minuti arrivò il colpo a sorpresa: anche una seconda navicella, la Vostok 4 con a bordo Pavel Popovich, era stata messa in orbita! L’obiettivo della doppia missione era quello di tentare di coordinare l’attività orbitale delle due navicelle facendola andare “a braccetto” nello spazio, come recitò il titolo di alcuni giornali, effettuando anche delle comunicazioni tra i due cosmonauti metre si trovavano in orbita. Per riuscire in un’operazione del genere non ci voleva solo un’infinità di dettagliatissimi calcoli matematici per calcolare entrambe le orbite, ma anche una padronanza tecnica del mezzo apparentemente per il momento fuori dalla portata della NASA. La missione della Vostok 3 e 4 sarà anche la prima dalla quale giungeranno sulla terra delle riprese dell’attività degli astronauti durante l’orbita. Il 15 Agosto, dopo 94 ore nello spazio per Nikolajev e 71 per Popovich, la missione terminò felicemente con l’atterraggio dei due cosmonauti nella regione di Karaganda. L’entusiasmo per il nuovo colpo ad effetto dei russi fu grande e sui giornali si riaccende il toto data per una possibile missione sovietica direzione Luna con un equipaggio a bordo. Stavolta però la NASA non si fa prendere dal panico; certo il doppio lancio dei sovietici era un grande successo, ma concretamente non c’era stato un significativo passo avanti tecnologico che possa far supporre che i russi siano sul punto di compiere un’altra volata in avanti com’era stato con i Lunik o con Gagarin. Meglio dunque non lanciarsi in una sterile rincorsa e portare a conclusione il programma Mercury com’era stato previsto così da ricavare tutti i dati necessari al successivo programma Gemini, una navicella con equipaggio doppio, già da un anno messo in cantiere. Il 3 Ottobre ’62 prese così il volo la penultima missione Mercury, battezzata Sigma 7, con a bordo Walter Schiarra astronauta italo-svizzero-americano il cui nonno era originari del Canton Ticino mentre il 15 Maggio 1963 salirà in cielo Leroy Cooper per l’ultima missione del programma. Stavolta le cose vanno a meraviglia e Cooper venne autorizzato ad estendere la durata della permanenza nello spazio da sette a ventidue orbite; per anni si penserà che Cooper fu vittima di allucinazioni quando affermò di essere riuscito a distinguere strade e scie d’imbarcazioni dallo spazio, ma in seguito gli astronauti del progetto Gemini confermeranno le stesse impressioni riabilitando il nome del collega. Il volo di Cooper durerà 938.802 km prima di rientrare sulla Terra con il volto gonfio e segnato dalla fatica, ma anche prova vivente della possibilità per un uomo di restare a lungo nello spazio in una situazione d’assenza di gravità. Se gli americani chiudono così il loro programma Mercury, i sovietici non voglio privarsi di un altro piccolo successo di propaganda per la chiusura del loro programma Vostok. Il 14 Giugno ’63 venne annunciata la messa in orbita della Vostok 5 con a bordo Valery Bykovsky, ovviamente dopo il precedente delle Vostok 3 e 4 tutti si attendo l’annuncio di un secondo lancio che puntuale arriva due giorni dopo: la Vostok 6 è partita con a bordo la cosmonauta Valentina Tereshkova che diviene la prima donna nello spazio. Stavolta i russi hanno messo a segno un gol a porta vuota perché gli americani, nonostante alcune donne avessero partecipato con successo alle selezioni per divenire astronaute, avevano deciso che la corsa allo spazio dovesse essere una faccenda da uomini. La società e la forma mentis culturale dell’America degli anni ’60 prevedeva l’uomo come l’eroe mentre la donna doveva essere la brava moglie che restava a casa in trepidante attesa del ritorno del suddetto eroe. C’era molta attesa nel sapere se la fisiologia femminile si potesse adattare come quella maschile allo spazio e quando il 16 Giugno i due cosmonauti tornarono sulla Terra tutte le attenzioni furono per la Tereshkova promossa subito ad eroina da esibire in tutto il mondo come prova vivente dei trionfi del sisma sovietico, il suo matrimonio con il pilota della Vostok 3 Adrian Nikolayev sarà un grande evento mediatico con Krushev nel ruolo di gran cerimoniere. In realtà le cose lì su nello spazio per la Tereshkova non erano andata così bene come i sovietici vollero spacciare anzi tutto andò storto sin dal primo momento visto che la cosmonauta accusò vari malesseri vomitando ripetutamente e venendo colpita da fortissimi crampi alla gamba destra. Il momento peggiore però arrivò al rientro in quanto la Tereshkova si accorse, nonostante il continuo negare da Baikonur, che la navicella aveva perduto l’assetto giusto e c’era dunque il rischio che, una volta accesi i razzi, la Vostok rimbalzasse contro l’atmosfera terreste venendo spinta verso lo spazio aperto. La situazione non migliorò quando la cosmonauta, disidratata e vittima dei crampi, venne eiettata fuori perché sotto di lei c’era un lago e, nonostante l’addestramento, temeva che le sue condizioni fisiche non gli avrebbero garantito la forza necessaria per sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi. Fortunatamente il vento la spinse via, ma sbatté anche il naso contro il casco procurandosi un vistoso livido e dovette passare qualche giorno in ospedale prima di essere presentata al mondo. Conclusosi così il programma Vostok Korolev avrebbe voluto procedere sulla stessa strada degli americani passando a una capsula con equipaggio doppio, ma Krushev, per il quale il programma spaziale era propaganda, pretese di strafare chiedendo una capsula che portasse tre cosmonauti in una volta sola. Korolev e gli ingegneri erano seriamente dubbiosi perché il razzo di cui disponevano, l’A-2 che era un derivato dell’R-7, poteva portare al massimo cinque tonnellate e trecento chili e creare una capsula per tre persone che rispettasse quei limiti di peso era tutto fuorché facile. Si fecero così i salti mortali per alleggerire il superfluo, ad esempio si decise di non eiettare più i cosmonauti così da evitare le pesanti tute pressurizzate in favore di tute di tela più leggere, e alla fine si riuscì a creare la così detta capsula Voskhod (Aurora). I tre cosmonauti scelti per battere un nuovo record in nome del socialismo furono Vladimir Komarov, Boris Yehorov e l’ingegnere Konstantin Feoktistov che presero la via dello spazio il 12 Ottobre 1964. Apparentemente tutto andò a meraviglia con l’URSS che a terra si gloriava della nuova impresa mentre i cosmonauti lanciavano messaggi di pace, inneggiavano agli atleti russi in gara alle Olimpiadi di Tokyo e proclamavano la loro solidarietà ai combattenti per la libertà dell’Africa nera. Poi però improvvisamente a sole 24 ore e 17 minuti dal lancio Radio Mosca annunciò l’avvenuto rientro della Voskhod 1 a nord di Kustanai con i cosmonauti in ottima saluti e festosamente accolti dai locali. Nonostante i toni trionfali la brevità della missione lasciò molte perplessità accentuate dal fatto che durante una delle dirette con la capsula Voskhod Feoktistov non era parso al meglio delle sue capacità. La verità è che si era avverato ciò che Korolev temeva: le caratteristiche della Voskhod, nonostante i salti mortali fatti, non era tali da garantire una missione con tre persone d’equipaggio e il progettista capo aveva seriamente temuto, già prima del lancio, che tutto potesse concludersi in tragedia. Nei ristretti conciliaboli degli scienziati gli esperti sovietici si lasceranno andare qualche ammissione come che i tre cosmonauti erano andati incontro a gravi e preoccupanti alterazioni psico-fisiche: perdita di senso dell’orientamento, squilibri emotivi, scompensi chimici, cali pressori e affaticamento. In base a questi dati alcuni scienziati inizieranno a mettere in dubbio che un essere umano possa restare più di 15-20 giorni in una capsula priva di gravità artificiale, previsioni che si riveleranno eccessivamente pessimistiche. Schivata il disastro Korolev decise di riportare il programma russo sul binario da lui programmato e cioè una capsula Voskhod per soli due cosmonauti organizzando un nuovo lancio per il 18 Marzo 1965 che potrà comunque permettere all’URSS di conseguire un nuovo straordinario primato. A bordo della Voskhod 2 salirono i cosmonauti Pavel Belyaev e Alexei Leonov il quale, dopo novanta minuti dall’inserimento in orbita, compirà la prima EVA (extra-vehicular activity) della storia. In diretta televisiva, seppur con immagini un po’ sgranate, il mondo assistette alla prima passeggiata nello spazio mentre in lontananza si distingue la curvatura della Terra e qualche nuvola. Anche stavolta, al di là delle apparenze, le cose non erano andate benissimo perché la tuta per l’EVA non permetteva alcun controllo della “passeggiata” e così Leonov si ritrovò a fluttuare nel vuoto rischiando di non poter rientrare nella Voskhod. Il cosmonauta però non si fece prendere dal panico e, con una soluzione alla Macgyver, fece uscire un getto di ossigeno dalla tuta per usarlo come una sorta di “propulsore” che gli permise di riguadagnare la capsula dopo 23 minuti e 41 secondi passati nel vuoto spaziale. Anche il rientro sulla Terra fu tutt’altro che felice perchè i cosmonauti furono costretti a un’orbita aggiuntiva a causa di una manovra manuale errata il che gli fece mancare completamente la zona d’atterraggio finendo in una foresta innevata nei pressi di Perm negli Urali; ci vollero più di due ore al freddo prima che i soccorsi raggiungessero la Voskhod mettendo in salvo l’equipaggio. Queste difficoltà causarono un blackout delle notizie da parte sovietica per qualche giorno il che scatenò nell’occidente una selva di supposizioni su un possibile esito disastroso della missione e riaccese le voci sui cosmonauti perduti con la supposizione che quella di Leonov non fosse stata la prima EVA, ma solo la prima conclusasi con successo. La ricomparsa dei due cosmonauti per la solita trionfale parata nelle vie di Mosca metterà a tacere queste voci sostituite da una nuova selva di congratulazioni, spontanee o meno, da parte di tutto il mondo per l’ennesimo successo sovietico. Quello di cui nessuno però era ancora consapevole è che la Voskhod 2 e la passeggiata di Leonov saranno il canto del cigno del programma spaziale russo. La Voskhod aveva infatti dimostrato come il lavoro di Korolev, costretto sempre più spesso ad affrettare i lavori per restare in testa agli avversari americani, iniziasse ad avere il fiatone da un punto di vista tecnico, inoltre era cambiato il clima politico visto che dall’Ottobre del ’64 Breznev aveva sostituito Krushev e al nuovo Segretario del Partito i missili interessavano più come deterrente strategico che come strumento d’esplorazione scientifica. Come la tartaruga di Esopo ben presto la prudenza e l’attenzione al dettaglio della NASA segneranno il momento del sorpasso contro la Lepre sovietica.
Bibliografia:
- Paolo Magionami, Gli anni della Luna
- Carlo Pinzani, Il bambino e l’acqua sporca – La guerra fredda rivisitata
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