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L’enigma di Dunkerque

24 Maggio 1940, gli alleati stanno vivendo un incubo. Appena due settimane prima si era nel pieno della “strana guerra” con gli eserciti anglo-francesi e tedeschi che si squadravano lungo la linea Maginot senza però disturbarsi vicendevolmente; la Polonia era crollata in meno di mese mentre in Norvegia si combatteva nei dintorni di Narvik, ma tutto taceva sul fronte occidentale come se l’ombra della guerra di trincea del 14-18 aleggiasse su entrambi gli schieramenti bloccando ogni velleità d’azione. Poi però d’improvviso fu come se una molla fosse scattata: il 10 Maggio, poche ore dopo la nomina a Londra di Winston Churchill a Primo Ministro, i tedeschi si riversarono nel Belgio e nell’Olanda apparentemente nel tentativo di ripetere il piano Schlieffen di ventisei anni prima. Convinti di ciò gli alleati, che avevano preparato i loro piani di guerra dando per certa quest’eventualità, inviarono la loro ala sinistra composta dal B.E.F. (British Expeditionary Force) e da tre armate francesi a difesa del Belgio lungo una linea che da Moerdijk in  Olanda si appoggiava sul sistema di fiumi e canali del Belgi fino alla frontiera francese. Tutti erano convinti che, rimediando all’errore del 1914, schierandosi subito in profondità nel Belgio su una forte linea difensiva, si potesse facilmente rintuzzare l’attacco e poi contrattaccare per superare il Reno e magari entrare in Germania. Non sapevano che stavano firmando la loro condanna a morte perché i tedeschi, sfruttando la copertura dell’apparentemente invalicabile foresta delle Ardenne, erano pronti a gettare tre corpi corazzati direttamente alle spalle dell’ala sinistra alleata. Approfittando delle scarse difese lasciate dai francesi a protezione del punto di congiunzione tra la linea Maginot e l’ala sinistra i panzer tedeschi sfondarono il fronte a Sedan, la fatal Sedan, e attraversarono la Mosa riversandosi nella pianura e puntando dritto verso le coste della Manica travolgendo le retrovie nemiche al loro passaggio. Come un pugile che ha preso troppi colpi sulla testa i riflessi degli alleati parvero come rallentarsi e, convinti che prima o poi l’attacco tedesco si sarebbe arenato da solo come nel 1918, ogni loro contromisura giunse troppo tardi per fermare un Guderian che, litigando per questo ogni giorno con l’OKW, faceva macinare km ai suoi carri, senza aspettare il supporto della fanteria, per conseguire un unico grande obiettivo che avrebbe potuto decidere l’intera campagna sul fronte occidentale: l’accerchiamento dell’ala sinistra alleata. Il 20 Maggio i tedeschi raggiunsero la Manica tagliando di netto le linea di comunicazione tra le forze alleate in Belgio e il resto dell’esercito francese; ora non restava altro da fare che prendere uno per uno tutti i porti sul Canale lasciando così il B.E.F. isolato nel Nord della Francia e impossibilitato a reimbarcarsi verso casa. Al comando delle forze inglesi vi era il generale Lord Gort che già il 19, dopo aver abbandonato la linea a protezione di Bruxelles, aveva comunicato al governo di aver individuato in Dunkerque la posizione ultima su cui ripiegare nel caso la situazione fosse divenuta insostenibile. La situazione era però già insostenibile perché agli inglesi restavano rifornimenti per si e no un paio di giorni di combattimenti  e Gort si stava sempre più convincendo che l’unica opzione sul tavolo era quella di salvare il B.E.F. per non lasciare le isole britanniche completamente indifese al rischio di un’invasione tedesca. Non era però questa l’opinione di Churchill che invece avrebbe voluto che le forze inglesi provassero ad aprirsi un passaggio per ricongiungersi al grosso dell’esercito francese. Tra una serie di ordini e contrordini si persero tre giorni durante i quali l’unico tentativo fatto da Gort fu il celebre contrattacco di Arras nel quale i carri Matilda inglesi ebbero la meglio sui panzer tedeschi per essere però poi respinti dalla Luftwaffe e dal geniale usato fatto da Rommel dei cannoni antiaerei da 88. Dopo questo fuoco di paglia gli inglesi non fecero alcun altro serio tentativo per rompere l’accerchiamento. Il 23 finalmente il governo di Londra abbandonò le illusioni e autorizzato Gort ad agire come meglio riteneva opportuno, ma nel frattempo Guderian aveva continuato a muoversi raggiungendo tra il 22 e il 23 Maggio Boulogne e Calais. La resistenza opposta dalle guarnigioni inglesi fu intensa, ma bastava solo un altro piccolo sforzo per arrivare a Dunkerque rendendo così impossibile un reimbarco del B.E.F. quando, il 24 Maggio, il generale inglese Ironside annotò nel suo diario “Le colonne mobili tedesche sono state indubbiamente fermate, per un motivo che mi sfugge.”. Cos’era successo? Era successo che proprio quel giorno Hitler in persona aveva ordinato l’alt alle sue forze di terra che dovevano interrompere ogni ulteriore avanzata attestandosi sulla linea del Aa. Per i generali tedeschi sul campo, Guderian e Kleist in testa, l’ordine fu una vera mazzata; già in precedenza avevano ricevuto vari ordini di rallentare o di fermarsi da un comando timoroso per la distanza che si stava venendo a creare tra i panzer e la fanteria, ma ogni volta li avevano o ignorati o aggirati interpretando in maniera elastica alcuni punti delle disposizioni dimostrando poi coi fatti di aver ragione. Stavolta però l’ordine era perentorio e le colonne di Kleist, che già avevano superato l’Aa, dovettero far dietrofront restando ad osservare mentre svaniva la più grande occasione di conseguire un successo decisivo. Guderian passò ore attaccato al telefono per tentare di far rimuovere l’ordine, ma questo venne anzi confermato; lo sgomento non era però solo degli ufficiali che si vedevano gli inglesi sgusciar via davanti agli occhi bensì anche dei comandi superiori tant’è che il feldmaresciallo von Brauchitsch, interrogato proprio da Guderian sul motivo dell’Alt, rispose che “l’ordine era venuto direttamente dal Fuhrer e aggiunse che aveva sperato che qualcuno compisse un atto d’insubordinazione”. Per gli inglesi in effetti l’improvviso stop dei tedeschi fu come un bacio della divina provvidenza perché, incalzate dalle truppe che venivano dal Belgio, se fosse giunto ad opera dei panzer anche il colpo alle spalle, dove per ammissione dello stesso Gort l’unico ostacolo anticarro a disposizione era l’Aa stesso, la partita sarebbe finita. Con l’esercito belga che si arrendeva il 25 Maggio nulla più si frapponeva tra i tedeschi e il B.E.F. la cui unica speranza a questo punto era un rimbarco immediato; per fortuna sin dal 20 Churchill aveva dato ordine che piccole navi civili si tenessero pronte a salpare per la Francia allo scopo di trarre in salvo il maggior numero di uomini che fossero rimasti isolati durante la ritirata. Il salvataggio del B.E.F., nome in codice Operazione Dynamo, venne progettata dall’Ammiraglio Ramsay, comandante della base di Dover, il quale ordinò che tutte le imbarcazione fino alle 1000 tonnellate da Harwich a Weymout fossero messe a disposizione. Il 26 questa “Flotta della salvezza” ricevette l’ordine di prendere il mare direzione Dunkerque, ma le speranze erano ridotte al lumicino e Ramsey credeva che non più di 45.000 uomini degli oltre 400.000 che si stavano dirigendo lì si sarebbero potuti mettere in salvo in un tempo massimo di due giorni. Superato questo intervallo infatti era presumibile che i tedeschi avrebbero reso l’evacuazione impossibile e lo stesso Churchill, parlando alla camera, disse di tenersi pronti a “notizie gravi e dolorose…”. In effetti entro il 27 Maggio meno di 10.000 uomini erano stati imbarcati, ma a questo punto intervennero due circostanze decisive che trasformarono Dunkerque da una probabile disastro a un miracolo: primo i tedeschi rimasero immobili ben più dei due giorni pronosticati, secondo accanto alla Royal Navy venne in soccorso del B.E.F., ammucchiato sul porto e nelle spiagge, una flotta di pescherecci, lance dei pompieri e piccole imbarcazioni da crociare che, sotto l’incessante attacco della Luftwaffe, si prodigarono per portare a largo quanti più soldati possibile. Gort fu altresì abilissimo a creare un perimetro difensivo che si batté accanitamente per guadagnare ogni secondo e il 29 Maggio la Flotta francese giunse a dare una mano così che il 31 Maggio la quota giornaliera di imbarcati era salita a 68.014. Il 4 Giugno l’Operazione Dynamo venne dichiarata conclusa e a sbarcare sulle coste inglesi furono un totale di 338.000 uomini, tra i quali 110.000 francesi, al prezzo di sei cacciatorpediniere inglesi, due francesi e molte navi minori. Mentre ciò avveniva sul fronte alleato il 27 Maggio veniva infine ritirato l’ordine di stop ai panzer che finalmente, dopo altre sedici ore di preparativi, poterono superare l’Aa e rimettersi in marcia. Ormai però la situazione era irrimediabilmente cambiata: se il 24 a difesa del perimetro di Dunkerque c’era a malapena un battaglione inglese adesso i tedeschi si trovarono ad affrontare l’accanita resistenza predisposta da Gort e della troppo poco ricordata retroguardia francese della 1° armata che si sacrificò, venendo infine circondata e costretta ad arrendersi, per tenere il nemico bloccato a soli 20 km dalle spiagge. Nonostante si fosse trattato di una fuga che per poco non si era trasformata in un completo disastro l’evacuazione del B.E.F. e delle truppe francesi fu accolto in Inghilterra come un gigantesco successo; si era ancora vivi per combattere un altro giorno, anche se in Francia la si avvertì solo come una sorta di defezione da parte dell’alleato e ciò avrebbe incoraggiato i militari del partito della capitolazione. Al Parlamento inglese Churchill, dopo aver elogiato l’incredibile risultato ottenuto, riportò tutti alla dura realtà affermando che non si doveva dare a Dunkerque gli attributi della vittoria perché “le guerre non si vincono con le evacuazioni”, ma pochi minuti dopo questa doccia fredda gonfiò l’orgoglio inglese lanciando la parola d’ordine “Noi combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo nei luoghi di sbarco, noi combatteremo sui campi e sulle strade, noi combatteremo sulle colline; noi non ci arrenderemo mai!” e certamente sarebbe stato ben più difficile farlo se invece di un’evacuazione di successo avesse avuto 338.000 soldati morti o prigionieri dei tedeschi.

Ma torniamo a quel decisivo 24 Maggio 1940 e poniamoci finalmente la domanda che è il cuore di quest’articolo: cosa successe quel giorno? Perché invece di cancellare dalla faccia della terra l’esercito inglese Hitler gli concesse tre fatali giorni per ritirarsi? Perché sia chiaro l’immagine patriottica di centinai di imbarcazioni civili che sfidano la morte per trarre in salvo il B.E.F. certamente emoziona gli animi, ma, come ha scritto Basil Liddel-Hart, “è indubbio che il B.E.F. non avrebbe potuto essere salvato se dodici giorni prima, e cioè il 24 Maggio, Hitler non fosse intervenuto per bloccare alle porte di Dunkerque le forze corazzate di Kleist”.

Iniziamo da ciò che è certo cioè la successione di eventi precedenti al 24 Maggio. Sin dall’inizio di Fall Gleb Hitler e gli alti comandi tedeschi avevano guardato con un misto di entusiasmo e di agitazione alla corsa dei panzer di Guderian. Memori del rapido rovesciamento di fronte del 1918 gli sembrava che tutto stesse andando troppo bene e temevano un’improvvisa controffensiva alleata che potesse spezzare il corridoio aperto dai carri lasciando questi isolati dal resto dell’esercito. In effetti l’OKW non aveva la piena cognizione di quanto grande fosse lo sbandamento alleato e 17 Maggio, giorno dello sfondamento sulla Mosa, Halder, capo di stato maggiore tedesco, registrava nel suo diario l’agitazione del Fuhrer per i possibili rischi cui si stava andando incontro. Il giorno dopo a Guderian, già lanciato verso la Manica, venne dato per la prima volta l’ordine di rallentare per aspettare la fanteria; sempre secondo Halder questa decisione fu ispirata da Hitler il quale era fissato per un possibile contrattacco alleato sul fianco meridionale del corridoio dei panzer. Guderian aggirò l’ordine dando un’interpretazione ampia dell’autorizzazione che gli era stata data di condurre comunque “ricognizioni in forze” e nella serata del medesimo giorno il blocco venne revocato quando a Hitler fu data la garanzia che un corpo d’armata di fanteria stava giungendo a puntellare il fianco meridionale del corridoio. Il Fuhrer rimase però convinto che i francesi stessero organizzando qualcosa di grosso a sud, inoltre considerava gli inglesi un avversario ostico e non era assolutamente convinto fosse una buona idea lanciare i suoi adorati panzer direttamente contro di loro. Su questi dubbi si innestò il panico generato dal contrattacco di Arras che, sebbene inconcludente, convinse vieppiù i dubbiosi che il terreno conquistato andasse puntellato prima di dar luogo a un’ulteriore avanzata. E siamo dunque al 24 Maggio giorno in  cui Hitler si recò al quartiere generale di Rundstedt, che era alla guida del Gruppo d’armate A all’interno del quale era inquadrato il panzergruppe di Kleist, rientrato dal quale convocò Halder per comunicargli la sua decisione di impartire un immediato e irrevocabile alt. Dopo la guerra Basil Liddel Hart ebbe occasione, grazie al suo prestigio come storico militare, di intervistare alcuni dei generali tedeschi protagonisti di quelle giornate e nel suo “Storia di una sconfitta” dedica un intero capitolo alla questione dello stop davanti a Dunkerque. Su tale argomento si era già espresso lo stesso Churchill che nelle sue memorie dichiarò essere convinto che Hitler venne convinto proprio da Rundstedt a diramare l’ordine durante il colloquio che i due ebbero nella mattinata del 24. Dialogando però con i comandanti tedeschi Liddel Hart ricevette da tutti pareri negativi su quest’ipotesi in quanto Hitler, nei mesi seguenti alla battaglia di Francia, mai citò il riverito feldmaresciallo tra le ragioni che lo avevano convinto a diramare l’ordine. Il dialogo tra i due del 24 Maggio è stato ampiamento ricostruito e pare certo che Rundstedt, uno dei pochi generali tedeschi che poteva ancora parlar chiaro con il Fuhrer, anche contraddicendolo, espresse a sua volta dei dubbi che andarono a supportare i timori di Hitler. Rundstedt era tendenzialmente un comandante prudente e affermò di essere preoccupato che la corsa dei panzer potesse aver usurato e indebolito i mezzi, inoltre anche lui temeva un possibile attacco francese da sud; il feldmaresciallo riteneva che essendosi già deciso che la battaglia a nord sarebbe dovuta essere vinta dal corpo d’armate Bock che avanzava dal Belgio era meglio iniziare a spostare le sue forze verso sud. Hitler si disse completamente d’accordo con queste tesi, ma ciò vuol dire anche che fu proprio Rundstedt l’ispiratore dell’ordine? Secondo la maggioranza dei comandanti tedeschi consultati da Liddel Hart no  perché, come già detto, in seguito Hitler non citò mai il parere di Rundstedt come motivo della sua decisione, anche quando fu chiaro che si era trattato di un errore, e il Fuhrer era il genere di persona che se poteva trovare un capro espiatorio ai suoi errori non esitava ad usarlo. Halder si disse convinto che se un ruolo di Rundstedt vi fu più che quello di ispiratore fu quello di incoraggiare col suo prestigio una decisione che in cuor suo Hitler aveva già assunto da tempo. Sempre secondo il capo di stato maggiore dell’OKW Hitler era andato sviluppando una sempre maggior avversione per l’idea dei carri di Klaist come “martello” da vibrare contro gli inglesi preferendo invece che fossero l’incudine contro cui si sarebbero scontrati una volta che Bock avesse vibrato il colpo di nord. Quest’ordine di idee derivava sia dal timore che il terreno delle Fiandre potesse essere non congeniale per i panzer sia per lo scontro che si stava venendo a creare tra il Corpo d’armate Bock e quello di Rundstedt che, invece di procedere parallelamente com’era stato previsto, stavano convergendo con i panzer di Klaist che si dirigevano verso l’ala sinistra di Bock. All’OKW si decise che l’accerchiamento degli inglesi sarebbe stato completato da Bock, ma per non dare a Rundstedt l’idea che vi fosse una mancanza di fiducia nei suoi confronti si traccheggiò a lungo nel deciderei in merito al ruolo dei corpi corazzati che, a quel punto, sarebbero dovuti passare di competenza a Bock. Questi sviluppi sicuramente convinsero Rundstedt che il suo ruolo nel nord era concluso e quindi era meglio prepararsi per la prossima campagna a sud cui però sarebbe servito un adeguato contingente corazzato; è probabile che queste ragioni lo spinsero ad argomentare con Hitler, che già era di quell’idea, per far riposare i carri in attesa che gli inglesi fossero eliminati. Furono dunque ragioni puramente di carattere tecnico militare alla base della scelta del 24 Maggio?  Tanto Halder quanto Blumentritt, all’epoca ufficiale presso lo stato maggiore di Rundstedt, dichiararono in seguito che già nel 1940 sospettarono vi fosse una natura politica nella scelta di Hitler; in effetti le argomentazioni in merito all’usura dei panzer e al terreno delle Fiandre, se sicuramente preoccupavano il Fuhrer, paiono da sole troppo deboli per un ordine così perentorio protratto per ben tre giorni. Guderian affermò che nessuno degli esperti di carri tedeschi sul campo nel ’40 espresse preoccupazione per il fango, che invece giunsero da Jodel e Keitel sulla base della loro esperienza nella Grande Guerra, liquidando l’intera questione come “una sciocchezza” mentre, per quanto riguardava lo stato dei mezzi, molti comandanti delle forze corazzate intervistati da Liddel Hart affermarono che ogni giorno giungevano nuovi mezzi per sostituire quelli danneggiati o distrutti. Se Halder era convinto che il potere politico, per ragioni di propaganda, volesse che la battaglia finale non portasse il nome delle Fiandre bensì della grande nemica Francia, Blumentritt per primo propose la teoria che Hitler avesse deciso scientemente di lasciar il B.E.F. libero di ritirarsi allo scopo di favorire un accordo di pace con la Gran Bretagna. Tale teoria venne accolta e ampiamente argomentata da Liddel Hart che riportò, tanto nel già citato “Storia di una sconfitta” che in “Storia militare della seconda guerra mondiale”, un’interessante ricostruzione fatta proprio da Blumentritt riguardo ad alcune dichiarazioni di Hitler durante il già citato incontro del 24 Maggio al quartier generale di Rundstedt “Hitler era di ottimo umore; ed ammise che l’andamento della campagna era “decisamente un miracolo” ed espresse l’opinione che la guerra sarebbe finita entro sei settimane. Dopo ci che aveva intenzione di concludere un accordo ragionevole con la Francia, e allora vi sarebbe stata via libera per un accordo con la Gran Bretagna. Poi ci lasciò sbalorditi parlando con ammirazione dell’impero britannico, della necessità della sua esistenza e della civiltà che la Gran Bretagna aveva portato nel mondo. Osservò, scrollando le spalle, che l’edificazione del suo impero era spesso avvenuta con mezzi crudeli, ma, aggiunse, “dove c’è da piallare, ci sono trucioli che volano”. Paragonò l’Impero Britannico alla Chiesa Cattolica dicendo che l’uno e l’altro erano elementi essenziali per la stabilità del mondo. Affermò che dalla Gran Bretagna voleva solo il riconoscimento della posizione della Germania sul continente. La restituzione delle colonie perdute sarebbe stata desiderabile, ma non essenziale; egli avrebbe persino offerto alla Gran Bretagna di appoggiarla con le armi se si fosse trovata in difficoltà in qualunque parte del mondo. Osservò ancora che le colonie erano in primo luogo una questione di prestigio, poiché in caso di guerra non potevano essere difese e ben pochi tedeschi potevano stabilirsi nei tropici. Concluse dicendo che il suo scopo era di far la pace con la Gran Bretagna su una base che la Gran Bretagna avrebbe considerato congrua col suo onore e quindi accettabile. Il Feldmaresciallo von Rundstedt, che era sempre stato favorevole a un accordo con Francia e Gran Bretagna, espresse la sua soddisfazione e più tardi, dopo che Hitler fu partito, osservò con un sospiro di sollievo “Bene, se non vuole nient’altro avremo finalmente la pace”.” Tale dichiarazione va presa con le molle non tanto per un’assenza di affidabilità della fonte quanto perché stabilire se questo fosse realmente l’intimo convincimento di Hitler è reso difficile dal carattere del Fuhrer costantemente ambiguo. Resta un fatto però che è possibile trarre ulteriori prove a sostegno dell’ipotesi di un suo misto di amore e odio per il Regno Unito intanto dai diari di Halder e di Ciano, che presentano riferimenti ad altri discori di questo tenore persino nel pieno della battaglia d’Inghilterra, ma anche dal Mein Kampf dove era già stata delineata quest’idea di un Impero Britannico come stabilizzatore degli equilibri mondiali con cui era auspicabile, per la Germania, concludere un’alleanza prima del grande attacco contro il nemico bolscevico ad est. Si può dunque supporre che Hitler, pensando già a un futuro accordo di pace con Londra, ritenne che questo sarebbe stato più difficile se l’orgoglio inglese fosse stato eccitato dall’annientamento del B.E.F. e quindi era meglio concedere ponti d’oro al rimbarco così da dimostrare la buona volontà della Germania nel giungere a un accomodamento senza spargere ulteriore sangue. Questa teoria trova ancora oggi molti sostenitori sebbene non manchino anche dei critici tra i quali vi è un altro importante storico militare inglese, Sir. Alister Horne, autore di un volume dedicato alla battaglia di Francia nel quale afferma che non esiste alcuna vera prova a sostegno dell’ipotesi dei “ponti d’oro”. Oltre a ciò Horne afferma anche che i generali tedeschi intervistati da Liddel Hart siano stati volutamente reticenti, in una logica di difesa corporativistica, nel ridurre il peso che ebbe Rundstedt nella decisione finale di Hitler; secondo lui il Feldmaresciallo non si limitò a offrire la sua opinione, ma suggerì esplicitamente l’alt sebbene anche per Horne questo suggerimento non fu l’unica ragione dietro la decisione finale di Hitler. Conviene a questo punto chiederci quale fosse il tenore di questo famoso ordine del 24 Maggio; esso non fu dato in forma scritta bensì solo oralmente direttamente ad Halder, ma attraverso le  testimonianze incrociate di Halder, Guderian e Klaist lo si è potuto ricostruire. In particolare Klaist nel comunicarlo a Guderian avrebbe detto testualmente “Dunkerque deve essere lasciata alla Luftwaffe. Se la conquista di Calais farà sorgere delle difficoltà, anche quella città dovrà essere lasciata alla Luftwaffe.”. Queste parole sono di fondamentale importanza perché introducono nell’equazione un nuovo soggetto fino ad ora rimastovi fuori: la Luftwaffe. A quanto sembra il giorno prima dell’ordine di fermarsi Goering aveva chiamato Hitler allo scopo di convincerlo che sarebbe stato opportuno che fosse la Luftwaffe ad occuparsi della distruzione delle forze inglesi. A sostegno di questa tesi il secondo uomo del Reich portò argomentazioni di carattere militare, il B.E.F. era ormai accerchiato per cui a che scopo sprecare le forze di terra solo per “occupare terreno”, che d’ordine politico affinché la vittoria non portasse il marchio dell’esercito conservatore, ma della nuova aeronautica nazionalsocialista. Vanitoso ed egocentrico Goering era sicuramente irritato per il fatto che la sua magnifica aviazione avesse fino a quel momento raccolto ben pochi allori in proporzione al ruolo spesso decisivo svolto nelle operazioni. Varie testimonianze ci informano dell’irritazione dei generali per l’intervento di Goering, ad esempio il pur servizievole Jodel non esitò a dire che il ministro dell’aviazione “blatera ancora”, e i loro dubbi in merito all’affermazione di questi che l’aviazione sarebbe stata in grado da sola di annientare gli inglesi. Si trattava in effetti di una spacconata a cui comunque Goering non era nuovo, basti pensare che solo pochi mesi dopo avrebbe garantito la sparizione della R.A.F. dai cieli inglesi mentre nel 1942 affermò di poter rifornire via cielo la 7° armata tedesca accerchiata a Stalingrado. Sembra però che Hitler si sia lasciato convincere dal suo secondo provocando una reazione furente presso lo stato maggiore con Halder che vibrò nel suo diario questa precisa frase “E’ la Luftwaffe che deciderà la sorte delle armate accerchiate nella zona specificata!!”, e i punti esclamativi sono significativi, per poi il giorno dopo giungere in ritardo, lui che era puntualissimo, alla riunione dell’OKW affermando più o meno che “Lo stato maggiore non è responsabile per la decisione appena presa.”. Il problema dell’assicurazione data da Goering era che l’aviazione fosse interamente condizionata nel suo operare dalle condizioni atmosferiche e, sebbene fino a quel momento vi fossero state condizioni perfette tanto da essere chiamate “condizioni Goering”, vi erano segnali che un peggioramento fosse prossimo. Si pone a questo punto l’interrogativo decisivo di quale sia stato il peso effettivo della Luftwaffe durante i tre giorni in cui i panzer rimasero fermi. Su questo vi è una netta distinzione di opinioni tra Liddel Hart e Horne. Il primo non nega che sicuramente Goering chiese un ruolo di primo piano per la sua arma, ma afferma altresì che nemmeno la Lutwaffe fu usata al pieno delle sue capacità e che anzi alcuni comandanti dell’aviazione da lui consultati gli abbiano riferito che Hitler intervenne per porre un freno anche a loro. Ovviamente se ciò fosse vero andrebbe indirettamente a confermare la tesi dell’evacuazione facilitata perché nemmeno l’unica arma lasciata operare fu libera di farlo al pieno delle sue capacità, ma Horne sostiene invece che la Luftwaffe non fu in grado di impedire la ritirata inglese non per un’estensione ad essa dell’ordine di Hitler bensì in ragione di tre cause: in primo luogo le perdite subite fino a quel momento che ne riducevano di molto l’efficienza, in secondo luogo il peggioramento delle condizioni atmosferiche e infine gli sforzi sovrumani compiuti dalla R.A.F. per garantire una copertura. L’aviazione inglese gettò nello scontro tutto ciò che aveva a disposizione e complessivamente durante i giorni del rimbarco i piloti britannici compirono 2734 missioni, alcuni fino a quattro al giorno. Resta comunque a conclusione l’affermazione fatta dallo stesso Guderian in merito alla sua convinzione che la ragione ultima della scelta di fermare i carri fu l’ambizione di Goering.

E’ probabile che la ragione ultima della fatale decisione del 24 Maggio Hitler se la sia portata nella tomba. Certamente non vi fu un’unica causa bensì una serie di considerazioni che fondendosi tra loro determinarono nel Fuhrer la decisione, ma la vera domanda allora è se tra queste ragioni vi sia quella messa in primo piano da Liddel Hart cioè l’idea di favorire un accordo di pace con la Gran Bretagna. Se così è il fiasco fu tanto maggiore perché produsse anzi l’effetto opposto: lo “spirito di Dunkerque” galvanizzò gli inglesi e le truppe messe in salvo poterono essere usate per rendere vieppiù difficile la preparazione di una futura invasione delle isole britanniche da parte dei tedeschi. Se Hitler davvero si illudeva di poter fare la pace con la Gran Bretagna, o addirittura poter stipulare un’alleanza con loro in funzione antirussa, dimostrò una marchiana ignoranza dello spirito inglese e nell’affermazione di Churchill “Noi non ci arrenderemo mai!” non c’era niente di pomposo, ma bensì l’espressione dello storico orgoglio di un popolo che già appena un secolo prima si era opposto in medesime circostanze a Napoleone. Personalmente ammetto di essere un grande estimatore di Liddel Hart e che fino alla lettura dell’opera di Horne condividevo appieno la sua tesi dei “ponti d’oro”, ma devo dire che oggi mi ci sono un po’ allontanato. Le ragioni di ciò sono fondamentalmente due: in primo luogo la scelta di rimuovere l’ordine dopo tre giorni perché se Hitler avesse voluto dare agli inglesi libertà di ritirarsi non si vede perché fare una cosa del genere; ritengo molto più probabile che la decisione di permettere ai panzer di riprendere la marcia dipese dalla constatazione del sostanziale fallimento della Luftwaffe nel dare seguito alle pompose affermazioni di Goering. In secondo luogo penso che se l’obiettivo fosse spingere gli inglesi alla pace, nel momento in cui a Londra era salito al governo una personalità notoriamente intransigente e antinazista come Churchill, invece che dargli un esercito con cui combattere sarebbe stato molto più razionale metterlo di fronte a un gigantesco disastro.

Dunkerque resta uno dei fatti di maggior peso della seconda guerra mondiale pari all’Operazione Barbarossa e all’attacco a Pearl Harbor. Guderian ha sicuramente ragione quando afferma che ebbe per i tedeschi “un influsso disastroso su tutto il corso futuro della guerra.” perché tenne in vita un avversario pericolosissimo, lasciando allo stesso tempo aperta la porta a un possibile futuro intervento statunitense assolutamente impensabile qualora il Regno Unito fosse stato messo fuori gioco nel 1940. Oltre a ciò basta soltanto pensare alle forze che il Reich dovette tenere lontano dal decisivo teatro russo per proteggere l’occidente dalle azioni dei commando britannici o per supportare gli italiani in Nord Africa. E’ impossibile dire quale sarebbe stata la reazione degli inglesi a una distruzione del B.E.F., forse avrebbe potuto determinare un crollo del morale nazionale o, ma credo sia improbabile, anche una caduta del governo Churchill; certamente però la perdita di oltre quattro divisioni in una sola volta avrebbe ridotto di molto le possibilità d’azione della Gran Bretagna prima dell’entrata in guerra degli USA. Questo avrebbe potuto dire meno truppe per difendere il canale di Suez o da usare per operazioni come quella di Creta che, sebbene conclusesi con ulteriori sconfitte, costrinsero la Germania appunto a non poter concentrare tutte le sue forze contro l’Unione Sovietica. Dunkerque non ebbe però conseguenze solo sul modo in cui gli inglesi poterono continuare a condurre il conflitto, ma fu anche l’inizio dell’alterazione degli equilibri di poteri interni all’alto comando tedesco. Quella fu infatti la prima volta in cui Hitler si impose sul suo stato maggiore in merito a una questione prettamente militare; fino ad allora infatti il Fuhrer, sebbene si divertisse a giocare al piccolo generale, aveva lasciato sempre che l’ultima parola in merito alle scelte di natura strategica fosse quella dello Stato Maggiore limitandosi semmai ad intestarsene il merito a posteriori. Stavolta invece Hitler si era scontrato frontalmente con Halder e Brauchitsch respingendo le loro continue obiezioni e pretendendo che ci si attenesse strettamente alla sua decisione. Il precedente fu estremamente carico di conseguenze perché con l’andare avanti del conflitto Hitler gradirà sempre meno che i suoi generali muovano delle critiche alle sue “geniali” idee strategiche fino a quando, a fronte dei primi insuccessi in Russia, deciderà di sbarazzarsene per assumere personalmente il comando supremo delle operazioni circondandosi di yesman che lo assecondarono in tutto anche quando decise di lasciare un’intera armata a morire tra le rovine di Stalingrado.

9 Responses
  • Rex
    24 Luglio 2017

    VI siete completamente dimenticati di parlare del personaggio più dimenticato(volutamente) della seconda guerra mondiale…e cioè Rudolf Hess paracadutatosi in Inghilterra per trattare con gli inglesi…era il vice di Hitler, mica bao bao micio micio…

    • Eduardo D'Amore
      24 Luglio 2017

      Il volo di Hess è successivo alla vicenda di Dunkerque e quindi non l’ho considerato direttamente attinente al tema dell’articolo che era il provare a spiegare il motivo per cui venne imposto l’alt ai panzer. Sicuramente ne avrei parlato se l’articolo fosse stato sulle trattative di pace sotterranee tra Regno Unito e Reich prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti

      • Silvio
        27 Maggio 2022

        E’ vero che il volo di Hess è successivo alla vicenda di Dunkerque, ma conferma l’ipotesi delle ragioni politiche della decisione di Hitler. L’arresto delle divisioni corazzate sull’Aa, il volo di Hess, e, forse, anche la decisione, nella battaglia di Inghilterra, di bombardare Londra invece degli aeroporti, sono indizi di una volontà di Hitler di arrivare, il prima possibile, a una pace con l’Inghilterra.

    • Claudio Erroi
      18 Marzo 2024

      L’ impresa di Hess (in particolare i motivi) resta avvolta nel mistero tentativo di convincere a una pace separata?

    • Vincenzo de Vera
      26 Maggio 2024

      Interessante articolo con la conclusione che non sapremo mai cosa successe nelle segrete stanze tra Hitler, lo Stato Maggiore e i generali in prima linea … Tanti ipotesi cui nemmeno gli storici più accreditati sanno dare certezze …

  • Alessandro Risaliti
    5 Febbraio 2020

    Un aspetto non è stato messo in evidenza a mio parere. Se L’ intenzione di Hitler era di giungere ad una pace con L’ Inghilterra l’annienamento del corpo di spedizione britannico gli avrebbe consentito di disporre di circa 300.000 prigionieri inglesi da far valere in una ipotetica trattativa. Non solo ciò avrebbe molto probabilmente fatto nascere in Inghilterra un orientamento favorevole ad un accordo, certamente le 300.000 famiglie che avrebbero avuto un congiunto prigioniero avrebbero costituito un fattore importante per condizionare l’opinione pubblica in tal senso.
    Spesso quando valutiamo l’atteggiamento tedesco a Dunkerque siamo condizionati dalla facilità con cui i tedeschi conclusero l’occupazione della Francia. Gli stessi tedeschi erano meravigliati dal successo della loro strategia ma erano consapevoli del numero non elevato delle loro divisioni corazzate e c’era sempre da sconfiggere ancora una grossa parte dell’esercito francese che era rimasto fuori dalla sacca e si era trincerato per sostenere l’attacco successivo.

    • Cristiano
      11 Ottobre 2020

      Aspetto molto importante, bravo, resta completamente apparentemente totalmente assurda la posizione di Hitler, cchecché ci si sforzi di trovare un motivo razionale: non ne esiste alcuno, dobbiamo rivolgerci all’irrazionale..

  • Massimo Ziarelli
    23 Aprile 2020

    Argomento molto interessante ma per farla breve sono dell’idea che Churchill come rappresentante della Nazione piu’ colonizzatrice del mondo non avrebbe certo mai fatto diversamente da come fatto.

  • Cristiano
    11 Ottobre 2020

    Ha ragione Alessandro Risaliti, comunque la si rigiri non c’è una spiegazione neppure minimamente logica del comportamento autolesionista di Hitler. Per cercare di avvicinarci ad un minimo di comprensione dobbiamo considerare i tanti altri successivi analoghi comportamenti di Hitler, alla fine considerandoli tutti si ha la netta impressione, solo apparentemente illogica e assurda, che Hitler in fondo cioè inconsciamente volesse, sin dall’inizio, non la vittoria ma la DISTRUZIONE della Germania.

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