Nel Gennaio 1919 sulle terre del Medio Oriente che fino a pochi mesi prima avevano fatto parte dell’Impero Ottomano si sollevò un violento vento di protesta arabo contro i nuovi occupanti anglo-francesi. Quando un anno dopo quel vento si fu placato emerse quel Medio Oriente dei Mandati, canto del cigno dell’imperialismo europeo, che produsse una delle eredità più gravi di conseguenze degli accordi di pace di Parigi; appena un ventennio dopo, quando inglesi e francesi furono costretti ad andarsene, i confini arbitrari e anti-storici da loro tracciati furono alla base i conflitti che viviamo ancora oggi. Non solo, ma il senso di tradimento che gli arabi provarono tra il 1919-1920 creò una frattura di fiducia tra il loro mondo e l’Europa che si è negli anni allargato fino a determinare la violenta esplosione di questi anni. Con questo articolo so che andrò a toccare molti nervi scoperti, ma ritengo sia necessario ricordare questa parte di storia dimenticata per capire il motivo per cui in quella parte del mondo l’occidente è guardato con quello strano misto di molto odi et poco amo.
Prima però di narrare i fatti del biennio 1919-1920 mi sarà necessario un lungo preambolo che ha inizio subito dopo che il 29 Ottobre 1914 l’Impero Ottomano entrò in guerra al fianco degli Imperi centrali. Vista da oltre un secolo come il “malato d’Europa”, la Turchia fu subito individuata dagli Alleati come il ventre molle dello schieramento nemico e Londra, che in ragione dei suoi Possedimenti in Egitto e in India si trovava ad affrontare il grosso dello sforzo bellico in Medio Oriente, si iniziò a pensare che se era impossibile battere la Germania in Francia si sarebbe potuto aggirare il problema passando da sud. La campagna dei Dardanelli del 1915, conclusasi con il pantano di Gallipoli, fu il principale tentativo messo in atto dagli alleati di ottenere un rapido crollo di Costantinopoli per poi risalire i Balcani fino a prendere alle spalle prima l’Austria-Ungheria e poi il Reich. Dopo il ritiro dalla penisola sul Bosforo l’insistenza francese nel concentrare tutti gli sforzi sul suo fronte relegò il teatro orientale a un ruolo secondario, ma non per questo gli inglesi abbandonarono l’idea di aggirare gli imperi centrali solo che, con le trincee del fronte occidentale che fagocitavano soldati a ritmi impressionanti, bisognava trovare qualcuno in loco che aiutasse a supplire alla carenza di truppe combattenti. Fu a questo punto che si decise di chiudere le trattative con lo sceriffo della Mecca al-Husayn che si era offerto di guidare una rivolta araba contro il governo dei Giovani Turchi in cambio della promessa di essere messo alla guida, a guerra finita, di un grande regno arabo unitario che avrebbe compreso la penisola Araba e l’intero Medio Oriente fino alla Persia. Gli inglesi, in particolare l’apparato burocratico-militare del Cairo che godeva dell’appoggio del Feldmaresciallo Horatio Kitchener ministro della guerra, aveva già accarezzato l’idea di provocare un’insurrezione degli arabi, scontenti della politica pan-turca di Costantinopoli, promettendo a al-Husayn il titolo di Califfo non comprendendo che per i musulmani questa non era solo una carica spirituale, ma anche politica. In realtà l’intero corso delle trattative tra inglesi e Feisal, figlio di al-Husayn e suo rappresentato, mostrò una profonda ignoranza dei primi sia riguardo al mondo arabo che più in generale a quello musulmano: non si capì che gli arabi in piccolo e i musulmani in grande erano tutt’altro che uniti al loro interno, che si sarebbe messa una casata sunnita a regnare anche su zone a maggioranza scita e che la forza attrattiva dello stesso al-Husayn era molto limitata tenuto conto che nella stessa penisola Araba questi stava arretrando di fronte alla spinta di Ibn Saud (futuro padre dell’Arabia Saudita e leader della corrente musulmana ultra ortodossa del wahhabitismo). Nonostante ciò, anche a causa dei rappresentanti di certe associazioni arabe nazionaliste che spacciavano un proselitismo lontano anni luce dalla realtà, tra il 1914 e il 1916 Feisal e il rappresentante inglese McMahon giunsero a un accordo in base al quale gli arabi avrebbero supportato lo sforzo bellico alleato in cambio della creazione di un Regno Arabo dopo la fine della guerra; in realtà già allora i confini di questo Regno erano piuttosto incerti e allo scopo di mostrare la confusione che vi era in materia vale riprodurre un brano di una lettera di McMahon allo sceriffo della Mecca “I distretti di Merin e Alessandretta, e parti della Siria che si estendono a ovest del distretto di Damasco, Homs, Hama e Aleppo, non possono dirsi puramente arabi, e debbono al riguardo essere esclusi dalla delimitazione che si propone. Subordinatamente a detta modifica, e senza pregiudizio per i trattati conclusi fra noi e alcuni capi arabi, noi accettiamo detta delimitazione.”. Mentre però gli inglesi trattavano con gli arabi sull’principio dell’indipendenza, discutevano anche con i francesi sul principio della spartizione dell’Impero ottomano. Questa può apparire un bieco tradimento, ma in realtà non fu così o meglio non lo fu per tutti perché i funzionari britannici e francesi erano tutti figli dell’epoca dell’imperialismo e quindi ritenevano che l’unica indipendenza che gli arabi potessero volere fosse in realtà una semi-autonomia sotto il protettorato europeo che avrebbe portato ordine e progresso come stava avvenendo nel resto del mondo. Se tale pretesa era già presuntuosa in Asia dov’era applicata a civiltà millenarie, lo era ancora di più in Medio Oriente che per secoli aveva condiviso la strada con l’Europa; gli anglo-francesi non capirono, o non vollero capire, che quando i rappresentanti arabi parlavano d’indipendenza la intendevano nel senso pieno del concetto senza che gli europei vi avessero alcun ruolo. Il 16 Maggio 1916 venne siglato l’accordo Sykes-Picot (integrato poi con un accordo anche coi russi) che delimitava le sfere d’influenza francesi e inglesi nel futuro Regno Arabo unito: l’odierno Israele, la Giordania e i 3/4 dell’Iraq sarebbero state inglesi mentre la Siria e il Nord Iraq francesi mentre per i luoghi santi si sarebbe parlato di un’amministrazione internazionale; si aggiunse però anche che, pur potendo far nominalmente parte del Regno Arabo, il porti di Haifa e la Mesopotamia propriamente detta sarebbero stati amministrati direttamente dal Regno Unito mentre la costa siriana e il Libano dai francesi. L’accordo Sykes-Picot fu un’apoteosi di mentalità imperialista che ignorò completamente la storia e gli equilibri etnico-religiosi locali, gli assurdi confini degli stati mediorientali moderni sono figli anche di quel trattato, in favori degli interessi nazionali franco-inglesi; ma quali erano questi interessi? Per quanto riguarda i francesi era un insieme di economia, ritorno di fiamma del ricordo del Levante latino dell’epoca delle crociate unito con la pretesa di ergersi a protettori delle minoranze cristiane locali (come i maroniti in Libano); per gli inglesi si trattava invece di proteggere il canale di Suez, sigillare un’ulteriore rotta d’accesso all’India e accaparrarsi utili giacimenti di petrolio che proprio in quegli anni stava iniziando a diventare il motore dell’economia mondiale. Va detto però che entrambe le parti firmarono l’accordo con la reciproca recondita intenzione di trovare un modo per rosicchiare quanto più del territorio della contro parte; infatti né i francesi intendevano lasciare tutto il bacino del Giordano agli inglesi né gli inglesi intendevano lasciare la Siria ai francesi e per questo incoraggiarono al-Husayn all’azione in modo da usarlo anche contro Parigi. Se già tre attori sulla scena non paiono pochi gli inglesi pensarono bene di aggiungerne anche un quarto: i sionisti di Chaim Weizmann. Stando a David Fromkin quando Londra si accorse che la rivolta araba non era e non sarebbe mai stato quell’gigantesco movimento di popolo che si era aspettato si mise nuovamente alla ricerca di un qualche aiuto esterno che facesse crollare l’Impero Ottomano e lentamente si iniziò a guardare al sionismo. Bisogna capire che già alla fine dell’ottocento si era iniziata a diffondere in Europa quell’isteria che riteneva gli ebrei a capo di chissà quali reti di potere sotterranee in grado di influenzare i governi degli stati; in particolare presso alcuni esponenti del Foreign Office e dell’Arab Bureau c’era la convinzione che il governo dei Giovani Turchi non fosse altro che una marionetta nelle mani degli ebrei e che quindi ottenendo l’appoggio di questi si sarebbe potuto minare dall’interno l’Impero Ottomano. A fantasia si aggiunse fantasia quando si ritenne che il soggetto a cui rivolgersi era il movimento sionista che, grossolanamente, si riteneva espressione di tutti gli ebrei quando in realtà all’epoca era profondamente minoritario in quanto le comunità ebraiche dei singoli stati non vedevano il motivo di sognare la terra promessa quando finalmente iniziano ad essere accettati come cittadini a tutti gli effetti nei paesi in cui vivevano. Il sionismo però, come l’interventismo italiano, era una minoranza molto rumorosa che riuscì ad accreditarsi presso il governo inglese come un negoziatore credibile e in particolare Weizmann riuscì a stringere un rapporto personale con David Lloyd George e Arthur Balfour. Ci sono anche ricostruzioni diverse su come si giunse alla dichiarazione di Balfour come ad esempio che essa fu il premio che Lloyd George concesse a Weizmann per aver scoperto il processo per l’acetone, necessario per la cordite, o che sarebbe servita per ottenere l’appoggio delle comunità ebraiche americane alla guerra o ancora per far ribellare quelle tedesche contro il Reich. Fatto sta che il 2 Novembre 1917, senza aver consultato i funzionari britanni del Cairo o l’Arab Bureau, Arthur Balfour in qualità di ministro degli esteri inviò al Lord Rothschild, quale esponente di rilevo del sionismo, uno dei documenti più carichi di conseguenze della storia: “Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”. Torneremo sulle conseguenze di questa dichiarazione quando parleremo degli eventi palestinesi limitandoci per adesso a constatare che agli inizi del 1918 gli alleati avevano fatto promesse sul medio oriente a tre soggetti: se stessi, gli arabi e i sionisti… cosa poteva andare storto? Alla fine la guerra contro la Turchia non fu vinta né dalla rivolta araba né dai fantasiosi “complotti ebraici”, ma dalle truppe del generale Allenby che nell’Ottobre 1917 lanciò dal Sinai l’offensiva contro la le forze turche in Palestina occupando Gerusalemme il 9 Dicembre e schiacciando definitivamente la resistenza turca nella battaglia di Megiddo tra il settembre e l’ottobre 1918. Intanto gli arabi, guidati da Feisal e T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia), trovarono finalmente il loro ruolo nella guerriglia dietro le linea nemiche sfruttando la grande mobilità dei beduini. Non è questa la sede per stabilire quale sia stato il reale peso degli arabi nella vittoria in Medio Oriente tema ancora oggi dibattuto con alcuni storici come Fromkin che affermano che la rivolta esistette solo nell’abile propaganda di Lawrence mentre per Basil Liddel Hart le truppe di Feisal svolsero un’utile opera di sabotaggio delle retrovie turche. Fatto sta che il 1 Ottobre le colonne arabe entrarono a Damasco, dopo che la guarnigione turca si era però arresa alla cavalleria australiana che va detto era stata decisiva per la vittoria di Allenby, e il 30 Ottobre l’Impero Ottomano chiedeva la pace. Una pace che però nasceva sotto una cattiva stella perché a Parigi, dove si discuteva dell’assetto del mondo post guerra, ci si accorse subito che soddisfare le ambizioni di tutti e quattro gli attori sulla scena era difficile tenuto conto anche che uno degli attori erano i popoli che abitavano quelle terre; ben presto ci si rese conto che la cattiva stella era in realtà uno sciame di meteore che si preparava a investire l’intero Medioriente.
-Egitto 1919
Come raccontai in un precedente articolo l’Egitto era parte dell’Impero ottomano, ma venne occupato dagli inglesi nel 1882 principalmente allo scopo di tutelare il canale di Suez. Quest’occupazione, fatta controvoglia e originariamente intesa come temporanea, divenne progressivamente permanente con l’istaurazione di un protettorato britannico su un territorio che nominalmente restava soggetto al salutano turco. Gli inglesi però non erano ospiti graditissimi nella terra dei faraoni e così, allo scoppio delle ostilità con Costantinopoli nel 1914, temendo di poter essere colpiti alle spalle da una rivolta interna si provò ad accattivarsi i favori degli egiziani promettendo l’indipendenza del paese. L’offerta ebbe successo e l’Egitto rimase tranquillo per tutta la durata del conflitto fungendo da base fondamentale per le operazioni inglesi contro i turchi; la promessa però stavolta era vista da molti funzionari inglesi del Cairo come puramente strumentale mentre da altri si pensava sempre che bastasse trasformare il protettorato di fatto in un protettorato di diritto mascherato da una semi-autonomia. Quello di cui gli inglesi non si resero conto era che la guerra stava cambiando profondamente la società egiziana; tutto questo parlare di autonomia araba stava risvegliando una coscienza nazionale che in Egitto era sempre stata presente, prima contro i turchi ora contro gli inglesi, inoltre nuovi ceti sociali medi stavano emergendo grazie ai giri d’affari creati dal conflitto. Quando infine la Turchia firmò la pace non passò neanche un mese che gli egiziani si presentarono per chiedere il rispetto della promessa fatta loro. Il 13 Novembre 1918 una delegazione di personalità pubblica guidata dall’ex ministro e capo dell’Assemblea legislativa Saad Zaghlul si presentò, seppur non in veste ufficiale, presso il commissario britannico al Cairo Lord Wingate chiedendo l’abolizione della legge marziale e del protettorato. Zaghlul chiese anche che l’Egitto, in ragione del suo nuovo status internazionale, potesse inviare una sua autonoma delegazione di pace a Parigi oltre a poter lui stesso recarsi a Londra per trattare col governo britannico dei passi per concludere il protettorato. Dunque nulla di rivoluzionario, ma la richiesta dell’apertura di un negoziato per poter giungere a un pacifico trapasso dei poteri; gli inglesi però non avevano alcuna intenzione di abbandonare l’Egitto e così Wingate cercò di temporeggiare. L’insoddisfatto per l’atteggiamento britannico Zaghlul si dedicò, praticamente appena concluso l’incontro, alla costituzione di una delegazione egiziana per Parigi che fosse quanto più interclassista e rappresentativa possibile così da esercitare una pressione sul Commissario britannico. Wingate non poteva neanche contare sull’appoggio del Sultano Faud e dei suoi ministri i quali, temendo di poter essere etichettati come amici degli inglesi, dichiararono che non avrebbero preso parte a nessuna delegazione che non comprendesse anche Zaghlul e i suoi. Con l’avvicinarsi nel Gennaio 1919 dell’apertura della conferenza parigina Zaghlul e il partito da lui costituito, Wafd appunto “delegazione”, si indignarono nel sapere che alla Siria era stata concessa una propria delegazione pretendendo per l’Egitto il medesimo diritto. Da qui in poi la situazione precipitò perché, con una mossa assolutamente intempestiva, gli inglesi vietarono a Zaghlul di parlare in pubblico provocando la reazione del governo del sultano che si dimise in blocco. Credendo di trovarsi davanti a “un vecchio che vuole assicurarsi la pensione” e non comprendendo quanto fosse esteso il malumore nel paese, gli inglesi ritennero di poter risolvere la situazione semplicemente facendo arrestare Zaghlul e i suoi più stretti collaboratori per poi deportarli a Malta il 9 Marzo. Mal gliene colse perché immediatamente il paese fu bloccato da un’ondata di scioperi e manifestazioni che colsero completamente di sorpresa le autorità britanniche. Fino ad allora questi si erano convinti che l’indipendenza fosse lo schiribizzo di quattro politicanti falliti e che in Egitto, come nel resto del mondo arabo, non vi fosse spazio per un autentico nazionalismo; qualcuno anzi nell’Arab Bureau arrivò anche a suggerire che la soluzione migliore fosse di procedere direttamente all’annessione del paese all’Impero. Invece adesso in pochi giorni il Cairo, Alessandra e tutto il corso del Nilo erano invase da manifestanti di ogni fede, sesso e condizione sociale, persino i placidi contadini vi si erano uniti, e gli inglesi dovettero riconoscere di trovarsi davanti a un movimento nazionale ben radicato pronto a combattere per l’indipendenza. Ben presto iniziarono gli atti di sabotaggio contro le ferrovie e il 18 Marzo otto soldati inglesi vennero assassinati su un treno; all’Alto Commissariato si iniziò a perdere la testa trasmettendo a Londra di essere di fronte alla più grande sollevazione che l’Impero aveva dovuto affrontare dai tempi della rivolta dei sepoy. Era un’esagerazione, ma la situazione era comunque grave e per porvi rimedio il 7 Aprile Zaghlul venne rilasciato mentre l’esercito riportava l’ordine seppur con costanti ritorni di fiamma della protesta. Gli inglesi furono costretti ad accettare il fatto che il protettorato andasse abolito, ma il problema era con cosa sostituirlo dato che l’importanza del canale di Suez escludeva un loro ritiro dal paese. Le trattative tra i rappresentati di Londra e quelli del sultano infransero per la prima volta uno dei miti britannici sul Medio Oriente e cioè che gli arabi non desiderassero altro che avere gli inglesi accanto come influenti consiglieri accettando in funzione di ciò una semplice autonomia o una semi indipendenza; no gli egiziani volevano solo che loro se ne andassero e non erano disposti ad accettare soluzioni di compromesso. I negoziati così si arenarono nel nulla e il Regno Unito fu costretto a mantenere in Egitto grosse militari per garantirsi il controllo del paese.
-Penisola Araba 1919
Finito il conflitto gli inglesi erano convinti di poter facilmente gestire la penisola Araba a loro piacimento dopotutto le sue coste era controllate con estrema facilità dalla Royal Navy e con la scomparsa dell’Impero Ottomano non vi era nessun altra potenza che potesse creargli ostacoli in loco. Le due principali autorità locali erano al-Husayn a ovest e Ibn Saud ad est entrambi foraggiati col denaro londinese, ma ben presto ci si accorse che le rivalità di antica data tra questi due soggetti erano assolutamente insormontabili. Entrambi spendevano buona parte dei fondi inviatigli per farsi la guerra a vicenda in una situazione parossistica con gli inglesi nel mezzo che a parole si dicevano sempre pronti a intervenire, ma che poi in realtà non facevano niente. Anche qui una delle idee fondamentali degli inglesi per il nuovo assetto del Medio Oriente, al-Husayn come califfo del Islam, si stava scontrando con la realtà di un mondo musulmano diviso in tanti gruppi di cui uno, la corrente puritana dei wahhabiti, a cui capo si era posto Ibn Saud sfidava apertamente il futuro califfo in casa sua. Il motivo del contendere era il controllo di alcune oasi che però non erano importanti in quanto tali, ma per l’universo di tribù che vi ruotava attorno e quindi, indirettamente, l’estensione d’autorità nella penisola. Il 21 Maggio 1919 i confratelli, così erano chiamati i seguaci del wahhabitismo, annientarono l’esercito di al-Husayn e, nonostante i moniti di Londra, Ibn Saud usò questo successo per lanciare una serie di campagne che in meno di un decennio l’avrebbero portato a unificare la penisola. Gli inglesi, invece di abbandonare al-Husayn a se stesso, si impegnarono sempre di più nella sua difesa ponendosi però così in rotta di collisione con Ibn Saud. L’uomo che avrebbe dovuto fungere da catalizzatore del nuovo Regno Arabo filo inglese stava venendo buttato fuori da casa sua con estrema facilità senza che gli inglesi riuscissero a fare nulla di concreto per impedirlo se non inimicarsi il nuovo padrone e proprio nello stesso momento in cui anche le terre a nord che avrebbero dovuto far parte di questo regno iniziavano a ribollire.
-Siria e Libano 1920
Se l’Egitto fu l’antipasto dell’ostilità araba alle intenzioni Europee la Siria e poi la Palestina furono il piatto forte. Come abbiamo detto nel 1918 i beduini di Feisal furono i primi ad entrare a Damasco e il generale Allemby aveva accordato al principe arabo il diritto di amministrare provvisoriamente la Siria. Feisal era un politico accorto e, consapevole di essere uno straniero non ancora ben voluto da tutti a Damasco, si affrettò a convocare un Congresso generale siriano che gli desse mandato per rappresentare a Parigi gli interessi dei popoli arabi. In questo congresso entrò una folta rappresentanza delle famiglie siriane tradizionali, che erano rimaste fino alla fine fedeli a Costantinopoli e che non erano pronte a fare nessuna concessione agli alleati in sede di trattative di pace, ma si riuscì a metterle in minoranza con l’insieme delle tre principali organizzazioni arabe nazionaliste ognuna però più interessata al suo piccolo (Mesopotamia, Palestina, Siria) che al quadro generale. Alla prima riunione del Congresso nel 1919 il progetto del grande Regno arabo unito venne mandato subito nel cassetto con la richiesta della creazione di una grande Siria indipendente (composta dalle odierne Siria, Libano, Giordania e Israele) intorno ai confini di quelle che erano state le tre province siriane ottomane (Damasco, Aleppo e Beirut) più la provincia di Gerusalemme considerate dagli arabi come parte di un’unica entità. Un progetto del genere voleva dire mettersi in rotta di collisione con i francesi che intendevano governare direttamente la costa siriana e quanto più era possibile del suo interno, ma Feisal trovò dall’altra parte della barricata il negoziatore adatto per giungere a un compromesso. George Clemenceau infatti era principalmente interessato alla Germania e considerava la Siria solo un orpello desiderato da quattro camarille coloniali interne alla destra per cui fu felice di stringere un accordo in base al quale il filo-inglese Feisal avrebbe regnato su una Siria con ampia autonomia sotto comunque un controllo soft francese. Era il massimo che si poteva ottenere da un francese e Feisal andò nel panico quando nel 1920 Clemenceau dovette ritirarsi dalla politica per problemi di salute vendo sostituito da una coalizione di destra nazionalista che vedeva invece nella Siria la prossima aggiunta all’Impero coloniale francese. Il principe arabo ritenne che l’unico modo per mettere il nuovo governo di Parigi di fronte al fatto compiuto fosse che il Congresso siriano riconoscesse l’accordo da lui stipulato rendendo così difficile ai francesi rimangiarselo. Quando però nel Gennaio 1920 Feisal rientrò a Damasco si accorse subito che il Congresso non voleva sentir parlare di semi-autonomia; o indipendenza piena o niente e un rappresentante delle associazioni nazionaliste disse “Siamo pronti a dichiarare guerra sia alla Francia che alla Gran Bretagna.”. Fallito il piano della trattativa Feisal ritenne fosse meglio mettersi a vento dei suoi seguaci schierandosi per l’indipendenza piena e affermando di essere pronta a difenderla con la spada; si trattava però di pre-tattica perché nello stesso tempo prendeva contatti con i suoi ex nemici delle famiglie tradizionali per farsi appoggiare nella ricerca di un nuovo compromesso con Parigi. Venne così fondato il Partito nazionalista che, in privato ovviamente, si diceva disponibile a sottoscrivere l’accordo Feisal-Clemenceau accettando anche una presenza francese nella regione oltre che un accordo con i sionisti in Palestina. Per impedire il rafforzamento di questa nuova entità le associazioni nazionaliste arabe forzarono i tempi convocando il secondo Congresso generale siriano nel Marzo 1920 che proclamò la Siria indipendente nei suoi confini naturali con Feisal monarca. Era un’aperta sfida agli alleati aggravata dal fatto che veniva poche settimane dopo che a Costantinopoli era stata proclamata l’indipendenza della Turchia in opposizione al trattato di Sevres. La situazione preoccupò molto gli inglesi, anche perché quasi contemporaneamente in Mesopotamia gli arabi locali seguirono la stessa strada, che tentarono di mantenere aperto il filo del dialogo per evitare di arrivare allo scontro totale con il mondo arabo cercando di convincere Feisal a tornare sui suoi passi. Il principe però ormai era vincolato dalla volontà del Congresso e così non poté o non volle opporsi all’inizio di una guerriglia contro i francesi sbarcati sulla costa e all’apertura di contatti con i kemalisti in Anatolia per un’azione comune contro gli alleati. Gli arabi però sopravvalutarono il rapporto tra Feisal e gli inglesi; Londra infatti dovendo scegliere tra sostenere il principe e litigare con i francesi perdendo allo stesso tempo i loro diritti su Palestina e Mesopotamia scelse Parigi. Fino a quel momento Lloyd George e le truppe di Allemby erano state tutto ciò che impediva ai francesi di spazzare via le ambizioni indipendentiste della Siria, ma quello scudo venne meno quando il primo ministro inglese tornò a dialogare con Parigi. Da quel momento il destino della Grande Siria fu segnato; il 20 Maggio 1920 i francesi siglarono una tregua con i kemalisti staccandoli dagli arabi e lo stesso giorno venne ordinato al generale Gourand di muovere da Beirut contro Feisal. Gourand mandò un ultimatum irricevibile a Feisal che però, nel disperato tentativo di salvare il salvabile, lo accettò provocando una rivolta a Damasco contro di lui; i francesi però non era disposti ad accettare nient’altro che una sottomissione totale così, dopo aver definito la prima risposta irricevibile, inviarono un secondo ultimatum che però fu anche questo accettato. Si decise a questo punto di mettere fine alla farsa e, dietro la scusa puerile che la risposta era giunta dopo la scadenza del termine, si diede inizio alle operazioni. Virtualmente gli arabi avrebbero potuto vincere perché i francesi erano pochi e dovevano muoversi in regioni inospitali fatte di strettoie obbligate, ma invece di attaccarli in questi passaggi gli arabi attesero che i senegalesi dell’Armata del levante giungessero in campo aperto dove fece la sua comparsa l’aviazione francese. Non ci fu neanche una vera battaglia perché le truppe poste a difesa di Damasco si diedero rapidamente alla fuga e la città venne occupata il 26 Luglio; il giorno dopo Feisal venne esiliato dalla Siria che il principe abbandonò il 28 per non farvi più ritorno. A Parigi il governo proclamò che la Francia avrebbe governato la Siria “Tutta intera e per sempre.”. L’amministrazione francese si affrettò a dividere la nuova colonia in varie entità, in particolare il 1 Agosto creò la provincia del Grande Libano precursore dell’attuale stato libanese. Conviene spendere qualche parola su questa scelta perché fu gravida di conseguenze in quanto questo Grande Libano non comprendeva solo la vecchia provincia libanese ottomana abitata da cristiani maroniti e dai drusi, ma anche una serie di aggiunte come Beirut, Tripoli, Sidone, Tiro e la valle del Bekaa che non avevano mai fatto parte del Libano ottomano. Una massa di musulmani sciti e sunniti venne così improvvisamente inserita a forza all’interno di un entità che si era sempre fondata sul predominio della minoranza cristiana locale. Non si sa se fu un’iniziativa interamente francese o se le comunità maronite, da secoli protette da Parigi, ci misero lo zampino, ma le conseguenze di questa ingrandimento anti-storico e anti-etnico del Libano furono i conflitti civili e religiosi che questo paese vive dagli anni settanta del secolo scorso.
-Palestina e Transgiordania 1920
Gli eventi siriani si erano conclusi con un netto passivo per il Regno Unito che, non solo aveva perso la fiducia dei suoi alleati arabi, ma non era riuscita neanche a ricucire con la Francia la quale aveva capito che il suo alleato aveva tentato di usare Feisal per rivedere a suo favore l’accordo Sykes-Picot ritirandosi solo quando il suo piano era fallito. Decisa a ricambiarla con la stessa moneta la Francia decise di mettere in difficoltà gli inglesi in Palestina area che teoricamente avrebbe dovuto essere di competenza di Londra, ma che Parigi non disperava di poter aggiungere al suo sacco. La provincia ottomana di Gerusalemme comprendeva sia gli odierni Israele e Cisgiordania che la Giordania detta all’epoca Transgiordania; queste due aree se condividevano il fatto di essere i luoghi degli eventi biblici avevano però grosse differenze sia nel successivo sviluppo storico che sociale. La Transgiordania era una pentola a pressione di gruppi stanziali e di beduini, spesso in lotta tra loro, che gli inglesi avevano assegnato in governo provvisorio a Feisal dopo la fine del conflitto; questa scelta si rivelò disastrosa perché una volta che il principe arabo fu espulso dalla Siria i francesi poterono accampare argomenti in materia di successione di potere per avanzare le loro pretese sul territorio. I funzionari inglesi in loco temevano sia che i sostenitori di Feisal potessero continuare la loro guerriglia anti-francese dalla Transgiordania, dando così a Parigi un motivo per invadere, sia che la zona piombasse nell’anarchia più completa per la lotta tra le varie fazioni. Londra, che stava tentando di far quadrare i bilanci, non era disposta ad autorizzare un invio di truppe che sarebbe stato molto impopolare in un Regno Unito in pieno clima di disarmo post-conflitto. Il 9 Settembre 1920 il capitano Burton inviò un rapporto preoccupato in cui riferiva che i seguaci di Feisal avevano proclamato la guerra santa contro la Francia, ma pochi giorni dopo riferì che i volontari erano stati appena una quindicina. Il timore comunque che Parigi potesse sfruttare un qualche incidente per inviare le sue forze continuava ad aleggiare unito con la convinzione che una terra abitata da tali “selvaggi” non fosse adatta all’autogoverno. La strategia inglese fu il più basilare divide et impera cioè mettere l’una contra l’altra le varie tribù locali in modo che non potessero coalizzarsi contra i francesi; ma un altro problema si affacciava e stavolta riguardava l’intero territorio della Palestina: cosa sarebbe successo se la Francia invece di invadere avessero dato inizio a una campagna propagandistica anti-britannica focalizzata sull’anti-sionismo? Il gigantesco errore di Londra fu credere che bastasse far sedere allo stesso tavolo Feisal e Weizmann per fargli trovare un accordo perché gli arabi della Palestina accettassero il sionismo. Con un’ingenuità spaventosa tutti pensarono che bastasse assicurare alle comunità locali che i loro diritti sarebbero stati garantiti e che gli ebrei si sarebbero installati in aree non abitate perché potesse essere accetta come naturale un’improvvisa ondata migratoria, o presunta tale, dall’Europa. L’atteggiamento schizofrenico degli inglesi poi fece in resto perché a Londra il governo era orientato per il rispetto della dichiarazione di Balfour, facendo sentire le spalle coperte al movimento sionista che riteneva essere quella di favorire il suo insediamento in terra santa una politica ufficiale, ma in loco le autorità militari inglesi erano fortemente anti sioniste un po’ per questioni religiose, un po’ per antisemitismo e un po’ per calcolo politico così da sterilizzare eventuali iniziative francesi (a Parigi una delle parole d’ordine era mai il Santo Sepolcro in mano ad ebrei o eretici anglicani). Questi rappresentati inglesi in loco non fecero nulla per nascondere il loro pensiero ai locali che si convinsero, di converso ai sionisti, che mettendo in atto una resistenza accanita, anche violenta se necessario, alla fine il progetto sionista sarebbe stato abbandonato. In questo guazzabuglio ci si misero anche i conflitti tribali locali perché le due principali famiglie di Gerusalemme, gli al-Husseini e gli al-Nashashibi, si schierano su posizioni opposte, l’una pro-britannica e cooperativista mentre l’altra antibritannica e anti sionista, tentando di sfruttare la situazione per aumentare il loro potere a scapito dell’avversario. I primi scontri si ebbero nel 1919 quando i beduini attaccarono gli insediamenti ebraici in Galilea e nel 1920 iniziarono a diffondersi voci che le violenze si sarebbero estese a Gerusalemme. Questo clima di tensione contribuì a far nascere in alcuni gruppi sionisti locali quel senso di comunità sotto assedio e di necessità di autodifesa che ancora oggi permea lo stato israeliano; in particolare furono gli ebrei provenienti dall’ex-impero zarista, che avevano già vissuto sulla loro pelle i pogrom, a organizzare le prime squadre di autodifesa sotto la guida di Vladimir Jabotinsky un giornalista polacco che durante la guerra aveva guidato una brigata ebraica nell’esercito inglese. Il sangue iniziò a scorrere nella città santa il 4 Aprile 1920 quando i capipopolo incitarono le folle a una rivolta antiebraica che si trasformò in un tre giorni di violenze al termine dei quali vi furono morti e feriti tranne nelle zone pattugliate dalla milizia di Jabotinsky. L’atteggiamento tenuto dagli inglesi non aiutò a placare gli animi perché se i facinorosi arabi furono per lo più lasciati andare, una delle parole d’ordine della rivolta era stata “Il governo è con noi!”, la milizia ebraica venne invece sciolta e i suoi ufficiali deferiti alla corte marziale. La commissione inviata da Londra a investigare sui fatti ottenne dichiarazioni che ricordano “incredibilmente” cioè che sentiamo dire oggi puntualmente all’esito di ogni nuova vampata di violenza: gli ufficiali inglesi accusarono gli ebrei di aver provocato gli arabi mentre i sionisti replicarono accusando i militari di aver fomentato gli arabi più estremisti… deja vu? Il presidente della commissione, esaminando obbiettivamente i fatti, dovette dare ragione agli ebrei ammettendo che i militari britanni stavano facendo una sordida opposizione al sionismo, ma non mise in luce le legittime preoccupazioni arabe che vennero derubricate a semplici paure frutto della cattiva opera dei funzionari inglesi. Sulla base di questa relazione Londra saggiamente decise di sciogliere l’amministrazione militare in Palestina, meno saggiamente decise di mettere a capo della nuova amministrazione civile Herbert Samuel deputato liberale di origini ebraiche e da sempre filo-sionista. L’azione sembrò indicare la volontà del governo inglese di sostenere con tutto il suo prestigio la dichiarazione di Balfour, ma proprio mentre si decideva così in seno al gabinetto iniziavano a sorgere i primi dubbi sulla reale fattibilità del progetto sionista anche da parte di personalità insospettabili come Churchill. Il timore era di provocare una rivolta araba generalizzata in Palestina proprio nel momento in cui in Mesopotamia esplodeva la più grande protesta contro la presenza inglese.
-Mesopotamia 1920
Rispetto alle altre realtà arabe fin qui narrate in Mesopotamia il gruppo che si presentò agli inglesi come espressione del nazionalismo locale era formato per lo più da militari che durante la guerra era rimasti fedeli alla Turchia dei giovani turchi. Si trattava dunque di personalità tendenzialmente già su una linea anti-britannica che, ancor meno dei loro fratelli siriani o palestinesi, erano disposti ad accettare un’interferenza europea nei loro affari. La situazione venne resa ancora più complessa dal fatto che l’amministrazione britannica stabilitasi nella zona non era quella cairota come nel resto del Medio Oriente, bensì quella indiana convinta che l’idea di dare l’autogoverno a una realtà così frammentata tra beduini, zone urbane, curdi ecc. fosse una follia destinata a non produrre altro che danni sia agli inglesi che ai locali. Ci voleva il controllo diretto da parte britannica aggiungendo la Mesopotamia all’Impero. Consigliera di questa amministrazione era la famosa giornalista e arabista Gertrude Bell che, scrivendo al presidente Wilson, espresse una delle più pure rappresentazioni del pensiero inglese su quella che si credeva fosse il sentire dei locali “gli abitanti della Mesopotamia, avendo assistito alla felice conclusione del conflitto, avevano dato per scontato che il paese sarebbe rimasto sotto il controllo britannico, e nell’insieme erano contenti di accettare il verdetto delle armi.”. Insomma gli arabi non aspettavano altro che finire sotto la meravigliosa amministrazione britannica che avrebbe portato pace e prosperità anche se, continuava la Bell, il diffondersi delle idee di autodeterminazione nazionale propugnate dal presidente americano avrebbe potuto aprire “spazi per l’intrigo politico agli elementi più instabili e più fanatici.”. L’insieme di quello che gli inglesi iniziarono a chiamare Iraq (terra ben radicata) cioè le province ottomane di Bassora, Baghdad e Mosul era di quanto più disorganico vi fosse: le tre province non avevano mai fatto parte di un’entità unica e in particolare l’area di Mosul, a cui i francesi avevano precedentemente rinunciato in cambio dell’appoggio inglese in Europa, avrebbe compreso il Kurdistan e i curdi avevano già fatto intendere di non avere nessun intenzione di diventare parte di uno stato arabo. Di fatto l’unica ragione che spinse gli inglesi ad aggiungere Mosul all’equazione Iraq era la sua importanza strategica come territorio ricco di giacimenti petroliferi; oltre a ciò l’area di Mosul era a maggioranza sunnita mentre le altre due a maggioranza scita e le due comunità da secoli si guardavano in cagnesco. Come avrebbero reagito gli sciti all’essere governati da una casa reale sunnita? Come avrebbero reagito le piccole comunità ebraiche e cristiane? E si sarebbe riusciti a piegare all’idea di un’amministrazione statale le tribù che esprimevano i tre quarti della popolazione e che erano da sempre erano gelose della loro autonomia? Un missionario americano spiegò bene alla Bell i pericoli a cui gli inglesi stavano andando in contro cercando di tracciare una linea artificiale che unisse l’Assiria, che aveva sempre guardato a Nord, e Babilonia, che aveva sempre guardato a Sud. Il 12 Giugno 1920 alcuni esponenti politici arabi di Baghdad fecero presente a Gertrude Bell, in qualità di rappresentante del governo inglese, la profonda insoddisfazione locale per il fatto che durante la guerra si fosse sempre parlato d’indipendenza mentre da che vi era stata la pace nessun passo in quella direzione si era fatto al contrario di ciò che avveniva in Siria e Palestina. Le tribù, in particolare quelle curde, erano particolarmente ostili e sin dal 1919 erano iniziati gli attacchi sistematici contro gli inglesi che iniziarono a dover contare i morti. Se la Bell continuava ad essere ottimista il suo capo Arnold Wilson invece iniziò a fiutare la rivolta e pregò il governo di rinunciare al suo piano di smobilitazione delle truppe o almeno di fare pressione su Feisal perché facesse smettere la propaganda pro-indipendenza ad opera dei suoi. In Giugno infine la rivolta delle tribù esplose, probabilmente dopo che gli inglesi tentarono di imporre la riscossone fiscale, e si propagò ben presto all’intera Mesopotamia con presidi britannici occupati e line di comunicazione interrotte. Ben presto dalla rivolta si passò alla guerra santa contro l’occupante proclamata a Kerbalah, città santa scita; ma cosa più importante, ritenuta dagli inglesi impossibile, sunniti e sciti decisero di mettere momentaneamente da parte le loro rivalità per combattere il comune nemico. Ex ufficiali di Feisal lanciarono la loro cavalleria beduina contro le postazioni inglesi mentre l’11 Agosto Gerald Leachmann, un ufficiale considerato il massimo esperto inglese di Mesopotamia, venne assassinato a tradimento mentre si trovava a trattare con alcuni capi tribù. Ben presto i ribelli si sentirono sufficientemente forti da formare un governo provvisorio e l’amministrazione britannica in India dovette mandare ingenti forze, per riprendere il controllo dei centri abitati e poi, più lentamente e col decisivo supporto dell’aviazione, delle aree tribali perdendo duemila uomini di cui quattrocentocinquanta morti. Nel Febbraio 1921 la rivolta mesopotamica era stata soffocata mentre quella nel Kurdistan sarebbe continuata sino al 1924. Arnold Wilson si sforzò di affermare che la responsabilità della rivolta era di agenti provocatori bolscevichi, di uomini di Feisal e di Mustafà Kemal e che in Mesopotamia non c’era alcun nazionalismo arabo, ma anzi vi era un ampio apprezzamento dell’amministrazione inglese. Secondo lui le tribù si erano ribellate per puro spirito anarchico; il loro odio non era nei confronti degli inglesi, ma di tutto ciò che assomigliava a un’amministrazione statale di qualche titolo. A Londra ci si voleva credere a questi rapporti, ma sarebbe stato più facile se gli eventi Mesopotamici fossero stato un caso isolato e non l’ultimo di una serie. Qualcuno iniziò a pensare che la risposta a tutto ciò era una sola estremamente semplice: gli arabi non volevano gli europei a casa loro.
Con la fine della rivolta Mesopotamica si conclude la storia di quella che ho chiamato la primavera araba del 1919-1920, ciò che venne dopo fu la fase dell’assestamento in cui un ruolo di primo piano lo svolse Winston Churchill nominato Ministro delle Colonie il 1 Gennaio 1921. Churchill, a cui era stato mandato di risolvere il groviglio Medi Orientale riducendo i costi astronomici delle occupazioni, tentò di coniugare gli interessi inglesi appoggiandosi nuovamente alla casata hascemita come intermediaria presso gli arabi. Fu lui a tenere a battesimo l’Iraq, questa strana creatura ibrida storicamente ed etnicamente mostruosa, mettendovi a capo Feisal e a decidere per il distacco della Trasgiordania dalla Palestina consegnandola al fratello di Abdullah oltre a gettare le basi per i confini moderni tra Arabia Saudita, accettando qui la vittoria di Ibn Saud, Kuwait, elevato a emirato semi-autonomo, e Iraq. Per la Palestina non poté far altro che constatare che il guazzabuglio arabo-sionista impediva la creazione di un’entità statale autonoma e così lasciò il paese sotto l’amministrazione diretta inglese benedicendo in questo modo il dualismo di un’amministrazione civile che, su ordine di Londra, incoraggiava gli arabi a venire a patti col sionismo e un’amministrazione militare che invece spingeva gli arabi alla resistenza senza quartiere. Risultato? Il 21 Marzo 1921, grazie a un intrigo ad opera di funzionari inglesi antisionisti, venne nominato Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini uno degli ispiratori della rivolta anti-ebraica del 1920 che inaugurò una linea di opposizione totale al sionismo sino a teorizzare, durante una seconda guerra mondiale, un’alleanza con la Germania nazista le cui colonne dell’Afrika Korpse sembravano sul punto di ributtare a mare gli inglesi. I confini decisi a tavolino da Churchill e dai francesi per un velleitario impero coloniale in Medio Oriente che durò poco più di vent’anni furono consegnati alla modernità. Fondati non sulla storia, ma sull’interesse della potenza europea coinvolta, dopo la grande ubriacatura della decolonizzazione iniziarono a mostrare tutti i loro difetti: un Iraq senza identità che oggi, tolta la mano di ferro che lo teneva unito, si va sfaldando in una galassia di piccoli mondi, un Libano storicamente cristiano, ma artificialmente ingrandito con aree islamiche per questo in costante guerra civile e infine un Israele/Palestina che, dopo il vigliacco ritiro inglese, scontò il risultato di vent’anni di non decidere britannico e di crescente ostilità tra le due comunità. Se già questa eredità non fosse gravissima se ne deve aggiungere un altra intangibile, ma ancora più pesante: l’idea del tradimento. Gli Arabi tra il 1919 e il 1920 si sentirono traditi da chi prima gli aveva promesso l’indipendenza e dopo aveva tentato di mettere radici per trasformare il Medio Oriente in una nuova Africa o in un’Asia Orientale. Gli europei così non vennero visti come dei liberatori, ma come degli infidi occupanti da mandare via il più presto possibile e ancora oggi così l’occidente viene visto in Medio Oriente come un’entità che, dietro la maschera del voler diffondere libertà e democrazia, vuole solo imporre regimi politici a lui convenienti e trattare gli arabi come vacche da mungere. Io credo che ciò che difetti nel rapporto tra arabi e occidente, prima della religione, è la fiducia; loro non si fidano di noi! Sono popoli con la memoria lunga che ancora guardano alle decisione prese alla fine della Grande Guerra vedendole come l’origine di tutti i loro mali attuali; cinquant’anni di guerra fredda e un decennio di guerra al terrorismo hanno poi fatto il resto creando un’alchimia fatale da apprendista stregone che adesso sta rischiando di bruciare tutto.