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Presentazione e primo post – L’armistizio del 1918 fu un errore?

Perché ho creato questo blog? Sin dai tempi della scuola la storia è stata per me più di una materia di studio, è stato un interesse autentico che desideravo conoscere un ogni suo dettaglio. Per quanto esistano epoche e ambiti della storia che hanno finito per attrarre di più il mio interesse mi sento di dire che non c’è periodo che non abbia avuto curiosità di approfondire sotto i più vari aspetti. Da qualche tempo però sono passato dal “semplice” desiderio di conoscere, per cui mi era sufficiente un libro o un documentario, alla riflessione sugli eventi e sui fatti; ciò però non può essere autoreferenziale e sento il bisogno di provare a confrontarmi. Ecco dunque il motivo per cui ho deciso per un blog! Forse non lo leggerà nessuno, però se qualcuno trovandosi a passare di qui sarà stimolato da ciò che scrivo a dare la sua opinione così da avviare una discussione su questi argomenti, magari perché come me lo ritiene un modo per interpretare il mondo in cui viviamo, avrò raggiunto il mio scopo.

Approfittando della ricorrenza  dell’11 novembre  voglio iniziare discutendo se fu un errore da parte degli alleati firmare l’armistizio con la Germania in quel momento della guerra. Mi spiego: ciò che voglio provare a dimostrare è che la decisione di concludere la guerra l’11 Novembre del 1918 fu una delle concause che ha prodotto nei tedeschi l’idea che la pace che furono costretti a firmare Versailles fosse ingiustamente punitiva; ciò perché i tedeschi nel Novembre del 1918 non si sentivano militarmente sconfitti.

 

Provo a spiegare il mio ragionamento dobbiamo tornare all’8 Agosto del 1918 quando gli alleati, dopo aver arginato l’offensiva di primavera tedesca, lanciano la loro controffensiva sfondando, per la prima volta durante il conflitto,  il fronte tedesco ad Amiens. Il generale Ludendorff avrebbe parlato di “giornata nera dell’esercito tedesco” e tale espressione è poi rimasta nella storia, ma è stata anche molto fraintesa nel suo senso infatti  essa non si riferiva all’avanzata tedesca bensì all’effetto che ebbe sul morale non solo delle truppe, ma anche dei comandi. Vari storici, tra i quali Basil Liddell-Hart, hanno infatti osservato come la reazione emotivamente sproporzionata di Ludendorff possa far legittimamente supporre che questi fosse vittima di un repentino crollo nervoso dovuto al rapido svanire dall’ebrezza per una vittoria ritenuta alla portata di mano. Di fatto l’offensiva alleata non produsse mai un collasso dell’esercito tedesco, Amiens non fu una Caporetto, e nonostante l’alto numero di prigionieri catturati (21000), comunque un numero molto contenuto se si tiene conto delle proporzioni degli eserciti coinvolti sul fronte occidentale, non vi fu una liquefazione completa dell’esercito tedesco come avvenne per quello italiano nel 1917.Per citare proprio Liddel-Hart nel suo “La prima guerra mondiale”: Essa (la battaglia Amines) fu ben lontana dal raggiungere qualsiasi collegamento vitale del sistema di comunicazioni nemico e non riuscì neppure a isolare le truppe tedesche schierate in quel saliente. Non a caso Ludendorff, una volta ripresa coscienza di sé poté elaborare un efficace piano difensivo che presupponeva una progressiva evacuazione delle zone occupate per attestarsi poi su una nuova linea difensiva in prossimità della frontiera.

Il problema è che il momentaneo crollo emotivo dei comandi militari travolse completamente i vertici civili della Germania. Questi per cinque anni si erano sentiti ripetere dallo stato maggiore che la guerra sarebbe stata vinta e tale era stata la loro fiducia in questa asserzione che avevano accettato di cedere progressivamente il controllo del paese all’Oberste Heeresleitung; organo in quel momento dominato dal duo Ludendorff-Hindemburg  che interpretava la massima di Clausewitz “La guerra non è altro che politica proseguita con altri mezzi” come un primato dell’elemento militare su quello civile nel corso di un conflitto. Tale era stato questo appiattimento del potere politico che non furono mosse obiezioni né quando l’esercito chiese la ripresa della guerra sottomarina illimitata, che metteva la Germania direttamente in linea di collisione con gli Stati Uniti, né quando si oppose a ogni possibilità di una pace di compromesso. Il repentino passaggio dalla certezza della vittoria all’ammissione della sconfitta provocò lo sfaldamento morale della Germania. I civili si sentirono traditi da chi, dopo avergli per anni dettato la linea garantendo però la vittoria finale, ora gli scaricavano addosso la patata bollente di giungere a una pace il più presto possibile perché la catastrofe era imminente. Questa rabbia ben presto si trasferì alla popolazione la quale si autoconvinse che, eliminato il Kaiser e con esso la casta militare, la pace si sarebbe potuta negoziare sulla base dei quattordici punti di Wilson e dunque quantomeno giusta e rispettosa del sentimento nazionale tedesco.

Dall’altra parte però gli alleati, o per lo meno Francia e Regno Unito, non volevano per la Germania una pace giusta, volevano la pace di Brenno. Ciò che non considerarono fu però che per imporre una pace punitiva è necessario avere davanti a sé un nemico spezzato sia da un punto di vista militare che morale; serve insomma una Zama, un Egospotami o una Waterloo che cancelli in una volta sola la speranza dell’avversario e sua la volontà di continuare il conflitto  così da renderlo disposta ad accettare qualsiasi condizione pur di mettervi fine. Nel Novembre del 1918 gli alleati era sul punto di ottenere qualcosa del genere, ma la decisione di procedere con l’armistizio glielo impedì e infatti quando alle ore 11:00 le armi tacquero al di là della linea del fronte c’era ancora buona parte del Belgio e parte dello Champagne occupato dai tedeschi. Paradossalmente l’evidenza della sconfitta tedesca non sarebbe venuta dal fronte occidentale, qualsiasi esperto militare è d’accordo nel ritenere che lì i tedeschi  sarebbero stati battuti solo nel 1919, ma dal simultaneo crollo dei suoi alleati orientali. Con la resa quasi contemporanea di Bulgaria, Turchia e Austria-Ungheria si apriva infatti un immensa autostrada per l’armata alleata d’oriente di d’Esperey verso la frontiera sud-orientale della Germania; non a caso, sempre Ludendorff,  dichiarò che ebbe per la prima volta il timore della sconfitta quando a Giugno gli austriaci fallirono nel dare la spallata decisiva agli italiani sul Piave.

Se invece di accettare la resa tedesca gli alleati avessero aspettato avrebbero potuto avanzare contemporaneamente verso la Germania da ovest e da est così che quando le loro prime divisioni si fossero affacciate in Baviera e Sassonia sarebbe stato evidente a qualsiasi tedesco che la sconfitta era totale e definitiva.  Ciò che avvenne invece fu che i tedeschi, si sentirono traditi perché si videro recapitare una pace punitiva nonostante che, dal loro punto di vista, fossero stati si sconfitti, ma non vinti. Il mito che l’esercito tedesco avesse concluso la guerra imbattuto si diffuse rapidamente perché nessun tedesco aveva visto durante gli ultimi giorni della guerra un solo soldato alleato marciare nelle strade della Germania (infatti di tutto il Reich la sola Renania fu brevemente occupata successivamente alla firma dell’Armistizio). Questo sentimento generale fu un ottimo propellente per sostenere la tesi della pugnalata alle spalle che aveva portato la Germania alla sconfitta. Questa favola fu incoraggiata soprattutto dai militari che volevano scrollarsi di dosso il peso di aver portato il paese alla catastrofe: molto meglio favorire la convinzione che una cospirazione di nemici interni aveva tradito un esercito che stava vincendo la guerra permettendo così agli alleati di imporre il loro ingiusto diktat. Ciò creò nel popolo tedesco un sentimento di rivalsa che non poteva essere attenuato dallo scoramento morale dovuto alla consapevolezza di essere stati sconfitti rendendolo quindi da un lato sfiduciato verso quell’istituzione, la Repubblica di Weimar, che aveva messo la firma sul diktat e dall’altro pericolosamente recettivo a qualsiasi prospettiva di “giocare un secondo tempo”. Leggendo gli eventi tenendo a mente questa conformazione mentale si spiega anche perché nel 1945 quel popolo fu pronto ad accettare l’idea di combattere fino all’ultimo pur di “non rivivere il 1918”.

Credo a questo punto di aver spiegato il senso della mia affermazione iniziale: l’armistizio del 1918 fu un errore ( o forse è meglio dire fu troppo affrettato) perchè legato, nella mentalità degli alleati, a un progetto di pace punitiva nei confronti dei tedeschi quando una pace del genere non richiedeva una vittoria, ma un trionfo che l’11 Novembre 1918 non c’era ancora seppur era in vista.

4 Responses
  • Silvio
    23 Agosto 2017

    Verrebbe da pensare che avrebbbero voluto risparmiare delle vite umane, ma l’atteggiamento dei comandanti europei per tutta la guerra fa escludere quest’argomento. Ci sarebbero due ipotesi, opposte, che riguardano gli Stati Uniti. La prima è che possano essere stati loro a imporla per cessare il loro coinvolgimento militare e risparmiare costi in denaro e vite umane. La seconda che siano stati gli europei a volerlo, proprio per limitare l’importanza degli Stati Uniti nel raggiungimento della vittoria e, di conseguenza, nelle successive trattative di pace. Non conosco documenti su cui basare queste ipotesi, ma non mi sembrano da escludere a priori.

  • Simoncello
    25 Agosto 2017

    Complimenti per il lavoro che fai e l’impegno che ci metti.
    Ti scrivo da ragazzo appena maturato a cui come te appassiona la storia e fa piacere scoprire sempre qualcosa di più.
    Ti ho scoperto perché qualcuno aveva linkato uno dei tuoi pezzi nei commenti di un altro blog e ora sto facendo binge readimg, ti raccomanderò ad amici e conoscenti in futuro sicuramente 🙂

    • Eduardo D'Amore
      25 Agosto 2017

      Ti ringrazio tantissimo per i tuoi complimenti. L’interesse mostrato da persone come te per questi miei lavori è uno dei motivi che mi spinge a potarlo avanti.

  • Gina Garbarini
    29 Giugno 2018

    Capito da queste parti per una ricerca sulla guerra sino indiana del ’62, sto leggendo Le 10 mappe che spiegano il mondo, mi è piaciuto da subito per la narrazione che fa della storia…un interessante racconto che stimola la curiosità….
    Grazie per esserci
    Gina