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Storia dei Fasci Siciliani dei Lavoratori – Il Fascio di Catania

Di Carlo Bonaccorso

In questa seconda pubblicazione, ci occuperemo del Fascio siciliano dei lavoratori di Catania, nato nel maggio del 1891 dall’ala operaia più avanzata della Società radicale creata da Napoleone Colajanni anni prima.
La nascita del fascio catanese fu il prodotto di un lungo lavoro all’interno della classe operaia cittadina, molto attiva negli anni precedenti; le numerose società popolari presenti che confluirono successivamente nel Fascio ne sono chiara dimostrazione: “I Figli del lavoro”, “I Figli della pace” (fornai), “Figli della speranza” (conciapelli), “Onestà e lavoro” per citarne alcune; associazioni di arti e mestieri e associazioni democratiche si ritrovarono così all’interno di un’unica organizzazione, vedendo piccola borghesia urbana e ceti popolari uniti nelle lotte. Un processo chiaro e ben definito, voluto dal fondatore del fascio catanese, Giuseppe De Felice Giuffrida.
La sua evoluzione fu diversa da quella del fascio palermitano, così come per gli altri fasci della Sicilia orientale; Adolfo Rossi nella sua inchiesta constatò questa effettiva differenza fisionomica; molti di essi esistevano secondo le modalità delle vecchie società di mutuo soccorso e diversi erano anche alcuni aspetti legati soprattutto ai centri rurali. Nonostante ciò, la nascita del fascio catanese fu seguita da quella di tanti altri centri orientali.
La formazione del Fascio di Catania avvenne quindi sulla spinta di quell’ala avanzata dell’associazione democratica guidata da Giuseppe De Felice e da una cinquantina di operai, tra cui Vito Spampinato (Presidente dell’associazione “I Figli del lavoro”) che successivamente diventò il Vicepresidente, Macchi e Duso (figure importanti all’interno dei movimenti operai catanesi); il fascio raggruppava al suo interno sezioni di arti e mestieri (14 nel luglio 1891, 30 nel gennaio del 1892); se per Palermo l’organo di stampa ufficiale era “Giustizia Sociale”, a Catania fu “L’Unione”, diretto dallo stesso De Felice.

Uomo di grande carisma, figura imponente all’interno del movimento operaio cittadino, cresciuto sotto l’influenza politica di Colajanni e Costa, esponenti dell’ideologia democratico-radicale; consigliere comunale, nel 1893 venne eletto deputato al Collegio di Catania nelle elezioni che videro trionfare i fasci in molti comuni dell’isola; di particolare successo fu il suo discorso a Napoli, nel 1889, al congresso delle Società operaie affratellate, nella quale espresse con forza il suo sostegno alle posizioni della Sinistra collettivista; nei suoi comizi era sempre accompagnato dalla figlia quindicenne Marietta, anche lei propagandista e oratrice, straordinariamente animata dalla fede degli ideali emancipativi, che

“parlava col fervore di una missionaria e che per il sesso e l’età suscita sulle masse un vero fascino”. (1)

Catania era una città con una classe operaia attiva a livello organizzativo, dove (come anticipato prima), piccola borghesia urbana e ceti popolari si ritrovavano spesso insieme nelle rivendicazioni. L’associazione democratico-radicale nata anni prima per volere di Napoleone Colajanni, era punto di riferimento politico soprattutto; seppur meglio organizzata però, anche Catania, come Palermo, mancava di una direzione sindacale unitaria, capace di far confluire le lotte in una piena rivendicazione dei diritti degli operai; con la creazione del fascio, tale limite venne abbattuto anche se De Felice volle sempre mantenere il fascio a disposizione di tutti. Spieghiamo meglio questo concetto: come detto nella pubblicazione riguardante il fascio di Palermo, dopo il Congresso di Genova del 1892 e la formazione del Partito dei Lavoratori Italiani, il gruppo dirigente dei fasci, nelle figure soprattutto di Bosco e Montalto (capo del Fascio di Trapani), dichiarò il movimento di ispirazione socialista; De Felice seguì questa linea, tuttavia non accettò la decisione d’espellere la corrente anarchica. D’altronde, il Presidente del fascio catanese, seppur fervente socialista, non nascose mai le sue simpatie nei confronti degli anarchici, adottando così la teoria “delle porte sempre aperte” e definendo il fascio catanese “un’associazione-propaganda”:

“Il Fascio di Catania riunisce delle coscienze da formare, dei lavoratori da conquistare […], non dei soli socialisti da raggruppare” (2)

Nel maggio 1891 dunque, si formava il Fascio siciliano dei lavoratori di Catania; seppur dichiaratamente socialista, lo statuto non fu una esplicita dichiarazione d’amore verso il socialismo, anche se indubbiamente conteneva obiettivi di estrema importanza come gli articoli 2 e 3:

“2) Il fascio dei lavoratori combatte ogni forma di sfruttamento economico; ogni forma di sudditanza; tutti i privilegi.
3) Il Fascio si propone come utilità di immediata attuazione: a) la solidarietà coi lavoratori, la quale li fa forti nella lotta pel diritto al lavoro; b) la cooperativa di consumo; c) l’assistenza collettiva che dà diritto al socio di disporre, a beneficio dei suoi cari, della somma di 400 lire da erogarsi, in seguito, alla sua morte; d) l’istruzione del cuore e della mente, per mezzo di scuole e di conferenze” . (3)

Il fascio di Catania si preoccupò oltre che di rafforzare le sezioni già presenti, anche di coinvolgere quelle classi lavoratrici più sfruttate e non organizzate, come ad esempio i lavoratori delle cave di lava che guadagnavano appena 2 lire al giorno a fronte di 12 ore di lavoro massacrante e soprattutto si preoccupò della provincia e della diffusione dei fasci nei centri rurali; in poco tempo ne nacquero a Paternò, Catenanuova, Regalbuto, Agira (questi tre oggi parte della provincia di Enna), Raddusa, Misterbianco, Tremestieri etneo, Motta Sant’Anastasia, Acireale, Acicalma, Linguaglossa, arrivando a contarne 35 solo nella provincia catanese ; come un fiume in piena, il movimento dei Fasci si diffuse presto anche nella Sicilia sud orientale, specialmente a Siracusa (grazie al lavoro di Luigi Leone) e Ragusa (grazie agli avvocati Di Falco e De Stefano) e alle rispettive province.

La zona rurale orientale era diversa da quella centro-occidentale; se quest’ultima era dominata dal latifondo, quella orientale era prevalentemente a colture trasformate (simile a quella del trapanese), favorendo quindi l’alleanza piccolo borghese e bracciantile. Diversa (ma non troppo) fu quindi la modalità d’azione, come anche la composizione sociale.
Altro aspetto estremamente importante fu quello riguardante i giovani mandriani dei borghi rurali; se infatti nelle zone minerarie i fasci avevano contribuito a denunciare la tragica condizione dei carusi impiegati nelle miniere, nella piana di Catania fu messo in luce il problema dei giovani consegnati dalle famiglie ai massari per la guardia alle mandrie; si trattava di ragazzi costretti a stare 24 ore su 24 con gli animali, tolti dalla scuola e abbandonati a loro stessi. Come per i carusi, anche per i giovani mandriani il pagamento (in questo caso esclusivamente in natura), andava alle famiglie.

Catania, dunque, aprì la strada perla diffusione dei Fasci nella Sicilia orientale. Il Fascio urbano che arrivò a contare quasi diecimila iscritti ottenne diversi successi, tra cui la creazione di cooperative di consumo, la nascita della cassa di assicurazione, la scuola femminile di lavoro e soprattutto il magazzino cooperativo di genere alimentari per i soci; tuttavia, nonostante le continue insistenze da parte del comitato centrale, non si allineò mai totalmente alle direttive del Partito dei Lavoratori Italiani, mantenendo la sua fisionomia iniziale ed in questo fu sostenuto anche dal Fascio di Messina e dai suoi esponenti maggiori, Petrina e Noè che al Congresso di Palermo del maggio 1893 fecero fronte comune contro la decisione del Bosco e degli altri componenti del Comitato Centrale di affiliare il movimento dei Fasci al partito; De Felice venne richiamato più volte, soprattutto per la sua decisione di formare un fascio autonomo dei ferrovieri; tale categoria, particolarmente legata a De Felice, andava a comporre l’organizzazione operaia catanese più attiva e numerosa; il Nostro decise quindi di organizzarli in un fascio parallelo, assumendone la presidenza. Al Congresso di Reggio Emilia del 1893, tuttavia, il partito lo obbligò a inglobarlo nel fascio dei lavoratori. Ancora oggi la decisione di De Felice rimane poco chiara: per quanto i ferrovieri fosse organizzati da tempo, non erano l’unica associazione operaia forte; anche “I Figli della pace”, i fornai, erano una categoria attiva e numerosa, protagonista di diverse battaglie per l’aumento della mercede, eppure vennero inseriti come sezione del fascio senza particolari problemi. Probabilmente per la tipologia di lotte condotte, De Felice pensò di tenerli “autonomi”, assorbendoli nel fascio in un secondo momento.

Fu proprio l’aspetto politico il tallone d’Achille del movimento dei fasci; come lo stesso Renda ha spiegato egregiamente nella sua opera, la confusione politica che si creò soprattutto tra la parte orientale e quella occidentale influì sull’esistenza dei Fasci. Vedremo meglio questo aspetto nella pubblicazione dedicata ai Congressi Palermo.

Il Fascio di Catania venne sciolto nel 1894 insieme a tutti gli altri per opera del governo Crispi e i suoi principali esponenti arrestati e giudicati colpevoli dai tribunali militari.

Note:

1) Carmelo Botta-Francesca Lo Nigro, “Il sogno negato della libertà. I fasci siciliani e l’emancipazione dei lavoratori, Navarra editore, 2015, pag. 5
2) Ibidem, pag. 59
3) Statuto del Fascio dei lavoratori di Catania, in Renato Marsilio, “I Fasci siciliani”, edizioni Avanti, 1954.

Fonti:
Adolfo Rossi, “L’agitazione in Sicilia. Inchiesta sui fasci siciliani dei lavoratori”, Max Kantorowick, Milano, 1894
Renato Marsilio, “I Fasci Siciliani”, edizioni Avanti, 1954
Salvatore Francesco Romano, “Storia dei fasci siciliani”, Laterza, 1959
Francesco Renda, “I Fasci Siciliani 1892-1894”, Piccola Biblioteca Einaudi, 1977
Giuseppe Miccichè, “I Fasci dei lavoratori nella Sicilia sud-orientale, edizioni Zuleima, 1981
Carmelo Botta, Francesca Lo Nigro, “Il sogno negato della libertà. I Fasci siciliani e l’emancipazione dei lavoratori”, Navarra editore, 2015

1 Response
  • Piero Aresta
    9 Aprile 2021

    È assai interessante, anche per mm e pugliese con forti legami affettivi catanesi

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