
Quando nel 1945 gli ultimi fuochi della guerra si andarono a spegnere il cinquantennio dei conflitti mondiale consegnava un mondo dominato dal primato di due grandi potenze e che vedeva l’Europa privata del suo ruolo di motore della storia. Leggere però l’evoluzione della grande storia nella sua contemporaneità non è sempre facile o possibile e così il vecchio continente non si rese immediatamente conto della rivoluzione copernicana geopolitica verificatasi, continuando a credere di poter ancora determinare l’incidere degli eventi. In particolare di ciò erano convinti la Francia e il Regno Unito e se ci mettiamo nei panni di un uomo agli inizi degli anni ’50 questa opinione non era per nulla assurda. Entrambi i paesi erano ancora alla guida di due immensi imperi coloniali ed erano due dei cinque paesi considerati i veri vincitori della Seconda guerra mondiale; in particolare la Gran Bretagna aveva vissuto la sua finest hours con la battaglia d’Inghilterra riuscendo a restare protagonista degli eventi bellici fino alla resa della Germania. L’apparenza di grandeur però nascondeva una parabola discendente iniziata già con quel grande suicidio collettivo che fu la Grande Guerra. La Francia infatti non si riprese mai demograficamente e moralmente dai massacri delle battaglie del 1916- 1917 (Verdun e l’offensiva di Nivelle) mentre per il Regno Unito gli sforzi del ’14-’18 misero fine al suo primato economico mondiale e al controllo centralistico dell’Impero. Solo il caos della guerra civile russa unita con il ritiro degli USA nell’isolazionismo, dopo la parentesi dell’utopismo wilsoniano, permisero a Londra e Parigi di continuare a credere di poter essere i direttori d’orchestra di un nuovo concerto europeo incentrato sul controllo della Società delle Nazioni. La loro incapacità, dovuta ai primi segnali di debolezza strutturale, nell’arginare gli espansionismi giapponesi, italiani e, soprattutto, tedeschi portò però a una nuova guerra. Per la Francia fu disastro del 1940 che segnò il suo tramonto come grande potenza, seppur in pochi se ne accorsero grazie al gigantismo della figura di De Gaulle, mentre il Regno Unito riuscì a giungere alla fine della partita seppur completamente stremato. I segni evidenti della nuova realtà si fecero ben presto sentire: il vento della decolonizzazione iniziò a soffiare lungo portandosi via prima l’India, poi l’Indocina e di seguito tutto il resto degli imperi coloniali mentre in Europa gli USA assumevano sempre più il ruolo di unico vero argine all’URSS trionfante. Francia e Regno Unito iniziavano sempre più a sentirsi declassate a pezzi di un gioco divenuto più grande di loro. L’incapacità di accettare questo declassamento spinse entrambi i paesi a lanciarsi in avventure sempre più rischiose allo scopo di riconfermare, al mondo e a se stesse, la loro importanza: la Quarta Repubblica, sbiadita copia della Terza con tutti i difetti di questa senza però la sua reazione d’orgoglio all’umiliazione di Sedan, scommise tutto sul mantenere l’Algeria mentre Londra, dopo aver visto evaporare la sua influenza in Asia, cercò di mantenerla in Medio Oriente ad esempio favorendo, insieme alla neonata CIA, il disgraziato colpo di stato in Iran che eliminò il primo ministro nazionalista Mossadeq in favore dello Scià Reza Pahlavi. Proprio in Medio Oriente però, precisamente in Egitto, le loro ambizioni, e con esse quelle dell’Europa degli stati, avrebbero infine trovato la loro tomba in quel fondamentale anno che fu il 1956.
L’Egitto era divenuto un paese indipendente nel 1922, ma gli inglesi continuarono per tutti gli anni ’20 e ’30 a esercitare una forma di protettorato indiretto, mantenendovi anche forze militari ufficialmente con lo scopo di proteggere il canale di Suez di proprietà congiunta franco-britannica. Nel 1949 la fine disastrosa della prima guerra arabo-israeliana creò però negli ambienti militari egiziani una forte insofferenza per la monarchia di re Faruk, appoggiato dagli inglesi e considerato responsabile della sconfitta a causa della sua incompetenza. Il 23 Luglio 1952 un colpo di stato guidato dai così detti “Ufficiali liberi”, una società segreta composta da ufficiali per lo più usciti dalle scuole militari inglesi, depose re Faruk e pose sul trono il neonato Faud II. Ovviamente si trattava solo di una finzione in quanto i veri poteri erano in mano agli “Ufficiali liberi” che, dopo un anno, decisero di far calare il sipario sulla pantomima proclamando la Repubblica. Presidente venne nominato Mohammed Nagib , ma il vero uomo forto del paese era il giovane colonnello Gamal Abd el Nasser leader degli “Ufficiali liberi” e ministro degli interni. Per un po’ di tempo si tentò di instaurare nel paese una democrazia multipartitica, ma lo scontro tra gli ufficiali, laici e occidentalizzati, e l’organizzazione islamica tradizionalista dei Fratelli Musulmani portò infine Nasser a rompere gli indugi e assumere ufficialmente il controllo dell’Egitto scalzando Nagib e assumendo la carica di Rais sulla base di una nuova costituzione che concentrava nelle sue mani il grosso dei poteri. L’ascesa di Nasser fu un autentico terremoto per l’intera area medio orientale in quanto il giovane leader dell’Egitto era fermamente intenzionato ad assumere un ruolo di guida dell’nazionalismo arabo che, in quegli anni, stava vivendo una delle sue stagioni più floride. Come sarebbe stato poi per Gheddafi l’ideologia di Nasser prendeva elementi del così detto socialismo arabo (l’anti-imperialismo, il nazionalista e il ruolo dirigista dello stato nell’economia) mischiandolo con elementi di Pan-arabismo, anti-sionismo e non-allineamento in politica estera. Si trattava comunque di un quadro ideologico piuttosto flessibile, ad esempio nonostante l’etichetta socialista Nasser represse il comunismo egiziano con la stessa durezza riservata ai Fratelli Musulmani, e adattabile a seconda delle necessità per la realizzazione dei suoi obiettivi. In primo luogo Nasser volle eliminare l’influenza che gli inglesi ancora esercitavano sul paese in forza delle truppe schierate a difesa del canale di Suez. Venne così raggiunto un accordo in base al quale gli inglesi si sarebbero ritirati, eccezion fatta per il personale tecnico, in cambio della possibilità di usare le vecchie basi presenti in Egitto nell’eventualità di un attacco russo alla Turchia o al Medio Oriente. C’era poi la necessità di modernizzare l’esercito egiziano, che aveva dato pessima prova nella guerra del 1949 e che ancora veniva regolarmente umiliato dai raid che Israele lanciava nella striscia di Gaza. Inizialmente Nasser si rivolse agli Stati Uniti e questi accettarono nella speranza di coinvolgere l’Egitto nel Patto di Baghdad, accordo in funzione anti-sovietica tra Irak, Iran e Pakistan, ma ciò si rivelò impossibile perché nel 1955 gli inglesi si inserirono nel Patto, con lo scopo di usarlo per mantenere la loro influenza sul Medio Oriente, e ciò escludeva in toto la possibilità che Nasser vi potesse prendere parte. Raffreddati i rapporti con l’occidente il Rais, ovviamente, si rivolse al blocco sovietico per ottenere le forniture militari di cui aveva disperatamente bisogno, ma mentre gli inglesi iniziarono a urlare che ciò sarebbe stato l’inizio di una penetrazione russa in Medio Oriente, Washington , dopo un iniziale uguale timore, comprese che la mossa egiziana era puramente tattica. Non così la pensavano Londra e Parigi che iniziavano a considerare Nasser la fonte di tutti i loro problemi: per i francesi infatti l’Egitto finanziava la guerriglia algerina mentre per gli inglesi il Rais era responsabile dei disordini a Cipro e della loro perdita di influenza sulla Transgiordania. L’amministrazione Eisenhower invece riteneva che Nasser intendesse restare neutrale rispetto ad entrambe le super potenze, ondeggiando ora verso l’una ora verso l’altra per ottenere ciò che gli serviva, e per questo motivo decise di non tagliare i ponti accettando di finanziare la costruzione della diga di Assuan l’immenso progetto che, nelle speranze del Rais, avrebbe dovuto fornire energia elettrica all’intero paese nonché irrigazione costante all’agricoltura egiziana da sempre legata ai capricci delle piene del sacro fiume. Nel Luglio del 1956 però la decisione di Nasser di riconoscere la Cina di Mao, tasto dolente per gli Stati Uniti, provocò una ferocie reazione del Congresso che, nonostante i tentativi della Casa Bianca, votò per bloccare le sovvenzioni ufficialmente perché non vi erano garanzie che l’Egitto sarebbe stato in grado di ripagare quanto gli era stato prestato. La risposta di Nasser non si fece attendere e fu spettacolare per il livello di sfida simbolica all’occidente: il 26 Luglio, anniversario del colpo di stato contro re Faruk, venne annunciata la nazionalizzazione del canale di Suez in modo che i proventi potessero finanziare la costruzione della diga.
Già i faraoni avevano costruito un canale per collegare il Mediterraneo al Mar Rosso, sfruttando i due laghi Amari, e nel corso dei secoli continui progetti erano stati fatti per riaprire il passaggio. Infine nel 1858 l’ex diplomatico francese Ferdinand de Lesseps riuscì a ottenere le concessioni per l’opera creando la Compagnia per la gestione del canale le cui azioni furono in minoranza di alcuni paesi occidentali e in maggioranza del Kedivè. Quando il canale fu completato nel 1869 lo sforzo economico per costruirlo aveva ridotto l’Egitto in bancarotta e il Kedivè, nell’urgenza di fare cassa, mise sul mercato la sua quota azionaria che venne comprata, al termine di una spettacolare manovra economica, dal governo inglese che così ne divenne l’azionista di maggioranza con il 44% delle quote. Per garantire la sicurezza del suo investimento il Regno Unito occupò l’Egitto nel 1882 assumendo così, di fatto, il controllo militare del canale che, nonostante la sua ufficiale internazionalità in base a un trattato, venne negli anni aperto e chiuso a seconda degli interessi geopolitici britanni. La concessione di novantanove anni per la gestione del canale alla compagnia fondata da de Lesseps sarebbe scaduta nel 1969, ma l’azione d’imperio di Nasser fu avvertita da inglesi e francesi (Parigi aveva la principale quota azionaria di minoranza) come un attacco sia ai loro interessi economici che al loro prestigio internazionale. Un’eventuale quiescenza di fronte all’iniziativa di nasseriana poteva infatti spingere il resto del mondo arabo a troncare gli ultimi ponti con le ex-potenze coloniali, riducendo così ulteriormente il loro peso nello scacchiere mondiale. Atteggiamento diverso fu tenuto invece da Washington che preferì restare sulla sua linea di evitare di spingere Nasser nelle braccia dell’URSS dichiarando, per bocca del segretario di stato Foster Dulles, che “fino a quando non vi fossero interferenze nella navigazione del Canale e gli stranieri in Egitto non fossero minacciati non v’era alcuna base per un’azione militare”. Gli egiziani per altro dimostrarono subito di essere perfettamente in grado di gestire il canale, disarmando così uno degli argomenti degli inglesi per contestare l’azione di Nasser. Non era interesse dell’amministrazione americana un intervento europeo in Medio Oriente i cui unici risultati sarebbero stati, sempre per parole di Dulles, che “l’Unione Sovietica avrebbe goduto dei vantaggi derivanti da un grave indebolimento dell’Europa occidentale ed acquisirebbe una posizione di influenza prevalente in Medio Oriente e in Africa.” soprattutto in ragione della politica terzomondista di Krusciov. In linea con questo pensiero Dallas favorì la convocazione della Conferenza di Londra che, sotto l’egida delle Nazioni Uniti, avrebbe dovuto mediare per trovare una soluzione di compromesso. La proposta però di rendere il canale internazionale salvaguardando allo stesso tempo gli interessi egiziani in fatto di sovranità ed economia non poteva essere accettata né da Nasser, per cui ormai il controllo del canale era una questione di prestigio, né dagli anglo-francesi, che volevano un ridimensionamento del vulcanico Rais. Il 4 Ottobre 1956 i ministri degli esteri di Francia e Regno Unito comunicarono a Dallas che “soltanto l’uso della forza contro Nasser avrebbe potuto restaurare il prestigio dell’occidente in Africa e Medio Oriente.”. Ormai il canale in quanto tale era divenuto secondario rispetto a ciò che rappresentava, cioè la permanenza o meno di un’influenza europea in un’area del mondo che, fino a una ventina di anni prima, era stata il suo giardino di casa. Vi erano poi anche ragioni di politica interna che spingevano i governi di entrambi i paesi all’azione. In Gran Bretagna da un anno era divenuto Primo Ministro Anthony Eden, ex-ministro degli esteri e braccio destro di Churchill; questi sentiva il bisogno di uscire dall’ingombrante ombra del suo precessore e valutò che, abbattendo “l’Hitler del Nilo”, avrebbe fatto conseguire al Regno Unito il primo grande successo in politica estera dopo quindici anni di decolonizzazione. In Francia il governo aveva assolutamente bisogno di superare la terribile umiliazione della sconfitta di Dien Bien Phu, a cui era seguita, proprio nel 1956, la perdita del Marocco e della Tunisia oltre al contemporaneo peggioramento della situazione in Algeria con l’inizio, con gli attentati del 30 settembre, della battaglia d’Algeri. Come detto la quarta repubblica aveva ereditato la grave instabilità politica della terza e molti francesi, a fronte delle continue sconfitte che non facevano che aggiungere sale sulla ferita del 1940, si andavano convincendo che l’attuale sistema istituzionale non fosse più in grado di garantire il ruolo internazionale della Francia; in una situazione del genere un successo contro Nasser sarebbe stata un’iniezione di penicillina politica. L’epoca degli imperialismi era però passata e quindi gli anglo-francesi non potevano semplicemente sbracare in Egitto fanfara in testa, serviva un casus belli che giustificasse l’intervento mascherando l’aggressione con un’operazione di “polizia internazionale”; il problema venne risolto grazie all’entrata in scena d’Israele. Il neonato stato ebraico aveva anch’esso i suoi motivi di attrito con il Rais egiziano sia per il suo ben noto anti-sionismo sia per la politica pan-arabista diretta a unire Egitto e Siria che avrebbe potuto portare a un accerchiamento d’Israele. Decisa a una guerra preventiva per “costringere i nostri vicini arabi a scegliere tra la cessazione del terrorismo o la guerra aperta contro di noi”, come ebbe a dire Moshe Dayan, Israele aveva iniziato una serie di raid sia contro Gaza, all’epoca parte dell’Egitto, sia verso la Transgiordania alla scopo di confondere le acque e non rendere chiare le sue intenzioni. Fu la Francia la prima a pensare di legare gli interessi anglo-francesi con quelli israeliani per lanciare un attacco congiunto contro Nasser. Parigi da tempo era divenuta uno dei principali fornitori bellici dello stato ebraico, in palese violazione del trattato del 1950 tra Francia, Inghilterra e Stati Uniti per il mantenimento della pace nel Medio Oriente e la limitazione della vendita di armi ai paesi dell’area, e aveva già concepito un piano d’azione con Tel-Aviv quando Anthony Eden ne venne messo al corrente a metà ottobre. L’idea era che gli israeliani avrebbero invaso il Sinai, arrivando così a minacciare il canale, dando motivo ai franco-inglesi per intervenire in forza del già citato trattato del 1950. Ufficialmente la loro azione sarebbe dovuta essere diretta a costringere entrambi i belligeranti a ritirarsi dalla zona del canale per garantirne la fruibilità, ma a fronte di un prevedibile rifiuto di Nasser si sarebbe potuto procedere a un’occupazione militare del canale stesso con conseguente perdita di prestigio del Rais o, ancora meglio, sua caduta. I dettagli dell’operazione vennero concordati in un incontro segreto tra le tre parti che si tenne tra il 22 e il 24 Ottobre a Sevres, luogo invero infausto per la politica mediorientale franco-inglese in quanto nel 1920 vi venne firmato il trattato di pace con l’Impero Ottomano spazzato poi via dalla rivolta nazionalista di Ataturk. La segretezza serviva a tenere gli Stati Uniti all’oscuro del progetto in modo tale che, una volta iniziato il tutto, non si sarebbero accorti dell’inganno perpetrato e sarebbero rimasti neutrali. In astratto si trattava di un buon piano, ma che aveva in sé un grande punto interrogativo: sarebbero riusciti i tre alleati a resistere alle pressioni congiunte americane e russe qualora Washington avesse deciso di non chiudere un occhio sulla faccenda? Il tripartito, come a volte è stato chiamata questa strana alleanza, ebbe anche, almeno all’inizio, il vantaggio della congiuntura internazionale perché proprio in quegli stessi giorni, precisamente il 23 Ottobre, scoppiava a Budapest la rivolta ungherese che ovviamente spostava l’attenzione del mondo, e in particolar modo di Mosca, sugli avvenimenti interni al blocco orientale; inoltre l’imminenza delle elezioni americane dava credito all’idea che l’amministrazione Eisenhower avrebbe avuto meno libertà d’azione.
La notte tra il 29 e il 30 Ottobre Israele lanciò l’operazione “Campagna del Sinai” puntando al passo di Mitla e su Sharm el-Sheikh, al fine di mantenere aperto il loro traffico navale nel golfo di Aqaba dato che Nasser aveva già precluso loro la navigabilità del canale di Suez. Gli egiziani avevano una consistente guarnigione nel Sinai, ma come detto Israele aveva lavorato per far credere che l’obiettivo del suo attacco sarebbe stata la Transgiordania e così i difensori egiziani vennero colti di sorpresa finendo travolti. Già al termine del primo giorno i carri armati di Tsahal avevano raggiunto il canale nei pressi di Ismailia e di El Qantara tagliando fuori la striscia di Gaza dal resto dell’Egitto. Washington non gradì per nulla l’iniziativa di israeliana, al punto che il presidente Eisenhower si chiese se gli Stati Uniti non fossero tenuti a un intervento a fianco dell’Egitto chiaramente vittima di un’aggressione, e iniziò a sentire puzza di bruciato quando già il 30 Ottobre gli anglo-francesi si fecero avanti annunciando la loro intenzione di agire per “porre fine alle ostilità”. Mentre Eden tentò quanto meno di salvare l’apparenza condannando a parole Tel-Aviv, il presidente del consiglio francese Guy Mollet non si fece imbarazzo di dire ” il fatto che il vostro governo non sia stato messo a corrente degli sviluppi ebraici aveva il motivo… che noi temevamo da parte vostra qualche mossa per trattenerci da quest’azione”. Se Eisenhower era irritato, Kruscev, già impegnato con il problema ungherese, andò su tutte le furie. Non c’è un’opinione concorde su che effetti reciproci ebbero tra loro Suez e Budapest; alcuni sostengono che Kruscev ritenne che il tutto fosse parte di un piano concordato dell’occidente per mettere in difficoltà l’URSS mentre Carlo Pinzani afferma che Suez, indirettamente, spinse il segretario sovietico ad abbandonare la via della trattativa in favore di una repressione armata della rivoluzione ungherese. Personalmente credo che più che a una cospirazione Kruscev si convinse che il tripartito avesse deciso di approfittare delle difficoltà russe per agire nell’impunità; infatti coi carri israeliani a un passo dal canale Nasser iniziò a sommergere Mosca di richieste di soccorso, ma era ovvio che avendo il giardino di casa in fiamme, la rivolta di Budapest rischiava di diffondersi al resto del Patto di Varsavia, un intervento sovietico in Medio oriente era impensabile. Allo stesso tempo però Mosca non poteva restare inerme perché facendole gettava via l’intera politica terzomondista di Kruscev, diretta a fare dell’URSS il campione dell’anti-imperialismo e della difesa dei paesi di recente indipendenza. Problema analogo lo avevano a onor del vero anche gli Stati Uniti perché da un lato Francia e Gran Bretagna erano due fondamentali alleati della NATO, dall’altro assecondandone l’azione rischiavano di consegnare la guida del processo di decolonizzazione all’URSS proprio nel momento in cui il terzo mondo stava irrompendo nello scenario mondiale della guerra fredda. Inoltre, e questo lo fa notare Andrea Frediani nel suo “Guerre e battaglie del Medio oriente nel XX secolo”, Washington temeva un rafforzamento degli anglo-francesi nella gara per il controllo delle forniture petrolifere del Medio Oriente. Comunque i termini dell’ultimatum che Francia e Parigi intendevano inviare a “entrambi” i belligeranti erano il ritiro bilaterale dalle rive del canale di sedici chilometri entro dodici ore; scaduto il termine gli anglo-francesi avrebbero occupato “per sicurezza” il canale agendo contro qualsiasi delle parti non avesse rispettato la distanza di sicurezza. Purtroppo però il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi e il magnifico piano del tripartito per ingannare il mondo iniziò subito a mostrare delle crepe; il problema era che l’avanzata di Israele si stava impantanando contro la seconda linea di difesa egiziana e quindi le forze di Tsahal si trovavano non a sedici chilometri dal canale, ma a cinquanta il che non rendeva possibile l’invio dell’ultimatum. Fintanto che il canale non fosse stato minacciato gli anglo-francesi non avevano infatti un motivo valido per intervenire senza rendere palese l’inganno e allo stesso tempo sarebbe stato ridicolo imporre al solo Egitto, proprietario del canale e paese attacco, di ritirarsi dietro la linea dei sedici chilometri. Nasser però iniziava a subdorare che Parigi e Londra puntassero al canale e così, al fine di difendersi da un prossimo attacco, decise di trasferirvi parte delle truppe di stanza nel Sinai; in tal modo però gli israeliani poterono riprendere la loro avanzata e il 31 Ottobre il Regno Unito decise di passare all’azione per permettere ad Israele di raggiungere gli obiettivi concordati. Quella notte bombardieri britannici partiti da Cipro colpirono nove aeroporti egiziani ì mancando però clamorosamente i 45 bombardieri di fabbricazione sovietica che Nasser, su ordine di Mosca che aveva anch’essa intuito il prossimo attacco, aveva spedito in Siria giusto un attimo prima. Cancellata così indirettamente la forza aerea egiziana Tsahal poté riprendere l’avanzata dando finalmente ai suoi due alleati il movente per inviare il fatidico ultimatum. Londra e Parigi avevano però ormai deciso di abbandonare ogni finzione di neutralità e, nonostante gli israeliani continuassero ad avanzare violando i termini dell’ultimatum, lanciarono una serie di nuovi attacchi aerei contro obiettivi strategici egiziani: impianti portuali, line ferroviarie e sistemi di comunicazione mentre da Malta la flotta d’invasione, composta da oltre cento unità tra navi da guerra e trasporti, prendeva il largo direzione Porto Said e Porto Fuad. Nasser, essendo ormai evidente ciò che lo stava per investire, decise di concentrare tutte le sue forze sul canale e ordinò che alcune navi venissero affondate per renderlo impraticabile; questa mossa, tatticamente irrilevante perché gli anglo-francesi non avevano alcuna intenzione di forzare il canale con la flotta, serviva però ad attirare vieppiù l’attenzione internazionale su ciò che stava succedendo. L’immagine infatti di una delle principali rotte commerciali mondiali, da dove soprattutto passava il prezioso petrolio, completamente ostruita spinse le Nazioni Unite a porre in testa alla loro agenda la risoluzione del conflitto. L’ostilità americana all’azione era sempre più evidente, anche perché questi erano in imbarazzo per il dover contemporaneamente condannare l’ingerenza russa in Ungheria senza poi fare lo stesso per quella anglo-francese dell’Egitto. Ovviamente Londra e Parigi usavano il loro seggio permanente per bloccare il consiglio di sicurezza mentre l’assemblea plenaria votava due risoluzione identiche di URSS e Stati Uniti in cui si intimava a Israele di ritirarsi dietro la linea dell’armistizio del 1949. Dimostrando però quando già poco vincolanti fossero sentite le risoluzioni delle Nazioni Unite, e non erano passati neanche vent’anni della loro fonazione, i tre alleati continuarono le loro operazioni e Tsahal, entro il 4 Novembre, aveva occupato tutto il Sinai più due isole dell’Arabia Saudita (Tiran e Sanapir). Francia e Gran Bretagna contavano che Washington, pur protestando, non avrebbe mai esplicitamente imposto il ritiro e quindi sarebbe bastato prendere tempo, occupare il canale e costringere le Nazioni Unite a riconoscere la forza d’invasione come una sua forza di pace interposta tra i due belligeranti; a quel punto Nasser o avrebbe accettato il mandato ONU, con conseguente umiliazione, oppure avrebbe dovuto mettersi contro l’intera comunità internazionale. In effetti le cose sembrava andare in questa direzione perché la notte tra il 3 e il 4 Novembre venne fatta passare una risoluzione, proposta dal Canda, in cui si deliberava l’invio di un contingente internazionale e, ovviamente, gli anglo-francesi si affrettarono ad affermare che, fintanto che questa forza non fosse pronta, ci avrebbero pensato le loro truppe a garantire la protezione del canale. Il 5 Novembre Port Said venne attaccato dalle forze da sbarco e dai paracadutisti britannici e il giorno dopo, mentre Israele, ormai parca dei suoi successi, fermava i combattimenti, anche Port Faud venne occupata facilmente dai francesi. Nonostante Port Said resistesse lo scontro era impari e gli anglo-francesi iniziarono rapidamente ad avanzare lungo la riva ovest del canale puntando su el Qantara, ma proprio in quel momento il quadro diplomatico internazionale mutò di colpo. Il 4 Novembre infatti l’armata rossa investì Budapest soffocando nel sangue, nonostante una coraggiose resistenza, la rivoluzione ungherese. Regolata così la questione interna al Patto di Varsavia, Kruscev si attivò per costringere gli anglo-francesi a ritirarsi facendo inviare dal Primo Ministro sovietico Bulganin due messaggi estremamente chiari: nel primo si diceva che l’URSS era pronta a intervenire a fianco dell’Egitto usando tutti i tipi di armi di distruzione a diposizione contro Londra e Parigi, il secondo messaggio era invece diretto a Washington per proporre un intervento congiunto sovietico-americano in Medio Oriente per garantire la pace. Entrambi i messaggi erano tattici perché il primo era un completo bluff in quanto l’arsenale missilistico sovietico non aveva nel 1956 vettori in grado di portare una testata nucleare su Gran Bretagna o Francia, mentre il secondo dipingeva uno scenario ovviamente irrealizzabile, ma dava a intendere che Mosca fosse pronta a sostenere gli USA nella ricerca di una soluzione alla crisi. Entrambi i messaggi furono infatti utilissimi a Eisenhower per mettere gli anglo-francesi con le spalle al muro; “i sovietici sono spaventati e furiosi e non c’è nulla di più pericoloso di una dittatura in questo stato d’animo” furono le parole usate dal Presidente, in una riunione alla Casa Bianca, per giustificare l’aumento di pressione sugli alleati per costringerli ad accettare una soluzione ad opera delle Nazioni Unite. Infatti gli Stati Uniti dichiararono al Consiglio di sicurezza che, in caso di attacco russo ai suoi alleati, in base al trattato della NATO sarebbe stata in dovere di schierarsi al loro fianco. Il mondo intero temette che, per le ambizioni anglo-francesi, si fosse alla viglia di una terza guerra mondiale; inoltre l’assicurazione d’aiuto di Eisenhower era alquanto felpata perché lasciava intendere gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in caso di attacco, ma che non avrebbero agito in funzione di deterrenza preventiva per costringere Mosca a recedere dal suo ultimatum, ovviamente ciò fu detto solo dopo che gli U-2 aveva accertato che non vi fossero forze sovietiche in Medio oriente pronte a intervenire. Insomma Washington gettava interamente sulle spalle di Francia e Gran Bretagna il peso di decidere come sarebbe andata a finire la cosa e, al fine di aumentare ulteriormente la pressione diplomatica, Eisenhower spinse i leader del Commonwealth, con alcuni dei quali per altro non era in buoni rapporti, a far sapere a Londra che non appoggiavano affatto la sua iniziativa. Non solo pressioni diplomatiche, ma anche economiche; infatti, da che era iniziata la crisi, la sterlina era stata messa sotto pressione dai mercati e gli Stati Uniti non solo bloccarono un intervento del Fondo monetario a sostegno della valuta inglese, ma minacciarono anche di venderne la loro intera riserva il che ne avrebbe provocato il crollo. Francesi e inglesi si trovarono così nel paradosso di essere a un passo dalla vittoria militare, ma già completamente sconfitti sul piano diplomatico. Il mondo ormai premeva perché la spedizione avesse fine e le Nazioni Unite stavano già approntando la loro forza di pace da cui Londra e Parigi erano state volutamente escluse; era ovvio che non si poetava andare avanti e così venne ordinato il cessate il fuoco che entrò il vigore dalle due di notte del 7 Novembre 1956. Il 22 Novembre le forze anglo-francesi completarono l’evacuazione del canale sotto la sorveglianza dell’UNEF (United Nations Emergency Force) composta da brasiliani, indiani, indonesiani, scandinavi e colombiani; mentre Israele lasciò il Sinai e Gaza solo nel Marzo 1957 sotto la minaccia di un embargo congiunto Stati Uniti – URSS.
Eccezion fatta per i francesi e gli inglesi la crisi di Suez si concluse con il segno positivo per tutti gli altri attori della vicenda. Nasser aveva vinto il suo braccio di ferro con le ex-potenze coloniali, primo leader di un paese post – coloniale a riuscirvi, vedendosi riconosciuta la nazionalizzazione del canale mentre i russi si offrirono di finanziare la diga di Assuan in cambio di una fornitura di cotone. Il Rais egiziano diventava così il Leader di riferimento del mondo arabo e, nel 1958, sarebbe stato a un passo dal suo capolavoro politico con la firma del trattato egitto-siriano per la nascita della Repubblica Araba Unita che avrebbe dovuto portare all’unione dei due paesi, in previsione di un ulteriore allargamento al resto del Medio Oriente, se non fosse naufragata per dissidi interni già tre anni dopo. Dal canto suo Israele ottenne la garanzia della navigabilità del golfo di Aqaba, diritto garantito da una forza ONU stanziata a Sharm el Sheikh, anche se non rimosse i motivi di attrito con i vicini arabi, ma questa è un’altra stroia. L’URSS rafforzò il suo ruolo di protettore dei paesi del terzo mondo mentre Washington varò la “dottrina Eisenhower” in base alla quale gli Stati Uniti si sostituivano alle ex-potenze coloniali nella rappresentanza degli interessi occidentali in Medio Oriente non più su un piano imperialista, bensì supportando i governi legittimi in funzione anti-comunista. Per Londra e Parigi invece fu un completo disastro sia da un punto di vista di politica estera che di politica interna. Il ritiro con la coda tra le gambe vaporizzò ciò che restava dell’influenza europea in Medio Oriente e in Africa; due anni dopo il regime filo-britannico irakeno di re Feisal II venne rovesciato da una rivolta mentre re Hussein di Giordania si salvò solo per l’intervento dei parà inglesi dovendo però rivedere la sua politica estera in senso filo-nasseriano. Anche in Libano, il disgraziato regalo francese al Medio oriente post grande guerra, il governo fu salvato da un intervento dei marines mentre in Siria i guerriglieri distrussero il prezioso oleodotto che collegava il paese all’Irak. A Londra Anthony Eden fu costretto a dare le dimissioni e scomparve dalla scena politica; solo nel 1982, in occasione dell’invasione argentina delle Falkland, il Regno Unito si sarebbe di nuovo arrischiato a una vasta operazione militare fuori dai suoi confini per conservare il suo status di potenza mondiale. Ancora peggio andò in Francia dove il ritiro da Suez uccise di fatto la Quarto Repubblica; i militari infatti, ancora frustrati per l’Indocina, si convinsero che il sistema istituzionale non fosse in grado di supportare i loro sforzi per mantenere alto il prestigio francese e che prima o poi di fronte alla guerriglia algerina, incoraggiata dal successo di Nasser, anche l’Algeria sarebbe stata abbandonata. Per impedire ciò, meno di due anni dopo l’insuccesso egiziano, l’esercito minacciò il colpo di stato se non fosse stato chiamato al potere De Gaulle e infine lo tentò lo stesso, fallendo, quando anche il Generale comprese che era impossibile restare in Africa. De Gaulle comunque trarrà dalla vicenda di Suez il convincimento che la Francia non potesse fare affidamento sugli Stati Uniti per garantire la propria sicurezza e il proprio ruolo e ciò l’avrebbe spinto a portare il suo paese fuori dalla parte militare del trattato Nato nonché a sviluppare l’arsenale nucleare transalpino.
Suez però spazzò via anche il vecchio primato mondiale ottocentesco dell’Europa degli stati. Per oltre un secolo infatti gli stati europei avevano determinato i destini di tre quarti del mondo secondo la loro volontà risolvendo gli eventuali problemi proprio col metodo Suez (ne è un esempio proprio l’occupazione inglese dell’Egitto nel 1882 o la soppressione della rivolta dei Boxer in Cina nel 1901). Alla viglia della Grande Guerra solo un’altra potenza europea avrebbe potuto ostacolare un’iniziativa come quella anglo-francese e lo avrebbe dovuto fare o minacciando la guerra o facendo appello al concerto europeo perché la questione venisse risolta diplomaticamente con compensazioni reciproche. Adesso invece due potenze extra-europee (o una extra-europea e l’altra metà-europea a seconda di come si consideri la Russia) avevano imposto a Francia e Gran Bretagna un ritiro incondizionato senza nulla concedere al loro onore. Certo anche nell’ottocento alcune crisi si erano risolte con l’umiliazione di una delle parti in gioco, es. la crisi di Fascioda o la crisi bosniaca, ma in quei casi l’umiliazione sarebbe stata l’anticamera per la successiva rivincita mentre nel 1956 la sconfitta fu senz’appello. Semplicemente dopo la due guerre mondiali i singoli stati europei non aveva più la forza militare, politica ed economica per competere su di un piano di parità con le due super-potenze che si erano spartite il mondo a Yalta. Per costringere Londra e Parigi a ritirarsi era bastato ventilare la guerra e mettere sotto pressione la sterlina; le nazioni dell’Europa occidentale si era così improvvisamente scoperte indifese di fronte al gigante sovietico perché solo Washington aveva il peso specifico per contenerne le minacce. La freddezza dimostrata dagli americani nel momento in cui Kruscev bleffò sull’uso del potenziale nucleare russo mise di fatto fine all’avventura di Suez. Cinquant’anni prima se Francia e Regno Unito si fosse trovate insieme nella medesima situazione, minacciate magari dalla Germania o dalla Russia zarista, avrebbe probabilmente tenuto il punto rischiando la guerra o quanto meno pretendendo una conferenza internazionale che regolasse la questione con reciproco vantaggio; adesso invece, senza l’ombrello rassicurante americano, c’era solo l’alternativa tra il salto nel vuoto o la resa. La colpa di questo stato di cose però non andava ricercata nelle stelle o nel destino cinico e baro, ma nell’Europa stessa che si era lanciata nel carnaio del 1914, andando avanti fino al reciproco sfinimento dei contendenti, lasciando così un vuoto che fu occupato dai due ercoli in fasce di Napoleone; esattamente come nell’antichità la Macedonia occupò il vuoto lasciato da Sparta e Atene dopo la guerra del Peloponneso. Smarrita e incapace di riconoscersi, l’Europa cercò di ritrovare se stessa imboccando con forza il cammino comunitario, interrottosi dopo il fallimento della CED (comunità europea di difesa), firmando già nella primavera del 1957 i Trattati di Roma che istituivano la Comunità economica europea. Le possibilità di questa nuova Europa che nasceva, come dice Carlo Pinzani, più che per convinzione nell’idea, per ridare al vecchio continente un ruolo nel mondo bipolare della guerra fredda e per avere propria tutela strategia rispetto alla forza militare sovietica è oggi oggetto di discussione. Personalmente, e concludo, sono convinto che oggi, ancor più che nel 1957, i singoli stati europei siano assolutamente incapaci di svolgere un ruolo da protagonisti in uno scenario mondiale divenuto da bipolare a multipolare. La presenza di giovani (in senso lato ovviamente) e aggressive realtà come la Cina, l’India, l’Iran, ma anche il Giappone, che prima o poi tornerà ad essere una potenza politico-militare e non solo economica, riducono ulteriormente gli spazi per degli stati europei che, a più di cinquant’anni dal 1945, hanno mantenuto più che riguadagnato posizioni. Non so se ci vorrà una nuova Suez perché l’Europa si chiarisca le idee sulla sua strada, ma sono convinto che continuare a vivere nel ricordo del primato dell’Europa degli stati, morto e sepolto nelle trincee del ’14-’18, sia solo un pericolo per i destini di questo continente.
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