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Le origini della Grande Guerra – Parte II: il Regno Unito dallo splendido isolamento all’Entente Cordiale

Il 20 Giugno 1887 da Londra si levò un grido che ribalzò dal Canada, all’Egitto, all’India sino in Australia “Dio salvi la regina!”. Era il giubileo d’oro della Regina Vittoria, cinquant’anni di regno durante i quali l’Impero Britanni si era esteso su tutte le terre emerse del mondo. Si trattò degli anni passati alla storia come lo splendido isolamento il cui senso però è a volte stato frainteso; per isolamento non si intendeva infatti una chiusura in sé stessi in funzione di un completo disinteresse per gli eventi europei bensì la scelta di astenersi dallo stringere qualsiasi alleanza in modo da rendere il Regno Unito l’ago della bilancia dei conflitti continentali così da favorire il mantenimento di un equilibrio tra le varie potenze. Questo sistema iniziò però a scricchiolare con la nascita nel 1871 del Reich tedesco evento che, come dichiarò Disraeli in un discorso alla camera, aveva una portata storia e alterava irrimediabilmente gli equilibri europei in primis la messa in soffitta di quel trattato di Parigi che, alla fine della guerra di Crimea, era stato lo strumento per il contenimento dell’espansione russa verso il Mediterraneo. L’unificazione tedesca produsse infatti come risultato il porre tre potenze europee, Francia, Russia e la stessa Germania in rotta di collisione con gli interessi inglesi. Iniziamo dal rapporto con la Russia sicuramente il più complicato e carico di tensione, qui i campi di battaglia erano due: l’Impero Ottomano e l’Asia centrale. Come ho già raccontato nel mio precedente articolo dedicato ai Balcani Costantinopoli rappresentava il grande sogno della Russia sia per ragioni di carattere storico-religioso sia perché la città sul Bosforo era la porta d’accesso al Mar Mediterraneo; se per i russi la possibilità di poter spostare liberamente la propria flotta dal mar Nero al Mediterraneo era un sogno per gli inglesi questo era un incubo perché avrebbe comportato un enorme aumento del potere d’ingerenza russo nel Medio Oriente che altro non era che una delle due porte all’India. L’India era il gioiello dell’Impero, ma era anche la sua principale ragione d’apprensione; dagli inizi dell’ottocento gli inglesi vissero nel terrore che la Russia, avanzando dalla Siberia nell’Asia centrale, potessero prima o poi giungere a bussare alla porte del subcontinente. Non era un timore assolutamente infondato perché effettivamente i russi portarono avanti una politica fortemente espansionista volta a sottomettere i Khanati centroasiatici e a farsi amica la Persia e, sebbene oggi un’invasione russa dell’India pare ai più un’impresa che se fosse stata tentata sarebbe risultata un disastro, piani precisi in questo senso vennero fatti a San Pietroburgo. Questa guerra fredda anglo-russa in Asia sarebbe passata alla storia con il nome di “grande gioco” inteso con le schermaglie diplomatiche, le guerre parallele (come le tre invasioni inglesi dell’Afghanistan) e l’invio di missioni lungo i passi montani dell’Himalaya e le distese della steppa per mappare ogni singolo accesso che potesse essere usato da un esercito per un’invasione. Se il grande gioco fu la prassi dei rapporti tra Gran Bretagna e Russia nell’ottocento, con la Francia le tensioni nacquero in ragione delle ambizioni che questa nutriva in Africa. La Terza Repubblica vedeva nel continente nero ilbritishempire luogo dove ricostruire il proprio orgoglio nazionale colpito duramente dal disastro di Sedan; quello francese fu uno dei primi imperialismi e non poteva non scontrarsi con quello britannico visto che entrambi avevano come loro obiettivo finale l’Egitto e il controllo del Canale di Suez. La terra dei faraoni ufficialmente era parte dell’Impero Ottomano, ma nel 1882 era stata occupata e resa successivamente un protettorato dagli inglesi allo scopo di proteggere il Canale di Suez di cui il governo di sua maestà controllava il 44% delle quote; l’occupazione dell’Egitto, come risposta alla rivolta  nazionalista di Arabi pascià, nei piani di Gladstone non doveva essere né permanente né un’azione esclusivamente inglesi bensì condotta in accordo con la Francia l’altro grande azionista del canale. I francesi però, coinvolti in una delle loro tante crisi di governo, lasciarono il campo ai soli inglesi che col tempo, giustificandosi con le enormi spese sostenute, misero radici sul Nilo; Parigi si rese ben presto conto dell’errore fatto e tentò in tutti i modi di costringere il vicino d’oltre Mancia a riaprire la questione egiziana ricevendo però sempre risposte negative. Per nulla intenzionata ad accettare il fatto compiuto, nonostante la firma della convenzione di Costantinopoli che rendeva il canale neutrale sotto protettorato britannico, la Francia decise che se non si poteva smuovere Londra con le parole lo si sarebbe fatto con uno sfoggio di forza e così, partendo dalle proprie basi in Guinea, iniziò a inviare spedizioni militari verso ovest puntando all’Alto Nilo e al Sudan. Questa politica avrebbe portato alla creazione del gigantesco impero francese nell’Africa nord-occidentale, ma anche a un passo dalla guerra aperta tra Francia e Regno Unito in meno di vent’anni.

Messe così le cose all’apparenza i motivi di dissidio con la Germania parrebbero quelli meno gravi. Il Reich era in primo luogo un avversario economico in ragione della sua enorme produzione industriale che, inevitabilmente, andava a fare concorrenza a quella inglese fino ad allora dominante; inoltre la sua forza militare lo poneva nella giusta posizione per ambire a un ruolo di potenza egemone a livello continentale. Si trattava però di cose che, attraverso la diplomazia, potevano essere accomodate se a ostacolare il dialogo non vi fosse stato l’atteggiamento tedesco che pareva ai più un riflesso diretto dell’atteggiamento del giovane Kaiser Guglielmo II. Di questo personaggio sempre in bilico tra il genio e l’eccentricità parleremo più approfonditamente nell’articolo dedicato espressamente all’Impero Tedesco, ma va detto sin da ora che questi nutrì per tutta la vita un rapporto di amore e odio per l’Inghilterra, paese da cui proveniva sua madre figlia primogenita della regina Vittoria. Da un lato il Kaiser ammirava l’aristocrazia inglese e la scimmiottava platealmente dedicandosi alla caccia alla volpe e partecipando alle regate della settimana di Cowes sfidando lo zio futuro re Edoardo VII, ma d’altra parte Guglielmo sembrava soffrire di un complesso dell’ultimo arrivato che si trasmetteva all’intero Reich. Pareva infatti che la Germania sgomitasse per affermare il suo posto nello scenario mondiale, ma lo faceva a volte attraverso quella diplomazia personale dello stesso Kaiser grossolana e imprudente. Desideroso di mettere costantemente sé e il suo paese in mostra Guglielmo tentava di intervenire in ogni questione che si apriva nel mondo, a volte però senza neanche consultare preventivamente il suo governo che poi doveva correre a tentare di rimettere insieme i cocci salvando però allo stesso tempo il prestigio del monarca. Le uscite di Guglielmo spesso però parevano all’esterno delle provocazioni emblema di quell’aggressività militaristica prussiana che portavano la liberale e moderata opinione pubblica inglese a domandarsi quanto ancora fosse saggio restare in una posizione di neutralità quando in giro per l’Europa c’era questo bambinone indisciplinato. Va chiarito l’abbandono dello splendido isolamento non fu una svolta improvvisa, ma una lenta presa di coscienza del cambiamento del mondo occidentale alla vigilia dell’inizio del nuovo secolo. Francia, Russia e Germania era solo le principali rivali che sembravano contendere il primato mondiale inglese, ma poi c’erano anche i giovani Stati Uniti che, superato il tornante della guerra civile, adesso stavano iniziando a esprimere tutte le loro potenzialità mentre in Oriente stava rapidamente emergendo il Giappone. Il paese poi stava vivendo anche una travagliata fase interna a causa dell’acutizzarsi della questione irlandese; il nazionalismo nell’isola di smeraldo si stava diffondendo a macchia d’olio nelle contee cattoliche e da più parti ci si convinceva che proseguire sulla linea di un controllo diretto dell’isola da Londra non potesse far altro che esasperare gli animi fino al punto di rottura. Per questo motivo i liberali proposero di concedere all’Irlanda l’Home Rule cioè l’autogoverno, ma questa proposta trovò la netta ostilità dell’Ulster protestante che temeva di finire schiacciato dalla preponderanza dell’elemento cattolico; alla camera i conservatori si opposero duramente a questa possibilità e lo stesso partito liberale si spaccò determinando la nascita dei così detti liberali-unionisti guidati da Joseph Chamberlain che sarebbe poi divenuto l’anima dell’imperialismo britannico. Alcuni storici come Margaret MacMillan hanno dato grande rilevanza alla questione della Home Rule irlandese parlando di un vero e proprio rischio di guerra civile in Gran Bretagna a causa delle tensione venutesi a creare su questa materia; personalmente ho trovato questa tesi un po’ eccessiva, ma va comunque tenuto presente che il problema irlandese fu una questione che fino al 1914 attirerà su di sé molte attenzioni e potrebbe aver, in un primo momento, determinato una sottovalutazione della crisi di Luglio dopo Sarajevo.

La stipula dell’alleanza franco-russa tra il 1892 e il 1893 mise il Regno Unito di fronte a un’Europa che si andava sempre più polarizzando tra due grandi schieramenti, una situazione questa che riduceva di molto lo spazio di manovra di una potenza neutrale. La Gran Bretagna poteva ancora svolgere un ruolo di primo piano, ma senza più avere le mani libere come prima perché la scelta di propendere verso uno dei due schieramenti sarebbe stata più difficilmente modificabile tanto bel breve quanto nel lungo periodo. La prima avvisaglia di quanto potenzialmente pericoloso potesse essere l’insistere sulla linea isolazionista lo si ebbe con il così detto telegramma Kruger. Non è questa la sede opportuna per riferire di come si sarebbe giunti alla seconda guerra boera in sud-africa, basti sapere che, da quando nel Transvaal erano stati scoperti giacimenti d’oro e diamanti, l’interesse inglese per un’annessione delle due repubbliche boere si era risvegliato; il miliardario Cecil Rhodes, alla fine dell’ottocento governatore della colonia del Capo, si fece fervido assertore di questa linea come parte del suo progetto “Capo-Cairo” cioè la creazione di un’ininterrotta serie di domini coloniali inglesi in Africa che collegasse direttamente la Colonia del Capo all’Egitto. Rhodes appoggiò l’organizzazione di un colpo di stato all’interno del Transvaal, il così detto Jameson raid, che avrebbe dovuto fare da volano per  un intervento inglese , ma il raid, mal organizzato e diretto, fallì miseramente. In Germania, che aveva da investito molto nel Transvaal e sognava una ferrovia che collegasse questo alla sua colonia dell’Africa Sud-Occidentale, la notizia del raid fu presa piuttosto male e lo stesso Kaiser pare ebbe una crisi isterica in cui vagheggiò di guerra e protettorati sul Transvaal; infine però ci si limitò ad inviare nel Gennaio 1896 una telegramma di congratulazioni al presidente boero Kruger per essere riuscito a respingere il raid “senza fare appello all’aiuto di potenze amiche”. L’inciso era velenoso perché a quale potenza il Kaiser si riferisse era lapalissiano ed implicava che la Germania era pronta a difendere l’indipendenza del Transvaal contro la Gran Bretagna; si trattava di una smargiassata perché nei fatti inviare truppe tedesche in sud-africa sarebbe stato difficilissimo, ma nonostante ciò la reazione inglese fu molto violenta. Se l’opinione pubblica manifestò tutta la sua ostilità per l’atteggiamento tedesco di sfida, il Daily Telegraph definì il telegramma “una grave offesa” mentre il Saturday Review scrisse che “la Germania e i suoi alleati dovrebbero occuparsi dei loro affari”, gli ambienti politici si resero conto che in caso di guerra contro uno delle due coalizioni contrapposte il paese si sarebbe trovato a combattere da solo senza la garanzia di un intervento immediato e gratuito a suo favore dell’alta alleanza. Il colpo però decisivo venne quando nel 1898 Germania e Russia si accordarono per occupare a testa un porto sulla costa cinese; gli inglesi avevano enormi interessi in oriente, e in special modo in Cina, e avrebbero voluto impedire che la messa in discussione dell’integrità cinese aprisse ulteriormente le porte a un’espansione russa in Oriente, ma ancora una volta l’isolamento diplomatico mise Londra nell’angolo. Di fronte alla concordia tra Berlino e San Pietroburgo l’alternativa era tra la guerra o il tentare di salvare il salvabile e così ci si risolse a mercanteggiare il riconoscimento delle occupazioni in cambio del diritto di fare lo stesso. Si trattava di un accordo molto al ribasso, anche perché la Francia ne approfittò per inserirsi anche lei nella divisione della torta orientale, e fu avvertito come uno smacco in tutto il Regno Unito; stavolta si era riusciti a pareggiare, ma cosa sarebbe successo se la Russia avesse proseguito ulteriormente la sua politica aggressiva in Oriente visto che non si avevano alleati da opporle? Urgeva dunque portare il Regno Unito rapidamente fuori dal suo isolamento. Ma in che direzione guardare? Paradossalmente il governo conservatore del marchese di Salisbury, uomo non entusiasta all’idea di abbandonare l’isolazionismo, guardò proprio alla Germania, ma ciò in realtà non deve sorprendere perché,  nonostante le controversie legate al telegramma Kruger e alla Cina, i motivi di attrito con il Reich restava a prima vista molto più facilmente risolvibili rispetto a quelli con la Francia o, ancor peggio, con la Russia. Sicuramente le cose sarebbero andate molto diversamente se Londra avesse saputo che nel Giugno 1897 l’arrivo alla guida del ministero della marina tedesco era giunto l’ammiraglio Tirpitz aveva portato alla messa in cantiere di quel grandioso programma navale che avrebbe dovuto rendere la flotta tedesca competitiva rispetto a quella inglese. Fatto sta che le intenzioni tedesche erano ancora sconosciute nel 1898 quando Joseph Chamberlain, all’epoca ministro delle colonie, tentò un abboccamento con il governo tedesco per giungere a un accordo di alleanza tra i due paesi. La proposta di Chamberlain era a metà strada tra un atto ufficiale e una discussione privata con l’ambasciatore tedesco Hatzfeldt e si fondava sulla proposta di un accordo con la Germania in base alla quale il Reich avrebbe appoggiato gli inglesi nella politica di contenimento della Russia ad Oriente e in cambio l’Inghilterra avrebbe siglato un accordo militare che, di fatto, l’avrebbe portata all’interno della Triplice. Il Kaiser aveva più volte sognato di portare gli inglesi nell’Alleanza, per poi cambiare idea a causa di una momentanea esplosione d’anglofobia, ma adesso sul piatto c’era una proposta seria che Chamberlain garantiva anche di poter far approvare dal parlamento dandogli quindi ufficialità. Tanto il Kaiser quanto il cancelliere Bulow si mostrarono estremamentecham-gugl esitanti, anche per la netta opposizione di Friedrich Von Holstein eminenza grigia del ministero degli esteri, in ragione di due motivi: in primo luogo all’epoca la Germania non aveva ancora perso le speranze di poter giungere a un accordo con la Russia giudicando che l’intesa tra il regime autocratico degli Zar e quello repubblicano francese non potesse andare lontano; inoltre la Germania aveva nella Triplice il ruolo di azionista di maggioranza e non sembrava che il Regno Unito intendesse entrarvici con il ruolo di socio di minoranza. A Berlino non parve prudente stringere un accordo che avrebbe gettato a mare le possibilità di una ricucitura con la Russia perdendo allo stesso tempo la Golden share sulla propria alleanza per cui si decise di far cadere la proposta, ma non definitivamente solo fino a quando Londra, come disse Bulow, “non fosse arrivata a capire di non poter contare sull’appoggio di Francia o Russia” e quindi avrebbe accettato condizioni molto più favorevoli per Berlino. Il governo tedesco mostrò in questa occasione un’enorme mancanza di fantasia in quando diede per scontato che fosse impossibile che la Gran Bretagna potesse giungere a una composizione delle proprie controversie con i francesi e i russi; a sua discolpa va detto che l’evolvere delle cose nell’immediato seguito parve dargli ragione perché Londra tentò senza successo di intendersi coi Russi, provocando una nuova ondata d’odio anti britannico nel Kaiser che si sentì ingannato, mentre con la Francia si giunse a un passo dalla guerra.

Eravamo rimasti ai francesi che, dalla costa della Guinea, inviavano missioni verso l’interno direzione Nilo. Nel Gennaio 1897 150 soldati indigeni al comando del maggiore Jean-Baptiste Marchand partì da Brazzavilla con l’obiettivo di risalire il corso del fiume Congo, toccare il Nilo inferiore e infine giungere a Gibuti sul Mar Rosso. La spedizione, che sarebbe entrata nella leggenda del colonialismo francese, dopo un avventuroso viaggio di 14 mesi giunse il 12 Luglio 1898 sul Nilo dove issò il tricolore sulla mudirieh di Fascioda una piccola città sudanese sulle rive del fiume. Per Marchand la situazione però non era facile perché non aveva modo di contattare Parigi, i locali non era per nulla felici della sua presenza e da nord stavano arrivando gli inglesi. E’ necessario adesso un breve excursus storico sulla vicenda sudanese per inquadrare i fatti: il Sudan era una provincia dell’Egitto, ma nel 1881 vi era esplosa la rivolta mahdista guidata dal carismatico Muhammad Ahmad che si proclamò Mahdi, una specie di messia islamico, e conquistò Khartum, difesa del generale inglese Gordon, nel Gennaio 1885. Nel 1896 il governo inglese, allo scopo di impedire ai francesi di giungere sul Nilo, decise di invadere il Sudan in ragione del suo ruolo di protettore dell’Egitto che era il legittimo proprietario di quella provincia; il 2 Settembre 1898 il generale Horatio Kitchener sconfisse l’esercito mahdista a Omdurman, grazie al determinante apporto delle mitragliatrici, e sedici giorni dopo giunse a Fasciodafascioda dove ingiunse a Marchand di ammainare il tricolore. Il maggiore francese si rifiutò di farlo senza un ordine in tal senso direttamente da Parigi e così la questione giunse sul tavolo della cancellerie rischiando di accendere la miccia di una guerra. Nel governo inglese prevalse infatti la linea oltranzista di Chamberlain in base alla quale non andavano fatte concessioni alla Francia che avrebbe dovuto semplicemente ritirarsi anche per restaurare il prestigio inglese dopo lo smacco cinese; a Parigi il nuovo governo con ministro degli esteri Theophile Delcassé a parole era anch’esso granitico, ma nei fatti doveva fare i conti con una realtà che suggeriva di evitare a tutti i costi una guerra. Il paese era infatti nel pieno dell’affaire Dreyfus, la marina inglese avrebbe potuto annientare quella francese senza troppe difficoltà e l’alleato russo dava chiari segnali che non sarebbe sceso in campo. Il 4 Novembre Delcassé comunicò al governo inglese di aver dato ordine a Marchand di ritirarsi da Fascioda. Si trattò sicuramente di una vittoria diplomatica per il Regno Unito, ma su cui dobbiamo un attimo illuminare alcuni aspetti di sfondo che avranno conseguenze decisive. In primo luogo la decisione di Delcassé di autorizzare il ritiro non fu dovuta esclusivamente alla volontà di evitare il conflitto, ma fu anche il primo atto di una linea politica ben precisa del nuovo ministro degli esteri che puntava a giungere a un accordo con la Gran Bretagna in funzione anti-tedesca e se per far ciò la Francia doveva rinunciare definitivamente all’Egitto era un prezzo accettabile. Inoltre sebbene a Londra si avesse la convinzione di poter contare, in caso di guerra, sull’appoggio implicito o esplicito della Triplice questo non era da dare per scontato; il Kaiser infatti, se a volte parlava con entusiasmo di un accordo con gli inglesi, altre volte sognava un grande blocco continentale anti-britannico di cui avrebbero dovuto far parte anche i francesi. L’idea, sebbene estrema dato lo scoglio dell’Alsazia-Lorena, non doveva essere completamente sottovalutata perché in Francia, nei giorni della crisi di Fascioda, vari uomini politici avevano affermato che a conti fatti la Germania era la nemica degli ultimi vent’anni mentre l’Inghilterra era la nemica di tutta la storia francese. Insomma gira che ti rigira per il Regno Unito restava il problema che senza un’alleanza stabile ogni suo confronto con altre potenze poteva trasformarsi in una roulette russa dagli esiti imprevedibili; si magari alla fine la Triplice sarebbe scesa in campo contro la Francia, ma lo avrebbe fatto gratuitamente o avrebbe chiesto un qualche conquibus e la Russia come avrebbe approfittato in Oriente della momentanea mancanza d’attenzione inglese? Per tutti questi motivi Chamberlain tornò a chiedere un accordo in tempi brevi con la Germania, ma intanto Delcassé aveva iniziato a mettere in atto la sua politica inviando a Londra come ambasciatore il brillante Pierre-Paul Cambon, maggiore di tre fratelli tutti prestati alla diplomazia, che avviò subito negoziati col marchese di Salisbury per giungere a un accomodamento delle questioni coloniali tra i due paesi. Questi incontri portarono alla dichiarazione del 21 Marzo 1899 con la quale Francia e Regno Unito tracciavano le reciproche sfere d’influenza in Africa escludendo Parigi dal bacino del Nilo; non era ancora l’entente però un grosso ostacolo a un avvicinamento dei due lati della Manica era stato rimosso. Chamberlain però era ancora convinto che l’alleanza più naturale per il suo paese fosse quella tedesca e nel 1899, approfittando di una visita di Guglielmo II alla regina Vittoria, si intrattenne con Bulow ottenendo da questo l’impegno a lavorare in tal senso se il ministro delle colonie avesse fatto in modo che sembrasse che fosse il Regno Unito a fare la prima mossa. Gli inglesi avevano appena aperto le ostilità con le due repubbliche boere in sud-africa in una guerra che, ben presto, avrebbe reso evidente anche ai ciechi il livello di isolamento diplomatico internazionale raggiunto dalla Gran Bretagna. Il 30 Novembre Chamberlain tenne a Leicester un celebre discorso nel quale auspicò una nuova Triplice Alleanza tra le due brache della razza anglosassone (Inghilterra e America) e la razza teutonica che si ergesse a custode della pace nel mondo. Il discorso non ebbe buona stampa né presso gli inglesi, che ancora ricordavano il telegramma Kruger, né in Germania dove il ministro della marina Tipitz fece in modo che i giornali si scagliassero violentemente contro l’ipotesi di un accordo anglo-tedesco. Le ragioni della scelta di Tirpitz sono facilmente comprensibili: se si fosse giunti ad un alleanza tra Gran Bretagna e Germania questa non sarebbe potuta nascere se non sacrificando il grande programma navale tedesco in quanto mai gli inglesi avrebbero accettato che qualcuno, anche un alleato, avesse una flotta che potesse competere con la sua. Messo alle strette dal fuoco incrociato di Tirpitz e della stampa Bulow, che pure aveva incoraggiato Chamberlain ad agire, fece rapidamente dietro front e in un discorso al Reichstag raccomandò l’approvazione della seconda legge navale che avrebbe dovuto aggiungere in sedici anni trentaquattro nuove navi alla flotta tedesca. Conviene un attimo fermarci per introdurre il tema del perché il programma navale tedesco fosse un’aperta sfida al Regno Unito e un irremovibile inciampo a un’intesa tra i due paese. Per uno stato insulare come il Regno Unito a capo di un gigantesco impero sparso ai quattro angoli del globo la flotta era la vita non solo perché permetteva di mantenere i contatti con questi domini, ma anche perché era l’unica cosa che poteva impedire a un esercito nemico di sbarcare sulle isole britanniche. Wellington sconfisse Napoleone a Waterloo, ma poté farlo solo perché Nelson a Trafalgar impedì all’Imperatore di portare la Grande Armata oltre Manica. Consci di questa verità da secoli gli inglesi avevano stabilito una politica navale, messa nero su bianco nel 1889 con il  Naval Defence Act, in base alla quale la flotta inglese dovesse essere sempre di dimensioni pari alla somma della seconda e terza flotta del mondo. Gli storici non sono concordi sulla realtà dell’ossessione britannica verso il programma navale tedesco e se alcuni, come Luigi Albertini, lo ritengono la chiave di volta dell’impossibilità di un’intesa tra i due paesi altri, come Christopher Clark, hanno affermato che in realtà questa preoccupazione era più nella stampa e nell’opinione pubblica che nel governo e nell’Ammiragliato. A osservare i freddi dati numerici non si può che dare ragione ai secondi perché Tirpitz sognava un rapporto di 1 a 1,5 tra la flotta tedesca e quella inglese, ma non ci andò mai neanche vicino; molti all’interno dell’Ammiragliato affermavano che la tanto decantata flotta del Kaiser fosse una tigre di carta che la Royal Nevy avrebbe potuto facilmente copenaghizzare al primo accenno di guerra o più semplicemente bloccarla nei suoi porti con un gigantesco blocco nel Mare del Nord. Nel suo “I sonnambuli” Christopher Clark afferma esplicitamente che il programma navale tedesco non ebbe mai per il governo inglese quell’effetto ipnotico che si è voluto darle in quanto la strategia navale britannica non aveva come unico obiettivo la sola superiorità rispetto alla Germania, ma rispetto a tutte le grandi potenze navali dell’epoca come anche la Francia, la Russia e soprattutto gli emergenti Stati Uniti. L’analisi, a mio parere, è impeccabile, ma non tiene conto dell’effetto psicologico che aveva sugli inglesi un’azione che aveva tanto il tono di una sfida aperta; la flotta di Tirpitz era infatti creata allo scopo preciso di essere in funzione anti-britannica e non si faceva nulla per nascondere questo fatto. Una condotta del genere non poteva che essere interpretata come una sfida aperta al Regno Unito in un settore di suo interesse vitale.

Chamberlain rimase molto contrariato dal voltafaccia di Bulow e per la prima volta parlò esplicitamente di un’interruzione dei negoziati con la Germania in favore della ricerca di altri alleati. Va detto che anche in Germania non avevano le idee chiare perché il Kaiser, in un ennesimo giro di valzer, dopo aver a sua volta spinto per il discorso di Leicester adesso parlando con l’ambasciatore russo affermava che se i cosacchi avesse marciato sull’India lui avrebbe agito per garantire che in Europa nessuno sarebbe andato a dare una mano agli inglesi. Bulow però agiva per mantenere i contatti aperti con Londra convinto ancora della sua linea che il Regno Unito, non avendo alternative alla Germania, prima o poi avrebbe accettato di unirsi alla Triplice alle condizione tedesche. A esito di questa politica altalenate il cancelliere da un lato dava una mano agli inglesi facendo fallire il piano dello zar per mettere fine alla guerra boera, ma allo stesso tempo nel 1900 faceva buona guardia al Kaiser perché questi, recatosi a far visita alla nonna morente, non avesse una delle sue estemporanee iniziative prendendo impegni al momento non convenienti. C’era la certezza a Berlino che l’ipotesi di un’intesa tra Regno Unito e l’alleanza franco-russa fosse null’altro che uno spauracchio usato per trarli in inganno. Il 22 Gennaio 1901 moriva la Regina Vittoria e saliva al trono Edoardo VII che, notoriamente, aveva una profonda antipatia per il nipote Kaiser di Germania; si è molto speculato sul ruolo che ebbe il nuovo monarca nell’orientare la politica estera inglese in funzione anti-tedesca e lo stesso Guglielmo II maturò un’autentica ossessione per lo zio convincendosi che questi stava lavorando per strangolare la Germania con un anello di ferro di nemici. In realtà già dopo la guerra Luigi Albertini ha dimostrato come questa tesi non trovi alcun supporto storico concreto perché durante i primi anni del nuovo regno continuarono le trattative tra gli inglesi, nella persona di Lord Lansdowne, e i tedeschi. Sembrava però di muoversi in un mare di melasse dove ogni passo in avanti era compiuto a costo di innumerevoli sforzi; il governo inglese si diceva disponibile a un’alleanza difensiva che però: non comprendesse Austria e Italia, per non restare coinvolti nel groviglio balcanico, e che  fosse segreta e quindi non sanzionata dal parlamento. I tedeschi ancora una volta rispedirono l’offerta al mittente affermando che l’unico accordo accettabile sarebbe stato un’adesione inglese alla Triplice alla luce del sole. Lord Salisbury, che di fatto era ancora un isolazionista, colse al balzo l’occasione offertagli dall’ennesimo rifiuto di Bulow per stendere un memorandum, detto del 29 Maggio 1901, in cui metteva una pietra tombale sul sogno di Chamberlain di un’alleanza anglo-tedesca affermando che era in primo luogo l’opinione pubblica inglese a non volere quest’accordo e che quindi “non vedo come potremmo invitare le altre nazioni a fare affidamento sul nostro aiuto,…, quando non abbiamo modo di sapere l’umore del nostro popolo in circostanze che non possiamo prevedere.”. Ripercorrendo l’intera trafila delle trattative anglo-tedesche uno storico inglese, Gooch, affermò che se da un lato non si può far colpa a Bulow di aver rifiutato un’alleanza che non gli venne mai offerta, allo stesso tempo “chi può affermare che i dirigenti tedeschi abbiano tratto il miglior partito dai sentimenti di Chamberlain e Lansdowne?”. Gooch sintetizza magistralmente l’errore madornale compiuto dai tedeschi nel non aver approfittato del momento in cui gli inglesi parevano seriamente disposti a giungere a un’alleanza con il Reich. Lo ripeto ancora una volta la convinzione che per il Regno Unito l’unica trattativa possibile fosse quella con al Germania spinse il governo tedesco a continuare a tirare la corda per ottenere l’accordo più vantaggioso possibile non capendo che, una volta superata con la crisi di Fascioda la questione coloniale, un’intesa con tra Londra e Parigi non era più da mettere tra i periodi ipotetici del terzo tipo. Per Chamberlain non era tanto importante il testo scritto, in quanto Londra non era ancora pronta ad un’alleanza formale, quando la volontà di legarsi che in lui c’era, a condizione che fosse su un piano di parità, mentre per i tedeschi tutto doveva passare per il paragrafo, come lo chiamò lo storico tedesco Brandenburg, che legasse il Regno Unito a ogni evenienza. Ciò che i tedeschi non capirono fu che seppure non fosse stata subito Triplice già il semplice propendere per uno schieramento avrebbe determinato col tempo, in ragione della sempre maggior polarizzazione del vecchio continente, uno slittamento del Regno Unito nel campo dei futuri Imperi Centrali; era una scommessa che i tedeschi non si sentirono di rischiare preferendo avere tutto e subito. Quando anche Chamberlain nell’ottobre 1901 parlò in maniera dura dell’atteggiamento tenuto dai tedeschi nei confronti della Gran Bretagna la rottura definitiva delle trattative divenne solo questione di tempo e si formalizzo l’8 Gennaio 1902 quando Lansdowne disse al nuovo ambasciatore tedesco Metternich che della Triplice non c’era neanche da discutere, ma al massimo si sarebbero potute raggiungere singole intese su varie questioni di interesse internazionale. Metternich, esprimendo la linea del suo governo, ribatté che o Triplice o niente e così le possibilità di un accordo vennero sepolte per sempre; a Berlino però non ci fu grande preoccupazione perché si era convinti che fosse solo questione di tempo prima che gli inglesi tornassero con il cappello in mano. Invece Londra non attese neanche un secondo per volgere il suo sguardo all’altrove al fine di uscire dal suo isolamento.

Primo obiettivo era l’Estremo Oriente dove la Russia, dopo l’acquisizione di Port Arthur, continuava a premere su Cina e Corea per allargare la sua area d’influenza. Questo attivismo russo non preoccupava solo il Regno Unito, ma anche il Giappone neo protagonista della scena mondiale che vedeva nella Corea e nella Manciuria cinese la sua principale direttrice di espansione verso l’esterno. Già nel Luglio 1902 il governo inglese contattò l’ambasciatore del Giappone a Londra per discutere della possibilità di un’alleanza che venne siglata il 30 Gennaio 1903. Le linea di quest’accordo era il reciproco riconoscimento da parte delle due potenze delle rispettive aree d’interesse in Oriente e dell’impegno, nel caso una delle due fosse stata costretta a scendere in guerra per difendere tali interessi, ad osservare una benevola neutralità intervenendo presso le altre potenze per impedirne l’intervento. Se poi una seconda potenza fosse a sua volta scesa in campo l’altro contraente rimasto neutrale sarebbe a sua volta intervenuto nel conflitto. Quest’accordo, che mandava in soffitta per sempre lo splendido isolamento, aveva un’importanza fondamentale perché diede al Giappone la tranquillità internazionale sufficiente a lasciar cadere gli ultimi dubbi interni al paese del Sol levante per una soluzione bellica ai contrasti con la Russia.

Circa nello stesso momento in cui venivano avviati i dialoghi coi giapponesi iniziarono anche i primi abboccamenti con i francesi. Abbiamo una testimonianza precisa di questi primi contatti in una relazione inviata a Holstein dal suo inviato speciale a Londra barone Eckhardstein; questi riferì che, durante una cena ufficiale a Marlborough House, aveva visto l’ambasciatore francese Cambon appartarsi nella sala da biliardo con Chamberlain, che fino a quel momento era stato il più anti-francese del governo britannico, intrattenendosi per ventotto minuti in un’animata conversazione di cui le uniche parole che era riuscito a cogliere furono “Egitto” e “Marocco”. Poco dopo l’ambasciatore fu invitato dal re nel suo studio dove lo informò della volontà del Regno Unito di giungere a un accomodamento con la Francia su tutte le questione che dividevano i due paesi. Il ruolo avuto da Edoardo VII nella nascita dell’Entente fu vitale, ma non tanto per la messa in campo di una sua diplomazia privata come quella del Kaiser quanto per alleggerire con il suo modo d’agire genuino la cortina di reciproca diffidenza che vi era tra le opinioni pubbliche di entrambi i paesi. Edoardo, come già detto, amava poco la Germania e il nipote Kaiser soprattutto per il trattamento che aveva ricevuto sua sorella Vittoria, madre di Guglielmo II, dagli ambienti prussiani dopo la morte del marito imperatore Federico III. Al contrario era sin da bambino un grande ammiratore della Francia al punto che, stando a Barbara Tuchman, avrebbe detto a Napoleone III “Mi piace il vostro paese; sarei contento di essere vostro figlio.”. Come ho già spiegato Edoardo non intervenne mai per orientare esplicitamente le scelte del suo governo, ma quando apparve chiaro che questi intendeva, dopo il naufragio delle trattative con la Germania, provare a vedere se c’era spazio di dialogo con Parigi si mise al servizio della causa. Così nel 1903 accettò, nonostante il parere contrario dei suoi consiglieri, l’invito del governo francese per una visita di stato a Parigi. L’accoglienza fu alquanto fredda con la folle che urlavano “Viva i Boeri!”, “Viva Marchand!” e “Viva Fascioda!”, ma il re rimase impassibile rispondendo al suo aiutante di campo, che aveva affermato che i francesi odiavano gli inglesi, “E perché dovrebbero volerci bene?”. Per quattro giorni Edoardo VII si alternò tra incarichi ufficiali, come passare in rassegna le truppe a Vincennes, e vita mondana partecipando alle corse di cavalli di Longchamps e alle serate all’Opera. Ovunque adoperò il suo charm per conquistare i francesi ad esempio rivolgendo dei complimenti in francese a una nota attrice durante l’intervallo di uno spettacolo all’Opera o facendo discorsi pubblici in cui lodava la bellezza di Parigi e affermava che gli antichi dissidi tra le due sponde della Manica erano ormai morti e sepolti. Quando ripartì i parigini urlarono di nuovo verso di lui, ma stavolta scandendo “Vive notre roi!”. Tutti gli ambasciatori che assistettero a queste quattro giornate furono concordi nel comunicare alle rispettive cancellerie che vi era stato un netto cambio d’umore del paese nei confronti del Regno Unito. A Luglio il presidente della Repubblica francese ricambiò la visita recandosi a Londra; anche qui vi furono dei momenti d’imbarazzo come quando venne domandata un’eccezione, per ovvie ragioni storiche, all’indossare le culottes durante il ricevimento ufficiale a Buckingham  Palace, ma anche stavolta Edoardo si impegnò nel creare un clima favorevole alla collaborazione tra le due parti. E collaborazione vi fu infatti perché già dal 2 Luglio Cambon e Lord Lansdowne aveva iniziato una trattativa su tutte le questioni, principalmente di natura coloniale, tra i due paesi; tutti furono d’accordo che, fondamentalmente, sussistevano due macro aree: le cose su cui l’Inghilterra aveva bisogno dell’appoggio francese (Terra Nova e l’Egitto) e le cose su cui la Francia aveva bisogno dell’appoggio inglese (Marocco, Siam e Sokoto). Piano piano tutti i nodi vennero sciolti attraverso reciproche compensazioni finché non si giunse alla madre di tutto: il Nord Africa; l’accordo finale fu che i francesi avrebbero avuto mano libera in Marocco, dovendo solo concedere una fascia di litorale alla Spagna, riconoscendo in cambio il ruolo inglese in Egitto. La convenzione, che sarebbe passata alla storia come l’Intesa Cordiale, venne siglata l’8 Aprile 1904 ed era composto da un accordo politico, due dichiarazioni e una serie di articoli segreti. Gli articoli segreti erano di particolare importanza perché di fatto sancivano l’accettazione inglese di una spartizione del Marocco tra Francia e Spagnaintesa vincolando così il Regno Unito ad appoggiare i francesi sulla questione in caso di problemi con altre potenze leggi Germania. L’Intesa così come nacque non era assolutamente un’alleanza militare, non si faceva alcun accenno a un possibile ingresso del Regno Unito nel trattato franco-russo né di un suo intervento in caso di guerra europea, ma di fatto il dado era stato tratto. L’Entente Cordiale era infatti esattamente ciò che il governo inglese voleva in quel momento, e che aveva cercato di contrarre con la Germania, un accordo non vincolante da un punto di vista militare, ma che  garantiva un reciproco supporto diplomatico sulle questioni internazionali. La Francia era perfettamente consapevole che, in caso di guerra con la Germania, non aveva in mano nessuna garanzia che gli inglesi sarebbero scesi in campo, ma pensò che rotto il giacchio i legami tra i due paesi si sarebbero inevitabilmente rafforzati nel tempo, dato che l’Europa si stava spaccando in due blocchi contrapposti, e prima o poi i rispettivi generali avrebbero finito per iniziare a parlare tra di loro dell’eventualità di una conflitto. Era la stessa scommessa che la Germania non si sentì affrontare pretendendo invece un’assicurazione militare immediata da parte inglese inaccettabile per un paese che stava appena uscendo da quasi un secolo di isolamento diplomatico; la Francia decise di correre il rischio e nel 1914, sebbene con qualche sudore freddo, passò all’incasso.