Non sono in pochi a credere che l’ultima fase della “gara per la Luna” gli Stati Uniti l’abbiano corsa da soli e che quando l’Apollo 11 toccò per la prima volta il suolo lunare l’URSS avesse già dichiarato forfait da almeno due anni. In realtà le cose non andarono così perché Mishyn tentò fino all’ultimo di restare competitivo, sebbene i problemi aumentassero giorno dopo giorno, e, fino a quattro settimane prima della missione che avrebbe portato Armstrong e Aldrin a camminare sulla Luna, l’erede di Korolev fece ancora l’ultima tentativo di ridare sprint alla corsa sovietica. Dopo la doppia tragedia dell’Apollo 1 e della Sojuz 1 il 1967 fu, tanto per i russi quanto per gli americani, un anno di riflessione e riordino delle idee; l’obiettivo restava lo sbarco sul nostro satellite, ma i due incidenti, sebbene nati in modo diverso, avevano dimostrato che entrambe le parti erano vittime di un eccesso di fiducia e stavano rischiando di fare il passo più lungo della gamba. Era dunque opportuno rallentare un attimo i ritmi, magari anche mettendo da parte gli ottimistici calendari che parlavano di un allunaggio nel 1968, per rimettere mano ai progetti dei due mezzi che sarebbero serviti a raggiungere la Luna. Negli Stati Uniti la capsula Apollo, dopo l’incendio del 27 Gennaio, vide la completa ristrutturazione del suo modulo di comando (almeno 3000 modifiche rispetto al progetto originario) e le prove fatte con l’Apollo 3 o AS-203 (Luglio ’67) e Apollo 2 o As-202 (Agosto ’67) sembrano dare segnali incoraggianti. Infine il 9 Novembre, in occasione del lancio dell’Apollo 4 senza equipaggio, appare per la prima volta sulla piattaforma di lancio di Cape Kenney il capolavoro di Wernher Von Braun: il razzo Saturn V. Questo lontano discendente delle V2 che solo ventitré anni prima avevano bombardato Londra era alto 110 metri e pesante complessivamente 2913 tonnellate! Il primo stadio del missile ospitava cinque motori, brucianti una miscela di cherosene o ossigeno, in grado di produrre una spinta di 35000 tonnellate; veniva poi un secondo stadio che bruciava idrogeno liquido e infine il terzo stadio, alla cui sommità trova posto la capsula. Il mondo resta meravigliato dalla potenza sprigionato dal Saturn V all’accensione, una cabina per le riprese della CBS a 5 km di distanza crolla a causa dell’onda di pressione, mentre gli Stati Uniti possono tornare a sorridere dopo la tragedia dell’Apollo 1 perché la missione si svolge senza particolari intoppi e l’Apollo 4 torna a Terra integro nonché con delle bellissime foto dallo spazio. Seguiranno altri due test di volo senza equipaggio, Apollo 5 il 22 Gennaio 1968 e Apollo 6 il 4 Aprile dello stesso anno, ma la sensazione generale è che si possa finalmente riprendere a lavorare a pieno ritmo. In Unione Sovietica intanto anche Mishyn non se ne sta con le mani in mano e anzi, appena dieci giorni dopo il lancio dell’Apollo 5, prende il volo da Baikonur la Cosmos 110 cioè una capsula Voshkod con a bordo due cani (Veterok e Ugolek) che rimase in orbita 22 giorno e che aveva lo scopo di condurre nuovi esperimenti biofisici in prospettiva delle nuove missioni con equipaggio umano di lunga durata. Gli esperti medici si dichiararono molto soddisfatti per i dati ottenuti e iniziarono a circolare voci che il conto alla rovescia per quella che sarebbe stata la missione sovietica di sbarco sulla Luna sarebbe iniziato alla fine del 1968 nonché che c’erano già i nomi dei due cosmonauti prescelti, Alexei Leonov e Oleg Makalov. Questi era il piano, o meglio la speranza, di Mishyn che però si trovava a combattere con un problema di fondamentale importanza; se, nonostante la tragedia di Komarov, la Sojuz stava rapidamente divenendo una capsula estremamente affidabile (al punto che una sua variante è usata ancora oggi per le missioni spaziali russe) continuava a mancare la risposta sovietica al Saturn V di Von Braun. L’eccellente razzo Proton era perfetto per portare una capsula in orbita terreste, ma non era in grado di produrre una spinta sufficiente per inserire una Sojuz con modulo da sbarco in una traiettoria translunare; per fare quello serviva un gigante come quello dell’ingegnere tedesco e su questo punto i russi erano oggettivamente in difficoltà. Già nel 1959 Korolev aveva approvato quella che doveva essere la risposta al Saturn V cioè il razzo N1, ma sin da subito ritardi, rivalità interne e il mutato clima politico intorno al programma spaziale rallentarono i lavori. Invece di concentrare tutte le risorse sul N1 il Cremlino decise di dare il suo ok anche a un progetto concorrente guidato da Vladimir Chelmenij e a ciò si unì la guerra del carburante: Korolev infatti, per questioni di sicurezza, voleva usare un combustibile liquido mentre il capo del gruppo incaricato di costruire i propulsori, Valentin Glushko, insisteva per un combustibile solido. Non aiutava il fatto che tra Korolev e Glushko vi fossero dei trascorsi personali, il secondo aveva denunciato il primo al NKVD al tempo delle purghe staliniane, e così infine Glushko passò a lavorare con Chelmenij. Risultato? Alla fine il progetto di Chelmenij venne accantonato (anche se da una sua revisione sarebbero nati proprio i razzi Proton), ma intanto si era perso un sacco di tempo e del missile N1, alla morte di Korolev, esisteva solo un prototipo in scala 1:2. Mishyn rivolse al N1 tutte le risorse che riusciva a raggranellare nel disperato tentativo di ottenere un razzo funzionante, ma i motori continuavano a dare problemi ed alcune scelte logistiche si rivelarono estremamente controproducenti (con l’idea di accelerare i lavori si decise che, diversamente dalla NASA, di ogni lotto di motori se ne testava solo uno con il rischio però di beccare l’unico funzionante, e quindi montarne una serie difettosi, oppure di provare l’unico non funzionante, e quindi di buttarne di ottimi). Nonostante le difficoltà il nuovo progettista capo cercò di tenere il passo degli Stati Uniti e, non appena ebbe una capsula Sojuz finalmente affidabile, il 14 Settembre lanciò su un Proton la Zond 5, cioè una Sojuz modificata per missioni di circumnavigazione lunare, con a bordo tartarughe, insetti e piante. La capsula riuscì a volare intorno alla Luna, scattare un paio di foto, e poi rientrare sulla Terra con tutto il suo equipaggio vivo; durante la missione c’erano stati alcuni problemi tecnici, ma niente che autorizzasse a non considerare la Zond 5 come un successo e un’iniezione di fiducia dopo la morte di Komarev. Consapevole che anche gli americani si erano rimessi in pista e preoccupato per il successo dell’Apollo 7, di cui diremo a breve, Mishyn decise di raddoppiare convinto che, se un’altra missione Zond fosse riuscita, sarebbe forse riuscito a compiere una circumnavigazione umana della Luna prima della NASA. Il 10 Novembre venne lanciata la Zond 6 con tanti apparecchi scientifici a bordo oltre che la solita arca di Noè di animali. Il volo fu tranquillo così come il passaggio attorno alla Luna; sembrava andasse tutto bene, ma poi in dirittura d’arrivo il disastro: la rottura di una guarnigione difettosa provocò la depressurizzazione della capsula con la conseguente morte di tutti gli esseri viventi a bordo e, sebbene il nuovo sistema di rientro detto a salti fu un successo, l’apertura anticipata del paracadute provocò lo schianto al suolo del mezzo. Nonostante i tentativi della propaganda sovietica di salvare il salvabile della missione il suo risultato comportava un inevitabile rinvio per la prima missione L-1 con equipaggio umano a bordo. Intanto la NASA aveva usato la prima metà del 1968 per continuare i test di volo senza equipaggio dell’Apollo con la missione numero 5 (22 Gennaio), usata anche per testare in orbita i motori di discesa del primo grezzo modello di LEM, e numero 6 (4 Aprile) che, nonostante alcune problematiche riscontrate con il motore del Saturn V, venne ritenuta sufficientemente riuscitoaper dare luce verde alla prima missione Apollo con equipaggio umano. Così l’11 Ottobre 1968 alle 16:08 decollava da Cape Kennedy l’Apollo 7 con a bordo il veterano Wally Schirra, Don Eisele e il primo astronauta civile della NASA cioè Walter Cunningham. Vedendola nel complesso la missione fu un indiscutibile successo che aprì la strada per la fase finale dell’avvicinamento ad uno sbarco sulla superfice lunare; ma nel piccolo ci furono tanti piccoli inconvenienti secondari che fecero infuriare Schirra di per sé già afflitto da un raffreddore. La capsula è nuova quindi bisogna prenderci la mano, lo scarico delle urine non funziona perfettamente, il cibo liofilizzato è pessimo perché qualche genio dell’unità medica ha insistito che l’acqua venisse sterilizzata con grosse dosi di cloro dando un saporaccio a tutto e infine gli astronauti devono fare tutta una serie di esperimento alcuni dei quali fanno esclamare a Schirra “Quando torno voglio vedere la faccia del cretino che ha escogitato questo esperimento”. L’Apollo 7 fu anche la prima missione in cui vi fu una diretta televisiva dallo spazio, ma il suo inizio dovette essere rimandato perché Schirra, già poco amante di gesti pubblicitari e pubbliche relazioni, sbottò dicendo che, dati i vari piccoli problemi che hanno avuto, prima avrebbero fatto il rendez-vous con il secondo stadio del Saturn (per simulare un futuro rendez-vous con il LEM) e poi la trasmissione. Ci fu una lunga discussione in merito tra Schirra e il centro di comando, ma alla fine l’astronauta la ebbe vinta e così, dopo un perfetto rendez-vous, la Terra poté per la prima volta ricevere delle immagini in diretta di una missione spaziale con gli astronauti che si concessero dei momenti di buon umore tra battute e scenette divertenti a uso e consumo del pubblico di casa. L’Apollo 7 tornerà senza problemi sulla Terra ammarando il 22 Ottobre e aprendo la strada per mettere un uomo in orbita attorno alla Luna. Dopotutto la notizia delle missioni Cosmos e Zond hanno confermato che i sovietici sono ancora in gara e, visti i precedenti, nessuno vuole rischiare di essere ancora una volta battuti all’ultimo miglio di corsa. Senza tergiversare (anche perché intanto il LEM non è ancora pronto ad essere usato o testato) si decide così di tenere fede alla tabella di marcia stilata e si organizza la missione Apollo 8 con obiettivo la prima circumnavigazione umana della Luna. L’equipaggio scelto per la storica missione è composto da due collaudati veterani dello spazio, Frank Borman e James Lovell, e il novellino William Anders; il decollo avviene il 21 Dicembre alle ore 7:51 con però un piccolo problema: Borman non ha detto a nessuno di non sentirsi troppo bene. Dopo 28 ore di volo senza problemi gli astronauti comunicano al centro comando di essere tutti vittima di febbre e vomito; molto semplicemente Borman si era preso l’influenza “asiatica” che imperversava in quel periodo e l’aveva passata ai suoi due compagni di viaggio. Dopo un rapido consulto medico i tre buttano giù tutti gli antistaminici che sono a bordo della navicella tornando in forma giusto in tempo per mettersi in orbita lunare; la manovra viene interamente effettuata dal cervello elettronico mentre l’Apollo si trova sul lato nascosto della Luna in completo Black Out delle comunicazioni. Qualche attimo di tensione al centro di comando poi le informazioni telemetriche confermano che l’Apollo 8 orbita intorno alla Luna mentre le parole di Jim Lovell descrivono per la prima volta la superfice lunare direttamente vista da occhio umano “E’ essenzialmente grigia, senza calore, sembra fatta di gesso o una specie di sabbia grigiastra e profonda. Ma vediamo un sacco di particolari.”. La capsula compirà dieci orbite attorno alla Luna e durante una di queste viene scatta la storica foto dell’alba terreste cioè la Terra che “sorge” dall’oscurità spaziale dietro il nostro satellite. Dopo quattro giorni di volo, esattamente a mezzogiorno del 24 Dicembre, i motori dell’Apollo si accendono di nuovo per iniziare il viaggio di ritorno verso la Terra che si conclude con l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico il 27 Dicembre. Eccezion fatta per “l’asiatica” il volo è stato da manuale ed è un gigantesco successo per la NASA che finalmente può mettere in bacheca un grande primato pari a quelli conseguiti anni prima dai sovietici. Borman, Lovell e Anders finiscono sulla prima pagina del Time come “Man’s of the Years” mentre i giornali di tutto il mondo pubblicano le straordinarie foto scattate durante la missione. Non tutti però si uniscono acriticamente al coro di esaltazione dell’Apollo 8; Oriana Fallaci, che all’epoca seguiva il programma spaziale americano, scrisse senza mezzi termini che la missione era stata in gran parte inutile perché “Non c’era bisogno di orbitare la Luna con l’Apollo privo del LEM. La NASA sapeva benissimo che la capsula Apollo era in grado di orbitare la Luna e quel volo si fece solo per utilizzare un lancio ormai deciso e pagato.”. Insomma una missione tecnicamente irrilevante fatta solo per poter dire di essere stati i primi a circumnavigare la Luna e magari accelerata nei tempi perché la notizia dello Zond 6, il cui fallimento era stato ben coperto dalla propaganda russa, fece temere che i sovietici potessero di nuovo farli fessi all’ultimo momento come con lo Sputnik o con Gagarin. Giudizio duro, forse non del tutto privo di verità, ma che non tiene conto dell’effetto pubblicitario e psicologico dell’Apollo 8 che innalzò il morale delle “truppe” e spinse affinché l’anno entrante, il 1969, fosse finalmente quello in cui un uomo avrebbe messo piede sulla Luna. Ovviamente i complimenti per il felice esito della missione giunsero anche da Mosca, anche se rivolti solo agli astronauti, e in contemporanea alcune importanti personalità scientifiche sovietiche, come il fisico Sedov o l’accademico Petrov, affermarono che il programma spaziale russo non prevedeva missioni vero la Luna con equipaggio umano, soprattutto perché i gravi rischi a cui sarebbero andati incontro i cosmonauti non erano in linea con gli obiettivi di ricerca spaziale dell’URSS. Si trattava chiaramente di un mettere le mani avanti di fronte alla sempre più concreta possibilità che la NASA tagliasse per prima il traguardo iniziando a far passare il messaggio che gli americani erano in gara solo con se stessi. In realtà vedremo a breve come Mishyn, archiviato il programma L1 dopo il volo dell’Apollo 8, non avesse ancora rinunciato alla Luna; è però anche vero che, dovendo fare i conti con la realtà, i sovietici cominciassero a guardare con interesse ad altri possibili sviluppi del loro programma spaziale in particolare ad un progetto nato nel 1964 per scopi militari e che poi era rimasto costantemente in secondo piano: quello delle stazioni spaziali. Sia per verificare la fattibilità di tenere in orbita per lungo tempo una struttura artificiale con equipaggio umano, sia anche per rispondere in qualche modo al successo dell’Apollo 8, il 14 Gennaio 1969 venne lanciata la più ambiziosa missione sovietica dai tempi della Voskhod 2. Alle 10:30 (ora di Mosca) prese il volo la Sojuz 4 con a bordo Vladimir Shatalov mentre il giorno dopo i cosmonauti Boris Volinov, Aleksei Yeliseev e Yevgeni Khrunov salirono in orbita sulla Sojuz 5. In un clima nuovo per il programma spaziale sovietico alla stampa internazionale era stato per la prima volta permesso di seguire il volo direttamente ds Baikonur, mentre le immagini della spazio vennero trasmesse in diretta e non in differita dopo il visto della censura. Ovviamente il motivo dietro tanto interesse per questa missione non stava tanto nel doppio lancio, cosa ormai fatta e rifatta, ma in ciò che le due capsule Sojuz avrebbero dovuto fare una volta in orbita: un rendez-vous con seguente scambio di equipaggio! Neanche gli americani avevano mai tentato di far agganciare tra loro due capsule della lunghezza di 7 metri e del peso di 20 tonnellate ciascuna; la manovra riuscì perfettamente e il 16 Gennaio Yeliseev e Khrunov compirono la breve EVA che gli permise di passare dalla Sojuz 5 alla 4. La missione fu importante non solo per la sua intrinseca difficoltà, a dimostrazione che i russi erano ancora in grado di conseguire traguardi tecnici notevoli, ma anche perché si era dimostrata la fattibilità di quella strana manovra di trasbordo mezzo EVA, che astrattamente i cosmonauti avrebbero dovuto compiere in occasione di una missione lunare, nonché la possibilità di mettere e tenere in orbita una grossa struttura dove poter vivere e lavorare per un certo periodo di tempo. Sull’onda di questo successo Mishyn decise di provare a giocare il tutto per tutto in prospettiva Luna e così il 21 Febbraio fece per la prima volta la sua comparsa sulla piattaforma di lancio di Baikonur il gigantesco razzo N1, se il test di lancio fosse andato a buon fine c’era ancora la speranza o di un sorpasso in extremis all’ultima curva o, al massimo, di un secondo posto onorevole con breve scarto sull’avversario (scendere sulla Luna qualche settimana o mese dopo gli americani sarebbe stato comunque un risultato apprezzabile). Invece dopo soli 54 secondi dal lancio un incendio provocò lo spegnimento di tutti i motori e lo schianto al suolo del razzo; in un attimo le speranze lunari dell’URSS erano state rispedite nel buio più completo. Intanto però la missione della Sojuz 4 e 5 aveva ancora una volta risvegliato il mai sopito timore americano di un colpo a sorpresa dei russi e così la NASA decise di affrettare i tempi per l’Apollo 9 che sarebbe stata la prima delle due grandi prove prima dell’allunaggio. La missione infatti prevedeva di simulare tutte le manovre necessarie al futuro sbarco in orbita terreste per cui: rendez-vous Apollo-LEM, distacco del LEM e suo successivo ricongiungimento con la capsula. C’era non poca apprensione alla NASA perché questo sarebbe stato il primo vero test del LEM nello spazio e, fino ad allora, il modulo da sbarco aveva dato non pochi problemi (durante una prova Niel Armstrong aveva rischiato di schiantarsi a terra) per cui quella era la prova del nove: o il LEM funzionava o Luna sarebbe stata di nuovo da rimandare. A decollare il 3 Marzo furono gli astronauti James McDivitt, David Scott e Russell Shweickart e l’orbita terreste viene raggiunta senza problemi. Bisogna svolgere a questo punto la prima importante manovra cioè il rendez-vous; ne abbiamo molto parlato, ma conviene adesso descrivere brevemente cosa dovevano riuscire a fare gli astronauti americani: per prima cosa si sganciava la capsula Apollo dal terzo stadio del Saturn all’interno del quale si trovava il LEM, poi si compiva una rotazione di 180° e dunque ci si avvicinava lentamente al modulo di sbarco fino a congiungersi con questo centrando un punto preciso e inderogabile. Grazie alla grande esperienza che negli ultimi anni si era maturata il rendez-vous riesce perfettamente e così, il terzo giorno di missione, McDivitt e Shweickart passano nel LEM, battezzato Spider, per provare la manovra di allunaggio e rientro (era prevista anche un EVA da parte di Shweickart, ma a causa di un’insorta nausea i dottori hanno detto no autorizzando solo uno sporgersi fuori per fare delle foto). La decisiva manovra avviene il 6 Marzo e ci sono immediatamente degli attimi di tensione al momento del distacco dall’Apollo perché il LEM non si è sganciato subito, ma diviene necessario un po’ di lavoro con i razzi direzionali per ottenere il risultato; passato questo inconveniente però il LEM si libera nell’orbita terreste riuscendo a compiere tutte le manovre previste senza problemi arrivando fino a 180 km dall’Apollo. Anche il ricongiungimento dopo 6 ore e 22 minuti con la capsula madre avviene senza problemi e i due astronauti ripresero il loro posto nel modulo di comando così da poter procedere all’ultimo test prima del rientro: il definitivo distacco del LEM (infatti non era previsto che il LEM tornasse sulla Terra). Giusto per sperimentare al massimo i motori del LEM questi vennero accesi a distanza fino al completo esaurimento del carburante e ciò fece in modo che Spider rimanesse in orbita attorno alla Terra sino al 1981 quando si disintegrò rientrando nell’atmosfera. Concluse felicemente tutte le procedure l’Apollo 9 ammarò il 13 Marzo a largo delle Bahamas; unica lamentela sollevata dagli astronauti l’impossibilità di smaltire i rifiuti che col tempo si erano accumulati nella capsula (“Non abbiamo tempo di fare le massaie” disse McDivitt, ricevendo per risposta “Comprendiamo la pena e il fastidio che le arti domestiche vi procurano. Non ci siete abituate poverine.”). L’ottimo risultato della missione spinge qualcuno all’interno della NASA a proporre di bruciare le tappe e tentare l’allunaggio già con l’Apollo 10, ma i più non se la sentono di correre rischi inutili all’ultimo metro di corsa e così si decide di procedere come da programma: l’Apollo 10 sarà la prova generale dell’allunaggio. Per una missione così importante viene scelto un equipaggio di provati veterani come Thomas Stafford, John Young ed Eugene Cernan; il loro compito sarà di simulare in orbita lunare tutte le procedure di un allunaggio portando il LEM sino a 15 km dalla superfice del nostro satellite. Il Saturn V decollò il 18 Maggio e, una volta in orbita intorno alla Luna, Cernan e Stafford passarono nel LEM, battezzato Snoopy, per iniziare la manovra di discesa. Stavolta la procedura di distacco dall’Apollo avvenne senza problemi e il LEM iniziò a scendere lentamente verso la zona che sarebbe stata teatro dell’allunaggio dell’Apollo 11; una volta giunti all’altezza prestabilita i due astronauti avrebbero dovuto avviare la separazione della parte inferiore del LEM in modo tale da simulare il rientro dalla superfice lunare alla capsula in orbita. Solo che stavolta fu in questa fase che le cose non andarono come previsto e il tutto avvenne in diretta nazionale poiché la NASA aveva autorizzato radio e televisioni a ritrasmettere le comunicazioni della missione; così il pubblico americano sentì, con grande sgomento di alcuni, Stafford imprecare perché improvvisamente il pilota automatico si guastò e il LEM iniziò ad avvitarsi su se stesso. Fortunatamente l’astronauta fu pronto nello spegnere il congegno difettoso e assumere manualmente il comando di Snoopy portandolo a ricongiungersi con Charlie Brown (soprannome dell’Apollo 10). Dopo otto giorni nello spazio il 26 Maggio 1969 l’Apollo 10 ammarò e venne il momento decisivo di tirare le somme e decidere il da farsi. L’opinione comune era che la simulazione era perfettamente riuscita e che tutte le manovre teorizzate sono perfettamente fattibili; certo il LEM non è perfetto, ma era chiaro che bastava che alla sua guida vi fosse un astronauta esperto e che sapesse mantenere il sangue freddo per superare gli inconvenienti che si erano presentati…. infine arrivò l’annuncio ufficiale: l’Apollo 11 sarebbe stato lanciato il 16 Luglio con l’obiettivo di far atterrare due uomini sulla Luna per poi riportarli sani e salvi sulla Terra. Dall’altra parte del muro di Berlino Mishyn appena tre settimane prima del grande giorno tentò di nuovo di far decollare il razzo N1; virtualmente è ormai impossibile anticipare gli americani sulla Luna, ma i cosmonauti, Gagarin in testa, si sono detti pronti a rischiare il tutto per tutto qualora il test avesse successo e il razzo riuscisse a prendere il volo. Queste ultime speranze vanno letteralmente in fumo il 3 Luglio quando anche il secondo modello di N1 si disintegrò dopo pochi secondi dal lancio a causa di un guasto tecnico; va detto comunque che se anche il test fosse riuscito difficilmente il Cremlino avrebbe approvato una missione talmente improvvisata con un altissimo rischio di fallimento catastrofico e conseguente ricaduta negativa per il prestigio dell’URSS. La NASA adesso è davvero rimasta in gara da sola anche se… questa è una storia poco ricordata, ma il 13 Luglio i sovietici lanciarono il Lunik 15 una sonda che avrebbe dovuto atterrare sulla Luna, raccogliere dei campioni e tornare sulla Terra; insomma una sorta di “Apollo automatizzato” come l’ha definito Paolo Magionami. Non è facile capire il perché di questa missione: vano tentativo di eguagliare l’allunaggio degli americani? Oppure farsi belli con questo successo nel caso di fallimento della NASA? O ancora, come temettero a Houston, un tentativo di disturbare la missione Apollo 11? Qualsiasi fosse la ragione il Lunik 15 fu un insuccesso perché non infastidì la missione americana, non tolse visibilità a questa e infine non raggiunse mai il suo obiettivo perché dopo 4 minuti dall’inizio della discesa si perse il segnale con la sonda (si suppone che abbia impattato con una montagna). Tornando alla missione americana l’equipaggio scelto per tagliare il traguardo finale è ancora una volta composto da astronauti che già una volta hanno lasciato l’atmosfera terrestre: Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. Sono le 9:32 quando il Saturn V decolla dalla rampa 39 di Cape Kennedy e il volo verso la Luna si svolse senza problemi così che il 20 Luglio Armstrong e Aldrin, dopo che alle cinque del giorno prima l’Apollo 11 era entrato nell’orbita lunare, passarono all’interno del LEM battezzato stavolta Eagle. Il distacco dal modulo di comando avvenne senza problemi, ma durante la discesa si ebbe un momento di panico quando, a circa 1o km dal suolo, l’AGC, il calcolatore di bordo, andò in tilt facendo scattare un “Allarme di programma 1202” seguito pochi secondo dopo da un secondo allarme. Al centro di controllo Steve Bales, responsabile del sistema di guida del LEM, non perse la calma e dopo essersi consultato con i colleghi comunica al direttore di volo Gene Kranz (colui che durante i giorni di Apollo 13 darà la direttiva “Il fallimento non è un opzione!”) che la missione può andare avanti (Ok go). Ricevuto il via libera Armstrong procede con la discesa, ma avvicinandosi si accorge che l’area prescelta è piena di grossi massi che potrebbero far rovesciare il LEM così chiede e ottiene di potersi spostare un po’ verso una zona più libera. La manovra richiese un consumo maggiore di carburante tanto che ne restava meno di un minuto quando dal centro di controllo giunse l’autorizzazione all’atterraggio; infine però alle 20:17 del 20 Luglio 1969 Armstrong comunicò “Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed.” (Houston, qui base della tranquillità. L’Eagle è atterrata.). Chi ha la mia età probabilmente almeno una volta si sarà fatto raccontare dai propri genitori cosa ricordavano di quel momento, in Italia erano le 22, e spero abbia ricevuto una buona risposta al contrario di me che probabilmente ho le uniche due persone che o stavano al mare o ricordano solo la diatriba in diretta tra Tito Stagno e Ruggero Orlando se il LEM fosse atterrato o meno (in realtà Stagno quando disse il famoso “Ha toccato!” si sbagliò e il successivo scambio di battute con Orlando coprì la vera comunicazione degli astronauti sull’avvenuto allunaggio). Intanto in orbita lunare Collins era rimasto solo nell’Apollo e, comprensibilmente preoccupato, si lamentò con Houston che lo mise subito in contatto con i suoi compagni che lo incoraggiarono chiedendogli di tenere duro lassò. Al contrario di ciò che si pensa lo sbarco non avvenne immediatamente dopo che il LEM toccò la superfice lunare, ma ci vollero molte ore prima che tutti i preparativi fossero compiuti e solo il giorno dopo verso le 4 del mattino, con molto anticipo rispetto al programma, tutto fu pronto per aprire il portellone. A questo punto avvenne un fatto poco noto e cioè Aldrin e Armstrong iniziano a discutere su chi dovesse scendere per primo, in effetti la NASA non aveva dato un’indicazione chiara limitandosi a dire che Aldrin aveva una maggiore esperienza di EVA avendo stabilito il record ai tempi del programma Gemini; alla fine però fu il direttore degli equipaggi Donald Slayton a dire l’ultima parola: Armstrong sarebbe sceso per primo perché era il comandante della missione e il suo posto sul LEM era quello più vicino all’uscita. Sono esattamente le 4:27 Niel Armstrong poggia per primo un piede umano sulla superfice lunare pronunciando la storica frase “That’s one small step for man, one giant leap for mankind”; diciannove minuti dopo anche Buzz Aldrin scenderà la scaletta del LEM. Sulla superfice lunare i due astronauti rimasero esattamente 2 ore e 30 minuti durante i quali piantarono una bandiera degli Stati Uniti, scattarono foto, raccolsero rocce, lasciarono una scatola con i nomi di tutti gli astronauti e cosmonauti caduti e… sperimentarono perché ovviamente anche la cosa all’apparenza più semplice come camminare, chinarsi o saltare era tutt un altro lassù. A un certo punto Houston gli ritrasmise una telefonata del Presidente Nixon che dallo Studio Ovale si complimentò con loro per l’impresa compiuta e li ringraziò a nome di tutto il popolo americano. Rientrati nel LEM, e dopo buone otto ore di riposo, alle 12:52 Armstrong e Aldrin si prepararono al rientro; al centro di controllo c’era molta preoccupazione perché questa, per ovvi motivi, era l’unica manovra che non era mai stata effettivamente provata per cui il dubbio che qualcosa potesse andare storto era un tarlo opprimente soprattutto perché vi era la consapevolezza che non esisteva missione di salvataggio possibile… o la va o la spacca. Tutti ne sono consapevoli dagli astronauti al pubblico che solo poche ore prima esultava alle immagini della passeggiata lunare; nei giorni precedenti la partenza qualche giornalista aveva avuto il coraggio di chiedere se era stata presa in considerazione qualche estrema ratio nel caso non ci fosse stato modo di lasciare la Luna (tipo capsule di cianuro o cose del genere), ma i medici della NASA aveva negato sdegnati che qualcosa del genere fosse stata pensata. Dunque si tiene di nuovo il fiato, ma tutto per pochi minuti perché il distacco con la parte inferiore del LEM avviene senza problemi e così anche la risalita e il ricongiungimento con il modulo di comando. Iniziò così il viaggio di ritorno ovviamente incredibilmente noioso visto ciò che gli astronauti hanno appena vissuto (Armstrong ascolta un disco mentre Collins chiede notizie dell’andamento della borsa). Il 24 Luglio 1969 l’Apollo 11 ammarò a sud ovest delle Hawaii; quella che era stata la sfida lanciata da John Kennedy, portare entro un decennio un uomo sulla Luna e farlo tornare, finalmente era stata vinta. Nei giorni in cui scrivevo questo articolo mi sono chiesto più volte se a questo punto dovevo inserire una lunga spiegazione per rispondere a tutti coloro (e scusate la franchezza ma sono troppi) che pensano che l’allunaggio sia stata una gigantesca montatura. Chi segue questo blog da un po’ saprà ormai che tendo a essere molto duro, per non dire caustico, verso i cospirazionismi di varia natura (vedi i miei articoli su Templari, Jack lo squartatore e Pearl Harbor) e questa sarebbe un’occasione perfetta per “uscire al naturale” visto che non sopporto che la grande impresa dell’esplorazione spaziale venga svilita in questo modo; alla fine però ho deciso di non farlo e per due motivi: uno perché per contestare ogni cosa mi servirebbe lo stesso spazio usato per tutti e quattro gli articoli di questa serie, due perché la maggior parte delle confutazioni si basano su spiegazioni tecniche-scientifiche che non rientrano nelle mie competenze e quindi non farei altro che fare un copia e incolla di parole di persone più preparate di me. Mi limiterò quindi a indicare il libro gratuito “Luna? Sì ci siamo andati”, scritto dal noto debunker Paolo Attivissimo, che smonta una per una tutte le tesi portate dei complottisti, nonché esporre l’unico argomento su cui posso essere chiaro e convincente essendo di natura logico-storica: ma secondo voi, se le prove che l’allunaggio è stato solo un inganno sono così evidenti, l’URSS, che aveva un servizio segreto che si chiamava KGB, non avrebbe colto l’occasione per smontare in tempo zero questo gigantesco successo dell’arci-nemico americano? Certo i sostenitori del complotto dicono che Mosca non lo fece perché altrimenti gli Stati Uniti avrebbero rivelato la verità sui “cosmonauti perduti”, ma, a parte che smentire un argomento contro una teoria del complotto con un’altra teoria del complotto è un po’ come sfamare un cane con la sua stessa coda, come ho già spiegato nel secondo articolo di questa serie la tesi non sta in piedi! Infatti anche ammettendo che la storia dei cosmonauti perduti sia vera possiamo davvero dire che sulla bilancia dell’opinione pubblica mondiale avrebbe fatto lo stesso effetto “i russi hanno perso alcuni cosmonauti nello spazio” – “gli americani non sono mai andati sulla Luna”? Ovviamente no e comunque l’URSS avrebbe sempre potuto dire che però lei alla fine Gagarin l’aveva messo in orbita mentre gli americani avevano avuto bisogno di imbrogliare per conseguire il loro obiettivo; certo a meno però di non voler anche negare che Gagarin stesso sia mai andato in orbita però a quel punto diventerebbe una catena all’infinito fino magari a dire che Colombo non è mai giunto in America o che Cesare non è stato assassinato da Bruto e Cassio, ma da un lanciatore di coltelli nascosto nell’ombra.
Dopo l’Apollo 11 sarebbero seguite altre sei missioni verso la Luna, tra cui il fallimento di successo dell’Apollo 13, mentre i sovietici, dopo altri due fiaschi con il razzo N1, rinunciarono definitivamente alla possibilità di emulare gli americani. Lentamente le due super potenze iniziarono a tirare i remi in barca in merito al programma spaziale; paradossalmente ciò che aveva favorito un così rapido progresso, in dodici anni si era passati dallo Sputnik all’Apollo, ne limitò fortemente anche il prosieguo. Sto parlando ovviamente della Guerra Fredda perché è innegabile che, senza la reciproca spinta a superarsi a vicenda, Stati Uniti e URSS difficilmente avrebbero conseguito quegli obiettivi in quei tempi, ma una volta centrato il grande premio e vinta la gara ci si iniziò a chiedere perché continuare a spendere soldi che potevano essere utilizzati per cose teoricamente più utili. Come abbiamo visto l’URSS già con l’arrivo al Cremlino di Breznev iniziò a preferire gli ICBM ai viaggi nello spazio, mentre gli Stati Uniti in quegli anni erano impegnati nella guerra del Vietnam e neanche loro intendevano restare indietro nella corsa ai missili (il famoso missile gap) solo per continuare una gara che già era stata vinta. Mandare gente nello spazio costava (e costa ancora) molto e senza una motivazione forte si preferì dedicarsi a bisogni più terreni. Sia la NASA che l’Ente spaziale sovietico fecero carte false per ottenere di continuare ad operare in maniera seria e mentre la prima ci riuscì escogitando gli Space Shuttle, che essendo riutilizzabili teoricamente costavano di meno, i secondi si orientarono verso le stazioni spaziali, gradite al Cremlino perché potevano avere possibilmente anche un uso militare, e da questo nuovo programma sarebbe nata infine la MIR che fu la progenitrice dell’attuale Stazione spaziale internazionale. Resta comunque innegabile che il nostro avanzamento nell’esplorazione dello spazio ha subito un netto rallentamento; spesso mi chiedo dove saremmo rispetto a Marte se avessimo mantenuto il ritmo di quei dodici fantastici anni… Non lo so e non so neanche se la mia generazione sarà quella che vedrà l’uomo sul pianeta rosso o l’inizio di una colonizzazione della Luna, ma so che il futuro dell’umanità è nello spazio quindi più tempo perdiamo più male facciamo a noi stessi e alle future generazioni; ma anche a monte di questo se mi chiedete d’istinto perché penso che dobbiamo esplorare lo spazio vi risponderei citando di nuovo le parole dell’alpinista Mallory rispetto all’Everest “Perché è lì” e se questa risposta non basta ad accendervi l’entusiasmo allora vuol dire che l’umanità sta perdendo una delle cose migliori che gli sono state date dalla natura: il desiderio di andare sempre oltre.
Bibliografia:
- Paolo Magionami, Gli anni della Luna
- Carlo Pinzani, Il bambino e l’acqua sporca – La guerra fredda rivisitata
Santi Costanzo
14 Settembre 2017Articolo interessante, ovviamente credo che l’uomo sia andato sulla Luna, tantissime sono le prove, quelli che non credono allo sbarco aldilà della loro ignoranza, è dovuta anche al profondo odio che nutrono verso il popolo americano.
Eduardo D'Amore
14 Settembre 2017Magari fosse solo questo, da recenti indagini statistiche è emerso che il 27% degli americani ha dei dubbi sulla veridicità dello sbarco mentre il 10% ritiene che sia altamente improbabile che questo sia mai avvenuto! Se poi aggiungiamo che di solito i “””””””documentari”””””” tesi a dimostrare la falsità dell’allunaggio vanno in onda su canali teoricamente importanti come History Channel o Discovery di solito anche con grande fanfara di pubblicità… ben siamo rovinati.