
Avevamo concluso il precedente articolo alla vigilia della prima crisi marocchina. Ora, prima di entrare nello specifico della crisi di Tangeri, lasciando quella di Agadir per il prossimo pezzo, conviene spiegare un attimo la situazione del Marocco agli inizi del novecento e il perché questo paese sembrò portare l’Europa a un passo dalla guerra. Nel 1905 il Marocco era, insieme all’Etiopia, l’ultimo angola d’Africa rimasto indipendente; ma se l’Abissinia aveva dovuto difendere la sua autonomia armi alla mano contro gli italiani, il Marocco era invece ricorso a un forte isolazionismo tentando di evitare che gli europei potessero mettere in atto quella penetrazione economica che in Tunisia e in Egitto era stata il primo passo verso i “protettorati”. Verso la seconda metà del XIX secolo quest’argine aveva però iniziato a cedere anche perché il paese, oltre a disporre di una buona agricoltura e di preziose risorse minerarie, era soprattutto in una interessantissima posizione strategica posto com’era all’ingresso del Mediterraneo; una posizione che faceva gola a varie potenze europee: Francia, Gran Bretagna, Spagna e Germania in primis. Il momento di svolta per la storia marocchina fu il periodo che va dal 1856 al 1863; in questi sei anni francesi, inglesi e spagnoli riuscirono a imporre dei trattati piuttosto gravosi che, oltre a concedere alcuni importanti vantaggi commerciali, sancivano per la prima volta l’extraterritorialità fiscale e giudiziaria dei cittadini europei presenti in Marocco. Da questo momento la penetrazione europea nel paese nordafricano si fece sempre più aggressiva e raggiunse il suo apice con il così detto sistema delle protezioni: alcuni cittadini marocchini, circa un migliaio al momento dell’occupazione finale francese, si poneva sotto la protezione europea uscendo dalla giurisdizione legale e fiscale del Sultano. Nel 1880 con la Conferenza di Madrid non solo venne data ufficialità a questo sistema, ma i paesi firmatari (Spagna, Germania, Italia, Francia e Regno Unito) si erano fatti tutti riconoscere dal Sultano, in materia commerciale, il diritto al trattamento della nazione più favorita. Ciò è molto importante per i successivi sviluppi, perché legittimava ognuno degli stati sopra citati a rivendicare come suo interesse primario l’essere preventivamente consultato in merito a ogni mutamento della situazione marocchina. Esattamente com’era successo in Tunisia ed Egitto la sempre più forte presenza europea mise sotto pressione l’economia di un paese retto da un’amministrazione atrofica e tendenzialmente corrotta. La reazione del Sultano Mulay Hassan fu quella di cercare di riformare il paese dal punto di vista amministrativo e militare, ma le grandi spese richieste per questi progetti (ad esempio l’acquisto di una potente cannoniera moderna) finirono per mandare in bancarotta il paese, non esistendo una sovrastruttura economica in grado di sostenerle. Per rimpinguare le casse ovviamente si ricorse a prestiti che non fecero altro che aumentare ulteriormente l’influenza europea in quanto i soldi venivano sempre da finanzieri del vecchio continente. Il successivo Sultano Mulay Abdelaziz continuò sul sentiero dell’indebitamento fino a che non fu costretto a dare in appalto agli europei praticamente qualsiasi fonte di reddito del paese (dogane, accise, monopoli di stato ecc.). Ovviamente ciò lo rese profondamente inviso alla popolazione, che lo considerava una testa di legno degli odiati europei, e alle élite tradizionali ostili al suo ammodernamento di un paese di fatto socialmente e culturalmente fermo si e no alla fine del settecento. Nel 1907 queste élite organizzarono una rivolta tesa a mettere sul trono il fratello del sultano; il paese così si spacco in due dando così il destro ai francesi per iniziare le manovre tese a trasformare il Marocco in una colonia. Di tutti i paesi europei coinvolti in Marocco i due con gli interessi più concreti erano la Spagna e la Francia, ma mentre il primo, ormai divenuto una periferia politica del vecchio continente, non aveva il peso specifico per imporsi sugli altri, la Francia invece stava lavorando da anni a creare le precondizioni diplomatiche per il suo passo. Per Parigi il Marocco era sia necessario per proteggere il confine ovest dell’Algeria, la colonia francese per eccellenza, sia rappresentava un risarcimento morale per l’accettazione della perdita dell’Egitto. Anche gli inglesi infatti avevano interessi in Marocco, ma come abbiamo visto nei due articoli precedenti Londra decise di mercanteggiare la sua quiescenza in cambio della rinuncia francese a ogni rivendicazione sul Nilo. Questo accordo fu uno dei punti centrali dell’Entente conclusa nel 1904. Delcassé, all’epoca ministro degli esteri francesi, era già riuscito nel 1900 ad avere dalla sua l’Italia, offrendo in cambio l’appoggio di Parigi alle ambizioni di Roma in Libia, e la Spagna. L’unico paese tra i firmatari della convenzione di Madrid a non essere consultato fu la Germania e questo fu un grave errore perché, sebbene sembrasse che il Kaiser non fosse contrario alle ambizioni francesi in Marocco finché ciò avrebbe spostato lo sguardo di Parigi lontano dalle azzurre vette dei Vosgi, il non cercare un preventivo accordo con l’ultimo dei paesi firmatari del trattato di Madrid fu considerato un’imprudenza anche da alcuni collaboratoti di Delcassé. Christopher Clark ricorda che sia il principale collaboratore del ministro degli esteri in materia di Marocco Paul Revoil (“I tedeschi sono degli imbroglioni, ma santo cielo non sto chiedendo uno scambio di parole romantiche… ma una discussione d’affari”), sia il capo del partito colonialista Eugène Etienne (“non parlare coi tedeschi è il massimo dell’imprudenza”) pur odiando visceralmente il Reich ritenevano si dovesse quanto meno metterli preventivamente al corrente di ciò che si stava per fare. Invece Delcassé ritenne di non correre troppi rischi decidendo, subito dopo aver messo in banca l’Entente, di passare all’azione inviando a Fez una missione che imponesse al Sultano un programma di riforme che, consegnando polizia ed esercito del Marocco ai francesi, avrebbe dovuto fare da apripista per la futura annessione del paese. A Berlino però il Marocco stava assumendo un ruolo molto superiore rispetto agli effettivi interessi economici tedeschi nel paese. Come si ricorderà dagli articoli precedenti il governo del Reich, sebbene avesse finto nonchalance, era rimasto scottato dalla conclusione dell’Entente tra Francia e Regno Unito sia perché fino all’ultimo era stato convinto che Londra avrebbe finito per entrare nell’orbita della Triplice sia perché era il secondo grande successo diplomatico francese dopo l’alleanza con la Russia. I continui insuccessi seguiti all’uscita di scena di Bismark, uniti con l’ossessiva idea del Kaiser Guglielmo che suo zio Edoardo VII d’Inghilterra stesse lavorando per circondare la Germania con un anello di ferro, spingeva il cancelliere Von Bulow e il genio maligno del ministero degli esteri Holstein a cercare di infliggere un colpo alla Francia che restaurasse il prestigio tedesco in Europa. In tal senso il Marocco era il posto perfetto dove mettere sottopressione la neonata Entente; a Berlino si era convinti che gli inglesi non avrebbero mai rischiato la guerra per questo e quindi, facendo la faccia feroce, si sarebbe costretta la Francia a ritirarsi. La prima idea fu una dimostrazione navale di fronte alle coste marocchine, ma venne considerato un passo troppo aggressivo come mossa di apertura e quindi si ripiegò su una visita dello stesso Kaiser a Tangeri che ribadisse l’interesse tedesco al destino del paese nordafricano. Guglielmo II navigava in quel Marzo 1905 nel Mediterraneo sul battello Hamburg e quando gli fu proposta la cosa all’inizio fu molto contrario sia perché non era ancora sicuro che convenisse litigare con la Francia per il Marocco sia perché temeva un attentato da parte di anarchici spagnoli. Alla fine però Bulow riuscì a convincerlo e il 31 Marzo il Kaiser toccò terra visitando pacificamente la città, incontrando l’incaricato d’affari francese e lo zio del sultano. Nulla di sensazionale all’apparenza, ma l’ambasciatore tedesco, su istruzioni di Berlino, rese pubblica una ricostruzione dei colloqui in cui invece sembrava che il Kaiser si fosse erto a difensore dell’autonomia del Marocco: “E’ al Sultano, nella sua veste di sovrano indipendente, che oggi faccio visita. Spero che sotto la sua sovranità il libero Marocco resterà aperto alla pacifica concorrenza di tutte le nazioni, senza monopoli od esclusioni, sul piede di un’assoluta eguaglianza. La mia visita a Tangeri ha lo scopo di far sapere che sono deciso a fare tutto quanto è in mio potere per salvaguardare efficacemente gli interessi tedeschi in Marocco, poiché considero il Sultano come sovrano assolutamente libero. Quanto alle riforme che egli intende di fare, mi sembra che bisogna procedere con grande precauzione, tenendo conto dei sentimenti religiosi della popolazione perché l’ordine pubblico non sia turbato.”. Dunque niente annessioni, ma libera concorrenza tra tutte i paesi che avessero interessi commerciali in Marocco… era di fatto un esplicito altolà a Parigi, reso ancora più chiaro l’11 Aprile quando Von Bulow affermò che la questione marocchina andava discussa in una conferenza internazionale tra tutti i firmatari della convenzione di Madrid. Bulow spiegò che il suo obiettivo non era la guerra con la Francia, ma costringerla a rivedere la sua politica provocando la caduta di Delcassé e “far balzare di mano ad Edoardo VII e agli elementi bellicosi d’Inghilterra la loro arma sul continente” in modo da “tutelare così, insieme con la pace, l’onore della Germania e accrescerne la dignità.”. Delcassé era ritenuto in quel momento, insieme ad Edoardo VII, l’artefice dell’isolamento diplomatico tedesco che, nelle paranoie della classe dirigente del Reich, doveva essere il prodromo di una futura guerra concentrica da est ad ovest per annientare la Germania. Il Kaiser in particolare, in uno dei suoi tanti voli pindarici, era convinto che rimosso l’intrigante ministro degli esteri, si sarebbe potuto giungere a una concertazione con la Francia che avrebbe portato a una grande alleanza continentale da dirigere ora contro la Gran Bretagna, ora contro gli Stati Uniti e ora contro il “pericolo giallo” giapponese. Il sultano fu ovviamente subito entusiasta all’idea di una conferenza internazionale che, virtualmente, avrebbe potuto salvare l’autonomia del suo regno; Delcassé al contrario vi fu recisamente ostile e chiese al governo di sostenerlo sulla linea dell’intransigenza. La Francia però non era con lui; il governo Rouvier lo costrinse ad aprire un dialogo con l’ambasciatore tedesco Radolin, mentre alla camera venne fatto oggetto di fuoco incrociato sia da destra che da sinistra per il modo sconsiderato con cui aveva portato il paese allo scontro con il Reich. Paradossalmente chi invece sembrò pronto a sostenere Delcassé fu il Regno Unito, dove l’ennesima mossa del Kaiser, che a onor del vero per una volta come visto non era farina del suo sacco, risultò molto sgradita. A Londra il timore che l’obiettivo dei tedeschi fosse l’ottenere un porto del Marocco, il che avrebbe potuto mettere in crisi la tanto faticata Entente, spinse Lord Lansdowne a dichiarare all’ambasciatore francese Cambon che il Regno Unito era pronto a dialogare con la Francia per concordare una linea comune da tenere sulla vicenda. Purtroppo Cambon capì, o volle capire, male e intese che ciò che Lansdowne gli stava offrendo era la disponibilità inglese a prendere impegni formali in caso in guerra; questa errore, comunicato a Parigi, spinse Delcassé vieppiù sulla via della resistenza ad oltranza mentre invece il Presidente del Consiglio Rouvier era nettamente per la trattativa. Bulow, consapevole sia della divisione interna al governo francese sia della reale portata delle garanzie inglesi, decise di sfidare apertamente Delcassé alzando la posta; non solo rifiutò le offerte mediane provenienti da Parigi per risolvere la questione marocchina con un accordo franco-tedesco sul modello del Entente, ma alzò anche la pressione di tutta Europa annunciando che se la Francia avesse attaccato il Marocco, possibilità dire il vero mai presa in considerazione a Parigi, la Germania avrebbe reagito con la guerra. Il 6 Giugno si tenne un tempestoso consiglio dei ministri del governo francese che si concluse con l’uscita di scena di Delcassé; il ministro degli esteri fino all’ultimo affermò che la Germania stesse bleffando e che bisognava invece cogliere subito l’offerta d’alleanza inglese, che però come detto era solo nell’errata comprensione di Cambon, invece il Presidente del Consiglio affermò che le minacce di Berlino erano serie e che il paese non era preparato a un conflitto… il terrore di un secondo 1870-71 paralizzò la voglia di revanche francese… almeno per questa volta. E’ difficile dire se la Germania sarebbe davvero giunta alla guerra per il Marocco, i fatti successivi che andremo a vedere sembrano indicare il contrario, ma certamente la Francia si trovava a fare i conti con un alleato incerto, gli inglesi, e un altro, i russi, la cui flotta era appena stata colata a picco dall’ammiraglio Togo a Tsushima ed erano in piena rivoluzione. Rouvier si illuse che, uscito di scena Delcassé, i tedeschi sarebbero stati più disponibili a un accordo amichevole, ma invece Bulow, che sentiva odore di sangue e forse sognava di emulare i trionfi di Bismark ai due congressi di Berlino, fu ancora più ultimativo: o la conferenza internazionale o la guerra. Su consiglio del presidente Roosevelt, che già aveva mediato tra russi e giapponesi, il governo francese infine capitolò accettando la conferenza, ma solo dopo che la Germania aveva riconosciuto che, in ragione del vicino confine algerino, la Francia aveva un interesse primario alla stabilità interna del Marocco (sembra poco, ma come vedremo invece a breve non sarà così). Ci si attivò dunque per organizzare la conferenza internazionale che si sarebbe dovuta tenere nella città spagnola di Algeciras con la partecipazione estesa, oltre che ai firmatari del trattato di Madrid, anche a: Russia, Austria-Ungheria e Stati Uniti (fu la prima volta che gli USA presero ufficialmente parte a una discussione riguardante questioni prettamente europee). Mentre però la Francia lavorava per ottenere supporti, i tedeschi, inebriati dal successo, si adagiarono sugli allori e anzi, proprio in quell’estate del 1905, il Kaiser si lanciò in uno dei suoi più sensazionali esperimenti di diplomazia; così prima di raccontare della conferenza di Algericas conviene parlare un attimo di quello che sarebbe passato alla storia come patto di Bjorko. Nei precedenti articoli ho già raccontato di come il Kaiser Guglielmo fosse solito affiancare alla diplomazia ufficiale del Reich, una sua diplomazia privata fondata sui rapporti di parentela con le altre teste coronate d’Europa. Principale oggetto di queste attenzioni era il giovane e impreparato Zar Nicola II, chiamato affettuosamente Niki dal Kaiser, che, senza stare a specificare tutti gli intrecci dinastici nati dalla nidiata della regina Vittoria, era suo cugino per parte di madre. Il 24 Luglio il Kaiser venne a fare visita allo Zar presso l’isola di Bjorko nel golfo di Finlandia e il primo, senza la costante vigilanza di Bulow, ebbe una delle sue fughe in avanti. Propose infatti, durante una conversazione a tu per tu con Nicola II, un alleanza tra Germania e Russia in base alla quale i due paesi si sarebbero difese reciprocamente in Europa di fronte all’attacco di una qualsiasi altra potenza europea. Guglielmo giocò sull’ostilità che lo Zar in quel momento provava per il Regno Unito, reo di aver appoggiato in tutti i modi il Giappone durante il recente conflitto tra la Russia e l’Impero del sol levante; in un attimo il Kaiser sembrava aver coronato quello
che Luigi Albertini considerò il suo sogno: porsi contemporaneamente alla guida della Triplice e della Duplice isolando la tanto odiata Inghilterra. Vi risparmierò la lettera tra il mistico e il poetico che Guglielmo inviò al suo cancelliere per renderlo edotto del grande successo da lui conseguito; purtroppo Bulow fu tutto fuorché entusiasta e gli toccò riportare il suo Kaiser coi piedi per terra. Holstain aveva in effetti preparato il testo di un accordo russo-tedesco in funzione anti-inglese, ma che avrebbe dovuto limitarsi a un supporto militare russo in Asia; il Kaiser, aggiungendo di testa sua l’Europa all’equazione, aveva in una sola volta messo Russia e Germania in rotta di collisione coi loro rispettivi alleati francesi e austro-ungarici. Bulow fu stavolta talmente irritato per l’iniziativa del Kaiser che decise di dare le dimissioni; Guglielmo però, forte coi deboli e debole coi forti, sentiva di aver necessità di quell’uomo e così gli scrisse una nuova lettere pietosa in cui si cosparse il capo di cenere. Leggendo addirittura “Pensi alla mia povera moglie e ai miei figli” Bulow decise di ritirare le dimissioni e cercò di salvare il salvabile del patto Bjorko. Il problema era che avendo inserito la reciproca difesa nel caso di un attacco in Europa si era implicitamente inteso che la Germania avrebbe aiutato la Russia in caso di guerra con l’Austria-Ungheria per i Balcani, mentre la Russia avrebbe aiutato la Germania in caso di guerra con la Francia… praticamente un super rovesciamento delle alleanze. Forse Bulow ritenne che con qualche limatura si potesse rendere l’accordo compatibile con la Triplice (Bismark ci era riuscito ed era stato il Trattato di contoassicurazione, non rinnovato proprio da Guglielmo II e Holstein), ma era quasi impossibile conciliare Bjorko con la Duplice. Infatti, non appena il governo russo ebbe a sua volta modo di leggere il testo firmato dallo Zar, fece subito rilevare che questo era in palese contrasto con i termini dell’alleanza con Parigi; per cui o si scioglieva quell’alleanza, dicendo però così addio anche ai finanziamenti francesi vitali per l’industrializzazione della Russia, oppure si faceva finta che quanto concordato a Bjorko non fosse mai esistito. Per provare ad uscirne con dignità i russi dissero che l’accordo di Bjorko sarebbe potuto entrare in vigore solo se i francesi si fossero detti d’accordo. Per un attimo Guglielmo sognò di potersi riconciliare con la Francia tramite il filo-tedesco ministro delle finanze russo Witte, ma a Pietroburgo il resto del governo sapeva già che i francesi, umiliati meno di un mese prima da Bulow, non avrebbero tollerato alcuna deviazione della Duplice dai suoi impegni iniziali. Messo di fronte alla realtà anche Witte collaborò per spingere lo Zar a chiudere la vicenda e Nicola II infine si decise a inviare un messaggio al cugino in cui proponeva che Bjorko restasse in vita aggiungendo però la postilla che non si sarebbe applicato nell’eventualità di un conflitto tra Francia e Germania. Voleva dire in pratica castrare l’accordo e Guglielmo non si volle prestare alla pantomima; così, mestamente, l’accordo Bjorko finì nel dimenticatoio e con esso scomparve l’ultimo serio tentativo della Germania di riavvicinarsi alla Russia.
Mentre i tedeschi impiegavano in questo modo il loro tempo, i francesi si erano attivati per ottenere la loro rivincita ad Algeciras. A Parigi, dopo il panico iniziale per il gioco al rialzo di Bulow, all’arrendevolezza si stava rapidamente sostituendo la volontà di tenere il punto costi quel che costi; lo stesso Rouvier, che tanto aveva premuto perché Declassé si dimettesse, era rimasto molto contrariato dalla protervia usata dal cancelliere tedesco nel rifiutare di comporre la vicenda marocchina con una intesa a due Francia-Germania. Il Quai d’Orsay si attivò così per giungere alla conferenza con il supporto pieno del maggior numero di potenze. Prima di tutto si dovettero rassicurare gli inglesi, che erano rimasti contrariati dall’arrendevolezza dimostrata da Parigi, e questi, a fronte della volontà francese di resistere, garantirono il loro appoggio “con i mezzi che la Francia riterrà più opportuni.”. Il 14 Luglio, in occasione della festa della Bastiglia, una squadra navale inglese visitò Brest e un mese dopo navi francesi ricambiarono la visita, venendo accolte con tutti gli onori, a Portsmouth. Iniziò così il lento, ma costante processo che avrebbe portato l’Intesa ad evolversi in un’alleanza militare di fatto. Frattanto il governo inglese conservatore-unionista cadde e venne sostituito da un governo liberale guidato da Campbell-Bannerman; l’evento in se non sarebbe così importante ai fini della nostra storia se non fosse che il dicastero degli esteri venne occupato da Sir Edward Grey l’uomo che avrebbe ininterrottamente guidato la diplomazia inglese fino all’entrata in guerra contro la Germania nel 1914. Grey era, secondo Margaret MacMillan, il tipico aristocratico di campagna inglese fondamentalmente conservatore, ma disposto ad accettare i cambiamenti sociali imposti dai mutamenti del nuovo secolo. Tendenzialmente incerto e non amante della Germania ereditò un’Entente che, come detto, stava iniziando a evolversi e lasciò che la cosa seguisse il suo corso senza mai ostacolarla, ma senza neanche prendersi la responsabilità di dare a questo nuovo corso i crismi di un’ufficialità diplomatica. All’apparenza continuò la linea del suo predecessore, gelando le aspettative dell’ambasciatore tedesco che aveva sperato in un cambio di politica, ma privatamente mise con Cambon dei paletti dichiarando che il Regno Unito non poteva dare una garanzia in bianco di affiancare la Francia in un conflitto con la Germania indipendentemente da come sarebbe andata la conferenza. Grey aveva capito che in caso di conflitto continentale sarebbe stato impossibile per il Regno Unito tenersi in disparte se non distruggendo il suo prestigio internazionale (“hanno fatto credere ai francesi che li appoggeremo in guerra… se la loro aspettativa andasse delusa non ce lo perdonerebbero mai.”); sulla base di questa considerazione decise di gettare il primo accenno di quella linea dell’essere al fianco della Francia, ma solo se la Francia non avesse provocato la Germania alla guerra. Vedremo in seguito come tale “dottrina” avrebbe condizionato la linea politica di Parigi nella crisi di Luglio del 1914. Comunque per adesso le istruzioni che Grey diede a Sir Arthur Nicolson, delegato inglese alla conferenza, fu “Il nostro obiettivo numero uno è aiutare la Francia a ottenere ciò che chiede.” perché altrimenti “il prestigio dell’Entente ne risentirebbe e anche il progetto come tale perderebbe dinamismo.”. Ancora più facile fu per Parigi assicurarsi il sostegno russo, quando invece i tedeschi erano convinti che mai Pietroburgo avrebbe rischiato la guerra per il Marocco; invero la Francia non lasciò molta scelta all’alleato in quanto la Russia, dopo il doppio colpo della sconfitta con il Giappone e della rivoluzione, aveva un disperato bisogno dei prestiti francesi per sostenere le riforme del primo ministro Stolypin. Condizione posta dai francesi per concedere il prestito era l’appoggio incondizionato ad Algeciras e il governo russo diede disposizioni al suo inviato perché sostenesse “energicamente” ogni richiesta francese. Anche l’Italia era da inserire preventivamente nella colonnina francese in quanto Roma sapeva che se voleva continuare a coltivare i suoi sogni libici non poteva assolutamente litigare con francesi e inglesi. La conferenza ebbe inizio il 16 Gennaio 1906 e, dopo aver superato agevolmente le dichiarazioni di principio sul riconoscimento dell’indipendenza del Marocco e della libertà del suo Sultano, si passò alla carne viva della gestione della Banca di Stato e delle forze di polizia. Qualche paragrafo più su ho ricordato come il governo francese era riuscito ad ottenere, all’atto della convocazione della conferenza, che la Germania riconoscesse i particolari interessi della Francia in ragione della vicinanza al Marocco dell’Algeria. Sulla base di ciò nessuno poté contestare la pretesa di Parigi che la polizia di frontiera fosse di sua competenza per garantire la sicurezza del confine algerino; per il resto del Marocco le disposizione del governo al suo delegato erano di candidare la Francia, come potenza musulmana limitrofa, a ottenerne il mandato magari in compartecipazione con gli spagnoli. Da combattere recisamente invece era il progetto tedesco di una partizione tra più potenze o dell’affidamento a una singola potenza minore o a ufficiali di potenze neutrali. Seguendo le istruzioni di Bulow il rappresentante tedesco Radowitz propose una partizione a quattro tra Francia, Spagna, Italia e Germania, incontrando ovviamente il rifiuto delle potenze dell’Intesa, mentre i rappresentanti di Austria, Italia e Stati Uniti tentavano di fare da pontieri elaborando proposte di compromesso. La Germania, scoprendosi inaspettatamente isolata, si irrigidì, ma ricevette un avvertimento amichevole da Vienna, dove non si voleva fare la guerra per il Marocco, che, sebbene l’Austria fosse al fianco della Germania, l’Italia avrebbe mantenuto un atteggiamento sornione e spingere la Russia a doversi apertamente schierare con l’Entente sarebbe stato un disastro per la Triplice. Fu infatti il delegato austriaco a proporre il compromesso di una polizia soggetta al Sultano comandata da un ufficiale francese, uno spagnolo e un ufficiale superiore di una potenza neutrale che avrebbe dovuto rendere conto al corpo diplomatico di Tangeri. Bulow fece però pressioni su Vienna e Roma perché si facessero latori di una correzione aggiungendo anche un ufficiale tedesco, uno austriaco e uno italiano… era come tornare al punto di partenza e il rappresentante italiano Visconti Venosta si rifiutò. Si era allo stallo anche perché la Francia era fermamente intenzionata a resistere a ogni costo( Visconti Venosta disse a uno dei rappresentanti tedeschi “… non vi accomoderete con Revoil senza un intervento del governo di Parigi”). In un primo momento Bulow sembrava a sua volta intenzionato non cedere, convinto giustamente che la Francia sarebbe stata ritenuta responsabile del fallimento della conferenza, ma poi progressivamente iniziò ad ammorbidire la sua posizione probabilmente incerto se andare a vedere se Parigi stesse bleffando o meno. Infatti con il rappresentante americano che dichiarava che per Washington la garanzia della libertà dei commerci in Marocco sarebbe stata garantita anche dai soli franco-spagnoli, e con la comparsa il 28 Febbraio di una squadra navale inglese a Gibilterra, che era a pochi km da Aglesiras, Bulow si dovette rendere conto che senza minacciare esplicitamente la guerra la Germania non avrebbe mai ottenuto ciò che voleva, ma poi se la Francia rispondeva ancora picche o la guerra la si faceva davvero o l’umiliazione per la ritirata sarebbe stata devastante. Così il 31 Marzo venne infine siglato un accordo, steso dai rappresentanti italiani, austriaci e americani, in base al quale la polizia marocchina si sarebbe servita di un istruttore francese in quattro porti, di uno spagnolo in due e di due di entrambi i paesi a Tangeri e Casablanca mentre un ispettore generale olandese o svizzero, senza alcun comando diretto, doveva ispezionare una volta l’anno tutti i corpi di polizia inviando un rapporto sia al Sultano che al corpo diplomatico internazionale a Tangeri. Con il medesimo accordo venne anche decisa la questione della Banca di stato marocchina di cui i francesi sarebbero dovuti essere i soci di maggioranza. Insomma una débâcle completa per Berlino, nonostante i tentativi di mascherarlo, e la manifestazione fisica di ciò fu il malore che colse Bulow il 5 Aprile subito dopo aver riferito al Reichstag in merito all’esito della conferenza. Anche i marocchini furono, giustamente, stizziti in quanto “avevano immaginato la conferenza come una sorta di processo alla Francia, accompagnato da qualche benevolo consiglio delle altre potenze sulle riforme da intraprendere.” come è riportato nella British Documentes on the origins of the War. La vittima eccellente della conferenza di Algeciras fu comunque Holstein che, per protesta contro l’atteggiamento arrendevole di Bulow, si dimise probabilmente convinto che né il cancelliere né il Kaiser gli avrebbero permersso di andarsene, ma ciò non avvenne anche se l’abbandono del ministero degli esteri da parte della sua onnipotente eminenza grigia cambiò poco in quanto Holsetin continuò a trescare nell’ombra. Naturalmente anche il Kaiser reagì piuttosto male; durante i momenti più difficili della conferenza il suo timore che il tutto potesse sfociare in una guerra l’aveva spinto a chiedere a Bulow moderazione, ma ad accordi fatti si scagliò contro la coalizione delle potenze latine “patetiche vestigia del caos etnico disseminato dall’antica Roma” e in particolare contro l’Italia rea di essere stata per nulla solidale con l’alleato. Effettivamente sin dall’inizio della conferenza era stato chiaro che se si fosse giunti alla conta sulle questioni di merito, l’Austria avrebbe, seppur a denti stretti, sostenuto Berlino, mentre l’Italia al massimo si sarebbe astenuta. Leggendo alcuni scambi di telegrammi tra Berlino e Vienna, nei giorni successivi alla chiusura della conferenza, sembrava che si fosse a un passo dalla messa in discussione della Triplice, che scadeva appena un anno dopo Algeciras. Sbolliti però i furenti spiriti pare fosse passata la linea che fosse meglio una triplice incerta piuttosto che un’Italia attratta definitivamente nel campo francese. Nonostante le varie discussioni per decidere una modifica della Triplice per adeguarla alle nuove situazioni, in Germania si voleva trovare un modo per assicurarsi quanto meno la neutralità italiana in caso di guerra con la Francia mentre a Roma e Vienna si sarebbe voluto aggiungere una dichiarazione esplicita in cui si affermava che gli accordi non valevano nel caso di conflitto anglo-tedesco, l’8 Luglio 1907, data ultima per denunciare il trattato, trascorse senza novità così che la Triplice si considerò rinnovata com’era tacitamente. Mentre però la Triplice traballava dall’altro lato della barricata si realizzava l’ultimo e più imprevedibile degli effetti di Algesiras: la convenzione anglo-russa del 1907. Come già ricordato nei precedenti articoli durante tutto l’ottocento i rapporti tra Regno Unito e Russia erano stati estremamente tesi in ragione delle ambizioni di Pietroburgo su Costantinopoli e per il “Grande gioco”, cioè il confronto, spesso indiretto, per il controllo dell’Asia centrale. I russi, avanzando dalla Siberia, avevano progressivamente sottomesso i khanati asiatici mentre Londra, dal lato opposto, tentava di bloccare gli accessi all’India ponendo tra il subcontinente e i russi una serie di stati cuscinetto. Afghanistan, Persia e negli ultimi anni anche il Tibet erano stati alcuni dei principali campi in cui i due paesi, ora con la diplomazia, ora con le armi, avevano tentato di guadagnare posizioni strategiche in previsione di una futura guerra per il controllo del gioiello dell’Impero Britannico. Col Novecento e la fine dell’isolamento inglese le cose però iniziarono a cambiare; la sconfitta russa nella guerra con il Giappone aveva molto ridimensionato le ambizioni asiatiche di Pietroburgo e la crescente idea che la minaccia principale per il Regno Unito fosse divenuta la Germania spingeva Londra a trovare un accomodamento con la corte degli Zar. Sir Edward Grey era fermamente convinto che si dovesse giungere con i russi a un accordo, simile a quello raggiunto coi francesi, in base al quale si delimitassero le rispettive sfere d’influenza in Asia. Come abbiamo detto Grey era convinto che, in caso di guerra franco-tedesca, la Gran Bretagna non avrebbe potuto restare neutrale e, in un memoriale del febbraio 1906, affermava che l’unica cosa che potesse tenere buona la Germania sarebbe stata un’intesa a tre tra Londra, Parigi e Pietroburgo. L’arrivo nel maggio del 1906 al ministero degli esteri russo d’Iswolsky, che poi sarebbe stato protagonista della crisi bosniaca, favorì l’avvicinamento degli ex-rivali se non su un piano d’amicizia, su quello della reciproca convenienza. Stando ad Albertini, Iswolsky era convinto che gli interessi del suo paese erano principalmente in Europa e che dunque la politica estera russa andasse riorientata per fare in modo che nel vecchio continente gli Zar ricostruissero il loro prestigio scosso a Tsushima. Balcani e Impero Ottomano dovevano tornare ad essere gli obiettivi della Russia, ma ciò non poteva che creare attriti con la Germania, alleata dell’Austria-Ungheria e amica sempre più stretta di Costantinopoli, per cui era opportuno rafforzare la Duplice intendendosi con il Regno Unito, paese molto ammirato dal ministro russo. Tredici mesi durarono i negoziati tra Iswolsky e Arthur Nicolson, durante i quali l’unico punto su cui fu impossibile raggiungere un accordo furono i Dardanelli, in quanto ogni proposta che implicasse il passaggio di navi da guerra russe attraverso questi era inaccettabile per gli inglesi. Il 30 Agosto venne infine firmata a Pietroburgo una convenzione tra i due paesi in base alla quale: la Persia veniva divisa in tre zone d’influenza (una inglese a sud, una russa a nord e una neutrale al centro), l’Afghanistan era considerato nella sfera d’influenza inglese, mentre il Tibet era riconosciuto da entrambe le parti indipendente e neutrale sotto la sovranità cinese. Con la convenzione del 1907 si può iniziale a parlare di Triplice Intesa perché, sebbene ancora nessun accordo di carattere militare fosse stato esplicitamente siglato da Londra, gli inglesi
avevano manifestamente fatto la loro scelta di campo. Solo fino a un decennio primo una composizione anglo-russa sarebbe stata considerata impossibile e infatti la notizia generò reazioni molto preoccupate a Berlino, ancora di più dell’Alleanza russo-francese del 1894, perché sembrava che le possibilità per la Germania di ricostruire i rapporti con inglesi o russi si fossero ulteriormente ridotte, mentre sembrava completarsi l’Einkreisungspolitik (politica dell’accerchiamento) vaticinata da Holstein. L’accordo anglo-russo contribuì poi a far ulteriormente vacillare la posizione di Bulow; già il fallimento di Algesiras lo aveva messo in rotta sia con il Kaiser, che non aveva gradito l’atteggiamento troppo avventuroso del Cancelliere, sia con i circoli militari che, al contrario, non ne avevano mandato giù l’arrendevolezza. Il primo segnale che qualcosa stava cambiando fu la nomina a ministro degli esteri di Heinrich von Tschirshky, uomo di fiducia del Kaiser, il che lasciava supporre una messa in mora del cancelliere almeno per quanto riguardava la conduzione della politica estera. La posizione del cancelliere fu poi ulteriormente indebolita dall’essere finito all’interno della violenta campagna stampa passata alla storia come caso Harden-Eulenburg. Il principe di Eulenburg era uno degli amici più intimi del Kaiser, ma era anche segretamente un omosessuale e quando un giornale denunciò la cosa (probabilmente sobillato da alcuni circoli
imperialisti convinti che il principe esercitasse un influsso negativo sul Kaiser) ne esplose uno scandalo che ben presto si estese ad altri membri dell’entourage imperiale e anche allo stesso cancelliere, accusato a sua volta di essere omosessuale. La goccia che però fece traboccare il vaso fu l’intervista concessa da Guglielmo II al Dailey Telegraph e pubblicata il 28 Ottobre 1908. Ancora una volta l’estroso imperatore non si era controllato finendo per straparlare dicendo, tutto in una sola volta: che nonostante buona parte dei tedeschi odiassero il Regno Unito, lui restava suo buon amico, che il piano di guerra inglese per vincere i boeri era stata una sua idea, che la flotta tedesca non era una minaccia contro il Regno Unito perché costruita solo per proteggere i commerci e che anzi un giorno gli inglesi avrebbero ringraziato per l’esistenza di quella flotta in grado di contrastare ad Oriente il nascente “pericolo giallo” del Giappone. Dire che si scatenò un uragano è dire poco! Buona parte del mondo rise, in Inghilterra si ebbe la conferma che la Germania fosse infida e pericolosa mentre nel Reich politica, stampa e opinione pubblica insorsero contro un Kaiser che parlava così irresponsabilmente. Christopher Clark adombra l’ipotesi che Bulow avesse architettato la cosa per indebolire Guglielmo e rafforzare così di nuovo la sua posizione; la vulgata infatti è che il Cancelliere ricevette copia dell’intervista per approvarla, ma non la avesse letta lasciando il compito a un funzionario di basso rango che l’approvò. Obbiettivamente sarebbe da incontrare questo funzionario che ritenne un’intervista del genere accettabile, e le già citate insinuazioni che il cancelliere fece nelle sue memorie in merito alla sanità mentale e agli errori del Kaiser possono sembrare una excusatio non petita a posteriori. Fatto sta che il Kaiser nella tempesta chiese al suo cancelliere di essere da lui difeso, ma questi, in un discorso al Reichstag del 19 Novembre 1908, fu invece aspro negando la verità di molte delle affermazioni del Kaiser e invitandolo “ad osservare per l’avvenire, anche nei colloqui privati, quel ritegno che è egualmente indispensabile nell’interesse di una politica costante e per l’autorità della Corona”. Mai un cancelliere tedesco si era rivolto pubblicamente in questi termini al Kaiser, che Bismark aveva reso idealmente il centro di gravità dell’intero Reich, e Guglielmo, il cui carattere ormai dovremmo conoscerlo, si legò al dito la cosa seppur respingendo momentaneamente le dimissioni presentate da Bulow. Il cancelliere conseguì poi il già narrato successo della crisi bosniaca, ma ormai si stava facendo il vuoto attorno a lui sia per la sempre maggior freddezza del Kaiser, sia per l’ostilità nei suoi confronti del circolo navale di Tirpitz. La bocciatura dell’imposta di successione da parte del Reichstag il 24 Giugno 1909 lo spinse il 14 Luglio successivo a dare le dimissioni, stavolta il Kaiser non inviò nessuna lettera per convincerlo a restare. Uscì così di scena l’unico tra i successori di Bismark capace di mostrare una certa statura da statista, comunque un nano tra i pigmei, e venne sostituito da Theobald von Bethmann-Hollweg che, stando ad Albertini, Bulow definì un burocrate che nel 1914 si travestì da lupo. Ex-ministro degli interni e descritto dalla moglie come irrisoluto, oscillante, timido, ma anche ostinato, come vedremo nel prossimo articolo avrebbe tentato l’ultima composizione tra Germania e Regno Unito andando direttamente all’apparente madre di tutti i problemi tra i due paesi: la competizione navale.
Bibliografia:
- Luigi Albertini – Le Cause della Grande Guerra – Volume I
- Margaret MacMillan 1914 – Come la luce si spense sul mondo di ieri
- Christopher Clark – I Sonnambuli – Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra
- Henri Wesseling – La spartizione dell’Africa