Fondamentalmente gli italiani amanti del calcio si divido in chi ha visto in diretta Italia-Germania quattro a tre, e chi l’ha vista in differita in quanto tutti almeno una volta, anche solo in sintesi, abbiamo seguito i fatti al cardiopalma di quella che, giustamente, resta una delle pagine più belle della nostra storia calcistica. La così detta “partita del secolo” è però solo una parte di uno dei mondali più avvincenti mai giocati fatto di incontri bellissimi e squadre tra le più forti della storia in particolare una che, a mia opinione, rimane la miglior nazionale ad aver mai giocato una finale di coppa del mondo. Dunque oggi vi racconterò di Messico 1970 l’ultimo mondiale della Coppa Rimet, l’ultimo mondiale di Pelé nonché il mondiale dei tempi supplementari più famosi del calcio italiano.
Nel rispetto del principio dell’alternanza Europa-Sud America, dopo il mondiale inglese la coppa deve tornare sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico e, a conclusione del solito valzer di candidature e abbandoni, restano in gara il Messico e l’Argentina. Questi ultimi rivendicano il diritto divino di ospitare un mondiale dal 1938 e, l’abbiamo visto, nel 1950 boicotteranno il mondiale brasiliano offesi perché la FIFA non aveva atteso la candidatura alternativa di Buenos Aires. Nonostante le aspettative al congresso della FIFA di Tokyo del 1963 vince con ampio distacco, cinquantasei a trentadue, il Messico e tra i voti contro l’Argentina uno dei più pesanti fu quello italiano emesso per vendetta contro l’arbitraggio dell’argentino Brozzi nella coppa intercontinentale 1963 tra Santos e Milan. Il Messico così è l’unico paese insieme al Brasil e alla Germania a realizzare la doppietta Olimpiadi-Mondiali a distanza di soli due anni l’uno dall’altro; infatti i giochi del 1968, quelli del pugno chiuso durante l’inno americano da parte Tommie Smith e John Carlos, si tengono a Città del Messico. Il Messico vuole dare di sé un’immagine di paese moderno e ricco, ma il ’68 è un anno particolare e gli studenti scendono in piazza per protestare contro le ingenti spese per organizzare i due eventi, il 2 Ottobre l’esercito apre il fuoco contro i dimostrati ed è il massacro di piazza Tlatelolco con quasi trecento morti. Lo sport però ha lo stomaco forte è tanto le olimpiadi quanto i mondiali si tengono come se niente fosse successo. I padroni di casa hanno una bella squadretta anche se non c’è più il leggendario portiere Antonio Carbajal che ha disputato cinque mondiali consecutivi (oltre a lui solo altri tre giocatori hanno questo record Buffon, Matthaus e Marquez); non è proprio un estremo difensore imbattibile, ha subito venticinque gol in undici partite ai mondiali, ma in Messico è ancora un eroe nazionale. L’altra qualificata di diritto è l’Inghilterra campione uscente che ha delle legittime aspettative visto che dispone di una squadra più forte rispetto a quella del 1966, che già era una delle nazionali migliori che gli inglesi abbiano mai messo insieme. Ci sono ancora molti degli eroi di Wembley come Moore, Bobby Charlton, Hurst, Banks, Ball e Peters mentre Ramsey si può permettere di mettere in panchina Jacky Charlton e Nobby Stiles perché intanto la difesa è stata rivoluzionata con l’ingresso di Terry Cooper e Alan Mullery nonché i due dell’Everton Brian Labone, una carriera nella squadra di Liverpool, e Keith Newton definiti da Buffa “sobri, ma efficaci”. Succede però qualcosa di imprevedibile: la squadra è andata in ritiro in Colombia per abituare i polmoni all’altura, ma all’hotel di Bogotá una commessa denuncia il furto di un braccialetto ed indica come colpevole Bobby Moore con Bobby Charlton nel ruolo di palo. Ramsey, che lo abbiamo visto non essere sempre molto british nei suoi commenti, sibilerà che Moore, se avesse voluto, si sarebbe potuto comprare la signoria e tutto l’hotel inoltre mai un giocatore inglese della sua nazionale si sarebbe permesso di fare una cosa del genere. La polizia colombiana però crede alla commessa e, quando la nazionale britannica farà scalo di nuovo a Bogotá prima di andare in Messico, arresta Moore che viene messo ai “domiciliari” nella residenza di uno dei dirigenti dei Millionarios. Alla fine Moore verrà scagionato da ogni accusa, pare ci sia stato anche un intervento personale del Primo Ministro Harold Wilson, ma ancora oggi la vicenda non è chiara tra chi parla di un tentativo di sabotaggio della nazionale britannica e chi sostiene invece che Moore abbia coperto la compagna di un altro giocatore. E veniamo alle qualificazioni che, arrivati al terzo racconto di questa serie, dovremmo ormai aver capito non dover mai ritenere scontate. Intanto la FIFA, per evitare un nuovo boicottaggio come nel ’66, ha concesso che la squadra vincitrice della qualificazione africana acceda direttamente al mondiale senza spareggi; il gironcino finale viene vinto dal Marocco che però non è la prima nazionale del continente nero ad andare al torneo in quanto questo primato spetta all’Egitto che giocò nel 1934 il mondiale italiano. Sorpresa viene poi, ancora una volta, dalla qualificazione asiatica: per evitare problemi stavolta la FIFA ha fatto in modo di mettere le due Coree in due gironcini separati, ma quella del Nord capita insieme ad Israele e si rifiuta di giocare con questi anche su campo neutro ritirandosi dalla competizione. Il confronto finale è proprio tra la nazionale israeliana e l’Australia; ad allenare Israele è Emmanuel Scheffer un sopravvissuto all’olocausto che, andando controcorrente ai sentimenti dei suoi connazionali, è tornato negli anni cinquanta in Germania divenendo allievo di Hans Weisweiler allenatore del grande Borussia Monchengladbach (l’altro suo allievo fu Rinus Michels). Israele vinse a Tel-Aviv e pareggiò a Sidney guadagnandosi la sua prima, e ad oggi unica, partecipazione ad un mondiale di calcio. Qualificazioni europee invece anche questa volta abbastanza ordinarie, eccezion fatta per i ritiri di Islanda nel nostro girone e di Malta; la grande sorpresa è la mancata qualificazione del Portogallo, semifinalista in Inghilterra nel ’66, che arriva ultimo nel suo girone non certo di ferro composto da Svizzera, Grecia e Romania quest’ultima che stacca il biglietto per il Messico. Le altre squadre europee qualificate sono la Cecoslovacchia, l’Italia, l’URSS, la Svezia, il Belgio (che elimina Jugoslavia e Spagna), la Germania Ovest e la Bulgaria. In Sud America l’Argentina rimedia una figuraccia arrivando ultima nel suo girone che vede il passaggio del Perù (un fortissimo Perù come vedremo), il Brasile passeggia sui suoi avversari arrivando primo imbattuto segnando ventitré gol ed infine l’ultimo girone viene anch’esso vinto senza troppi patemi dall’Uruguay. Incredibile invece quanto succede nella qualificazione Nord/Centro America e Caraibi; qui di solito il Messico la fa da padrone, ma essendo qualificato d’ufficio come paese ospitante per la prima volta si apre una possibilità per le altre nazionali. Ai gironi semifinali però si incontrano El Salvador e Honduras due paesi le cui relazioni stanno attraversando un momento difficilissimo in quanto, pochi mesi prima delle due partite di qualificazione, il governo honduregno, per placare gli animi dei campesinos stritolati dai grandi latifondisti, decreta l’espulsione e la confisca dei beni ai 300.000 emigrati salvadoregni che lui stesso aveva incoraggiato a venire due anni prima per avere manodopera a basso costo. I tifosi delle due nazionali non fanno molta distinzione tra calcio e politica così che gli incontro si giocano in un clima che si ripeterà solo nella Jugoslavia degli anni immediatamente precedenti al crollo. Le due nazionali, quando devono andare nel paese avversario, si trovano praticamente assediate nei loro alberghi contro cui sono lanciati rifiuti, animali morti e bombe carte mentre, per andare allo stadio per giocare l’incontro, devono essere scortate da un esercito di poliziotti (addirittura gli honduregni ci arriveranno a bordo di carri armati). L’andata a Tegucigalpa viene vinta uno a zero dall’Honduras e il clima viene ulteriormente avvelenato in quanto la figlia diciottenne di un generale salvadoregno si suicida per l’umiliazione della sconfitta divenendo subito eroina nazionale con tanto di funerale di stato. Il ritorno a San Salvador viene vinto dai salvadoregno e quindi, non essendoci all’epoca la regola della somma dei gol delle due partite, bisogna giocare uno spareggio sul campo neutro dell’Azteca. I messicani mobilitano cinquemila poliziotti per tentare di tenere sotto controllo i tifosi che però riuscirono comunque a entrare in contatto e dare luogo a degli scontri. La partita, combattutissima, viene vinta da El Salvador ai tempi supplementari e poche ore dopo il governo honduregno rompe le relazioni diplomatiche con il vicino; ancora altri diciotto giorni e El Salvador invaderà l’Honduras. Ryszard Kapuscinski, in una celebre raccolta di suoi articoli, battezzerà il conflitto la “prima guerra del footoball” scrivendo “I due governi sono rimasti soddisfatti della guerra, perché per qualche giorno Honduras e Salvador hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e suscitato l’interesse dell’opinione pubblica internazionale. I piccoli Stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue”, frase ancora oggi attualissima. Il conflitto sarà breve, durerà appena quattro giorni prima che l’OSA imporrà un cessate il fuoco, ma intanto quasi tremila tra militari e civili sono rimasti sul campo; per la fredda cronaca alla fine El Salvador batterà anche Haiti e si qualificherà a Messico ’70.
Il 31 Maggio 1970 allo Estadio Azteca di Città del Messico si apre la nona edizione dei campionati mondiali di calcio. Grande è la preoccupazione per l’effetto che l’altitudine potrà avere sulla competizione; molte partite infatti si dovranno giocare ad oltre 2.000 metri sul livello del mare e si teme che la rarefazione dell’aria possa influire sulla tenuta atletica dei giocatori e, indirettamente, sul livello di gioco delle squadre più rapide a stancarsi. Invece, e lo dimostrerà proprio la semifinale dell’Italia, le compagini sembrano abituarsi abbastanza bene all’inconveniente e l’unico risultato che si produce è quello di dar luogo a degli incontri molto agonici in cui le formazioni danno veramente fino all’ultima briciola d’energia sul campo. Ben più insidiosa invece, in particolare per le formazioni europee, sarà la maledizione di Montezuma… un avviso se mai andrete in centro o Sud America fate molta attenzione a ciò che mangiate o bevete perché se sbagliate un alimento passerete tre giorni a rimpiangere di essere nati. La “maledizione” è una violentissima colica con annessa febbre, disidratazione e, nei casi peggiori, vomito ematico dovuta all’ingestione di cibo contaminato da materiale fecale infetto. Molti medici delle squadre non americane non sono a conoscenza della malattia e così, nei primi giorni, i giocatori mangiano e bevono senza pensare verdure crude, acqua corrente e bevande con ghiaccio ritrovandosi a fare la spola tra camera da letto e gabinetto. Il torneo è ancora strutturato con la prima fase a quattro gironi eliminatori nei quali passano le prime due classificate. Il girone uno vede i padroni di casa messicani affrontare i sovietici, il Belgio ed El Salvador all’Azteca; è un girone senza troppo da raccontare: URSS e Messico pareggiano lo scontro diretto d’apertura e poi vincono entrambe gli altri incontri passando a pari punti. Giusto per chi interessa il mero dato statistico il sovietico Anatoliy Puzach è il primo giocatore ad essere sostituito durante una partita dei mondiali, la FIFA ha appena cambiato il regolamento in merito, mentre il Belgio, battendo tre a zero El Salvador, ottiene la sua prima vittoria nella competizione nonostante sia la quinta edizione a cui prende parte. Il secondo girone, giocato tra Puebla al Cuauhtemoc e Toluca al Luis Dosal, è estremamente intrigante ospitando Uruguay, Svezia, Israele e noi e sugli azzurri dobbiamo aprire un capitolo perché la spedizione, ancor prima di sbarcare in Messico, è già 0ggetto di discussioni sostituendo, per tre mesi, la strage di stato, la contestazione e le altre inquietanti ombre che stanno avvolgendo l’Italia in quel momento. Abbiamo una gran bella squadra che è sostanzialmente quella che ha vinto l’Europeo nel ’68 contro la Jugoslavia, riportando in Italia un trofeo internazionale per la prima volta dai tempi di Pozzo. Davanti dunque dovrebbero giocare Gigi Rivi e Pietro Anastasi, ma il giorno della partenza un massaggiatore colpisce per scherzo Anastasi nelle parti bassi e al giocatore della Juventus si gonfia subito un… testicolo… costringendolo ad un’operazione d’urgenza. Al suo posto convochiamo due giocatori (?!?) uno del Milan, Pierino Prati, e uno dell’Inter, Roberto Boninsegna, quindi partiamo in ventitré con la consapevolezza che qualcuno dovrà tornare a casa e dovrà essere per equilibri geopolitici per forza o uno del Milan o uno dell’Inter. Buffa racconta che già sull’aereo diretto verso il Messico Giovanni Lodetti, ottimo centrocampista del Milan, fa due più due ricapitolando gli altri convocati delle due milanesi e, nonostante le rassicurazioni di Enzo Bearzot e Azeglio Vicini che sono i due secondi di Valcareggi, inizia a temere che sarà lui a finire già dalla torre. Ulteriori indizi lì ha quando la moglie dall’Italia gli comunica che i giornali lo danno già per escluso e così, quando una sera un’massaggiatore gli dice che lo vogliono di sopra, lascia la stanza dicendo “Tranquilli, hanno scelto me.”. Ovviamente la FIGC non perde un occasione per perdere un occasione è fa una figura barbina cecando di comprare il perdono del giocatore offrendogli una vacanza pagata a lui e alla moglie ad Acapulco, Lodetti li manda a…, giustamente, e se ne torna subito in Italia dove però, da vero professionista di un’altra epoca, non farà polemiche sulla stampa per non destabilizzare ulteriormente l’ambiente della squadra impegnata nella competizione. Una cosa però va ricordata: subito dopo l’esclusione ad andare a parlare con Lodetti non fu un suo compagno del Milan, ma un interista grandissimo giocatore e grandissimo signore cioè Giacinto Facchetti che dirà solo “Non entro nel merito, sono cose che succedono, siamo professionisti. Ma il mio numero di telefono lo conosci, qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno chiamami.”… ci manca come l’acqua questo genere di persone nel calcio di oggi. Comunque torniamo alla squadra oltre a Facchetti in difesa c’è ovviamente l’altro interista, Tarcisio Burgnich, oltre a Pierluigi Cera e Roberto Rosato come centrali, con Fabrizio Poletti prima alternativa, e in porta la certezza offerta da Albertosi; non è un caso che fino alla finale col Brasile la nostra sarà la migliore difesa del torneo. Anche il centrocampo offre ampie garanzie con Bertini che, a necessità, supporta la difesa, insieme a De Sisti e Domenghini che con il loro fraseggio e organizzazione del gioco preparano i palloni per l’ultimo atto di Boninsegna e Riva quest’ultimo però, stando a Gianni Brera, arriva non al meglio al mondiale in quanto ha avuto una relazione con una donna sposata e il marito di lei ha scoperto tutto poco prima della partenza per il Messico… diciamo che agli inizi “rombo di tuono” non ha la testa tutta sulla competizione. Poi però che il grande enigma, il motivo del contendere dell’intero paese; chi deve essere il nostro numero dieci: Rivera o Mazzola? Non è questione da poco perché l’uno o l’altro ti cambiano la fisionomia della squadra in quanto Mazzola rientra e va a supporto della difesa mentre Rivera con la sua visione di gioco fa sicuramente felice le punte, ma è “l’Abatino” sempre di Brera e non va a rinforzo del catenaccio che è il nostro schema. La squadra, come l’Italia, è spaccata in due e lo stesso Rivera non contribuisce a stemperare gli animi rilasciando interviste di fuoco dopo l’esclusione di Lodetti che lui considera la premessa per un suo mancato utilizzo; a un certo punto sembra addirittura a un passo dal lasciare il Messico e deve salire in tutta fretta su un aereo Nereo Rocco per convincere il suo pupillo a non fare quella sciocchezza anche se Rivera negherà sempre la circostanza. Nei primi giorni sarà Montezuma a togliere Valcareggi dall’imbarazzo fermando Rivera, ma nel girone siamo poco incisivi in quanto battiamo uno a zero la Svezia e poi pareggiamo a reti bianche sia con Israele che con l’Uruguay; arriviamo primi, ma proprio la poca creatività in avanti spingerà Valcareggi ad adottare il suo “uovo di Colombo”: la celebre staffetta. Di questa scelta tattica si discute ancora oggi tra chi la ritiene valida e chi la pensa un artifizio che, alla lunga, fece più male che bene agli azzurri; va detto che Buffa ha ragione quando dice che la staffetta aveva un suo perché tattico in quanto nella prima fase della partita, quando le squadre sono più fresche e compatte, Mazzola garantisce la tenuta della retroguardia mentre nel secondo tempo, quando iniziano ad aprirsi gli spazi, l’ingresso di Rivera creerà quelle occasioni da cui potranno nascere i gol. Oltre a noi si qualifica l’Uruguay che conclude a pari punti con la Svezia, ma passa per la migliore differenza reti; Israele arriva ultimo avendo però pareggiato due partita e persa solo una al ritorno a casa i giocatori sono accolti come eroi. Il terzo girone è sicuramente il più interessante di tutti perché, insieme a Romania e Cecoslovacchia nel ruolo di comparse, abbiamo i campioni in carica dell’Inghilterra e il Brasile. Degli inglesi abbiamo già detto per cui possiamo focalizzarsi sui brasiliani, che vivono nel premondiale tante di quelle vicende da far pensare che possano giungere i Messico in uno stato di tensione interna peggiore di noi (magari…). Il Brasile è dal 1964 sotto dittatura militare, ma l’allenatore della squadre, scelto da Joao Havelange potentissimo presidente della Federazione e braccio destro di Sir Stanley Rous alla FIFA, è Joao Saldanha persona non certo gradita alla Junta che governa il paese. Saldanha è infatti non solo un allenatore, ma un giornalista con idee esplicitamente di sinistra inoltre, come Bearzot nel 1982, segue la sua impostazione per la squadra non dando ascolto a niente e a nessuno. Così Dario “Dadà Maravilha”, il giocatore preferito del generale Medici uomo forte della Junta, resta a casa e quando Medici se ne lamenta la risposta è “Senta lei si preoccupi dei suoi ministri, che dei miei calciatori mi preoccupo io.”; inoltre Saldanha ritiene che Pelé non sia più determinante, secondo lui è miope, e per questo lo tiene spesso in panchina durante le qualificazioni preferendogli Tostao e scatenando l’indignazione della stampa anche perché nel Novembre 1969 O Rei ha segnato il suo millesimo gol. Saldanha guida magnificamente la squadra nelle qualificazioni dandolo un ritmo di gioco magnifico e rendendola devastante contro ogni avversario, ma è chiaro che in un paese sotto dittatura una personalità così carismatica e non allineata sia vista come fumo negli occhi dal governo che imbastisce una campagna stampa contro di lui. I giornali si prestano volentieri visto che anche loro non tollerano che l’allenatore faccia orecchie da mercante ai loro consigli sulla squadra; così dopo quattrocentosei giorni di panchina, in cui non ha perso una delle dodici partite giocate, Saldanha viene esonerato e sostituito da Mario Zagallo. Zagallo completa l’impostazione della squadra adottando il “calice” un modulo di gioco inventato da Zezé Moreira ottimo in quanto permette al tecnico di giocare davanti con cinque numero dieci. Quando nell’introduzione parlavo di ” miglior nazionale ad aver mai giocato una finale di coppa” mi riferivo proprio al Brasile: la difesa è a quattro con Carlos Alberto, Brito, Everaldo e Piazza quest’ultimo doveva fare il mediano, ma è scalato indietro perché si è fatto male Fontana; davanti alla difesa Clodoaldo che, teoricamente, dovrebbe essere un trequartista, ma per sovrabbondanza di gente in questo ruolo sia nel Santos che in nazionale fa il frangiflutti davanti alla difesa e vendendolo giocare sembra non ci sia nulla di strano. Poi il quintetto lì davanti, una concentrazione di talenti vista poche volte in una sola formazione: a destra Jairzinho l’erede di Garrincha, e già con questo ho detto tutto, anche lui è trequartista venendo però riciclato in nazionale in ala che segna e crossa indifferentemente, subito dopo c’è Gerson, l’organizzatore del gioco con un piede sinistro indicato in patria “de ouro”, Tostao, alle cui vicende Yoichi Takahashi si ispirerà per il personaggio di Roberto in Holly e Benji, Rivelino come ala sinistra, grande driblatore (si dice abbia inventato la mossa dell’elastico) non veloce però dotato anche lui di un piede sinistro alieno, ed infine ovviamente Pelé il cui approfondimento rimando al suo primo mondiale in Svezia nel 1958 perché ci sarebbe troppo da dire. Con una nazionale del genere, che arriva al torneo col retroterra che abbiamo visto, gli esiti possono essere solo due: o un nuovo Maracanazo o una vittoria come non se ne erano mai viste in un mondiale. La partita davvero interessante nel girone, anche se la Romania fa un non scontato tre a due con la seleçao, è ovviamente Inghilterra-Brasile per il primo posto; è una partita bellissima in cui ci sono almeno due azioni consegnate alla storia del calcio. Al quarto d’ora Jairzinho si lancia sulla fascia ed entra in area fino alla linea di fondo campo, Banks è sul palo pronto a coprire nel caso il brasiliano dovesse rientrare per tirare, invece l’ala crossa sul secondo palo dove Pelé la incorna di testa e la palla rimbalza a terra diretta verso la rete se non ché il portiere inglese vola da un palo all’altro respingendola praticamente sulla linea. Lo stesso o Ray andrà a complimentarsi con l’avversario per quella che ancora oggi è indicata come la parata del secolo. Al cinquantanovesimo però infine il Brasile va in vantaggio: Pelé riceve la palla ai limiti dell’area e con un solo magnifico movimento controlla, si gira e passa a Jairzinho che, non notato, accorre da destra e tira una cannonata che chiude l’incontro. Anche nel quarto ed ultimo girone ci sono due squadre, Bulgaria e Marocco, fatalmente destinate a fare da mere comparse al duo Germania Ovest e Perù. I tedeschi, come anche gli inglesi, sono molto più forti rispetto al ’66 in quanto adesso in porta c’è Sepp Mair e al nucleo dei finalisti di quattro anni prima, Overath, Seeler, Schnellinger, Haller, Held e Backenbauer, si sono aggiunti Berti Vogts in difesa mentre a centrocampo ed in attacco ci sono Libuda e Grabowski. L’uomo però veramente in più della Germania e un coetaneo di Beckenbauer che gioca sempre nel Bayern: Gerd Muller. Lo jugoslavo Cajkovski, che allenò i bavaresi del ’63 al ’68, quando lo vide per la prima volta lo considerò adatto a fare solo il raccattapalle… in effetti a Muller sembrava mancasse tutto per poter essere un campione dato che non sapeva driblare, non aveva un tiro di forza o di eleganza e nemmeno una velocità esplosiva, ma una cosa l’aveva: un’intelligenza che gli forniva una visione di gioco tale da fargli sempre sapere dove doveva posizionarsi per essere decisivo. Così se un pallone vagava in area apparentemente senza meta nove volte su dieci Muller, anche in modo sgraziato e non piacevole a vedersi, trovava il modo per correggerlo in rete; i freddi numeri parlano da soli: detiene il record di più gol segnati nella Bundesliga (365), è il secondo miglior marcatore di una fase finale dei mondiali (14) e fino agli anni 2000 ha detenuto il record di gol segnati nelle coppe europee (62). Anche il Perù è una bella squadra, sicuramente è la nazionale andina più forte mai andata a un mondiale, con Teofilo Cubillas, che Pelé indicherà come il suo erede, Hugo Sotil e Hector Chumpitaz un difensore con il vizio del gol ancora oggi ritenuto uno dei quattro difensori più forti del Sud America di lingua spagnola (gli altri sono Passarella, Nasazzi e Elias Figueroa). Il girone nei fatti è un soliloquio tedesco-peruviano, allo scontro diretto Muller ne fa tre e così la Germania Ovest si qualifica per prima costringendo il Perù a giocarsi i quarti contro il Brasile in una partita che non è come le altre. Il motivo è che un anno prima del mondiale i peruviani erano andati a giocare un’amichevole al Maracanà contro la seleçao; gli andini dominano l’incontro due a uno finché, alla metà del secondo tempo, Gerson sbriciola la gamba di Orlando della Torre detto “El Chito” con un intervento che non è né da cartellino rosso né da cartellino nero, ma da codice penale. Si accende una rissa che dura quaranta minuti finché non interviene Havelange in persona per supplicare il Perù di concludere l’incontro che finirà tre a due per il Brasile. Perché vi racconto questo? Perché nel ’70 l’allenatore del Perù è il brasiliano Valdir Pereira meglio noto agli annali come Didì uno dei grandi del Brasile del ’58 e del ’63, ma la sera prima della partita Didì riceve una telefonata dalla moglie che gli dice che sotto casa c’è della brutta gente che ha parlato della partita e di loro. Ora nessuno può sapere come si concluderà l’incontro, ma una cosa è certa e cioè che “El Chito” non farà concludere a Gerson la partita con entrambe le gambe sane il che vuol dire Gerson fuori per il resto della competizione; così nello spogliatoio prima della partita Didì mette fuori squadra “El Chito” giustificandosi che non gli era piaciuto come Muller lo aveva messo in difficoltà nell’incontro precedente. Il peruviano gli salta addosso insultando lui, la madre di lui e tutto il Brasile mentre i compagni lo tengono, ma più che altro perché devono in quanto hanno intuito ciò che è successo. L’incontro, per quanto bello, non è come avrebbe potuto davvero essere in quanto la difesa peruviana, senza “El Chito” e sentendosi tradita, non regge alla pressione dei brasiliani subendo quattro reti, ma come già per Israele anche il Perù tornerà a casa accolto da trionfatore. Altro quarto interessante è Germania Ovest-Inghilterra rivincita della finale di Wembley di quattro anni prima; gli inglesi al quarantanovesimo sono in vantaggio di due a zero, ma nel secondo tempo i tedeschi recuperano con Beckenbauer e Seeler andando così ai tempi supplementari. Stavolta non c’è il gol fantasma, ma c’è Gerd Muller e i tedeschi volano in semifinale. Anche l’Uruguay ha bisogno dei supplementari per superare l’URSS mentre noi andiamo contro i padroni di casa del Messico. Può essere uno scontro molto difficile per il tipico vantaggio ambientale della squadra ospite, ma i messicani commettono l’errore di giocare con gli stessi ritmi dell’Azteca a Toluca, nonostante la città sia ad un’altezza minore, e così passano subito in vantaggio stancandosi però già alla mezz’ora del primo tempo. Noi pareggiamo grazie ad un autogol e poi nel secondo tempo, con un avversario esausto, dilaghiamo con Rivera che segna e crea le condizioni per la doppietta di Riva. Così si giunge alle semifinali le prime della storia della competizione in cui tutte e quattro le squadre hanno già vinto un mondiale inoltre, avendo Uruguay, Brasile ed Italia vinto due volte a testa il torneo, dovesse una di queste nazionali vincere anche la finale si porterebbe a casa definitivamente la Coppa Rimet in quanto la terza vittoria è quella definitiva. Originariamente il programma era che all’Azteca si dovesse giocare Brasile-Uruguay, mentre allo Jalisco di Guadalajara Italia-Germania; ma la seleçao ha giocato il girone a Gudalajara facendo innamorare la città col suo gioco e così i politici locali chiedono e ottengono l’inversione della sede delle partite. Brasile-Uruguay si gioca a vent’anni dal maracanazo, ma lo spazio per sviluppi teatrali o epici è limitato dall’esplosività tecnico-creativa dei verdeoro anche se, dopo diciannove minuti, Cubilla si permette anche di portare in vantaggio la celeste. Il portiere brasiliano Felix è un po’ l’intruso della squadra, come se Zagallo non si sia premurato di trovare un’estremo difensore a livello degli altri dieci giocatori nella certezza che, qualsiasi cosa succeda, quelli davanti rimedieranno sempre. Presunzione? Beh a vedere il resto dell’incontro si può dire di no perché non appena i brasiliani cambiano passo segna Clodoaldo, Jairzinho e Rivelino mentre Pelé si “permette” di fare una giocata che forse solo il fatto che non si concluda in gol impedisce di considerarla una delle dieci cosa più belle mai viste su un campo di calcio. Accade che la difesa uruguagia ha lasciato una prateria davanti all’area di rigore e Tostao, vedendo Pelé, passa in profondità, il portiere dell’Uruguay Mazurkiewicz dirà in seguito “questo maledetto brasiliano mica guardava me, mica guardava il pallone, guardava da un’altra parte. Io non sapevo che fare nell’uscita, ho rischiato anche di rompermi i legamenti del ginocchio”; o rei non aggancia, ma incrocia il pallone in corsa e, superato Mazurkiewicz, ruota alle spalle del portiere per recuperare e tirare… esce di pochissimo, ma ciò non toglie nulla alla bellezza del gesto tecnico. Contemporaneamente a Città del Messico Germania ed Italia stanno giocando LA partita; parte del fascino di questa semifinale fu dovuto al fatto che fu una delle prime partite di massa: la diretta era la sera e quindi, essendo fine Giugno, furono in molti di ogni età a potersi sedere davanti al televisore a vedere l’incontro narrato dalla voce professionale di Nando Martellini. Otto minuti sul cronometro e c’è un triangolo fuori area tedesca, dove tocca col petto anche un loro difensore, e Boninsegna tira da fuori di sinistro battendo Mair… uno a zero vedi che la risolviamo facile. A volte si dice che dopo il nostro vantaggio per i successivi settanta minuti fino alla fine non successe niente… non successe niente nell’area dei tedeschi perché nella nostra ci fu un assedio. Beckembauer si fa male a metà del primo tempo, lussazione alla spalla, ma resta in campo in campo con il braccio fasciato calando pochissimo come rendimento, forse solo quanto basta per renderlo meno devastante del solito. Nel secondo tempo, con l’ingresso di Rivera, davanti alla porta di Albertosi succedono cose dell’altro mondo: Overath prende una traversa assurda, Grabowski tira e Albertosi è battuto, ma Rosato salva sulla linea… non so bene come, mezza rovesciata? sforbiciata? boh… Seeler viene abbattuto in area fortunatamente l’arbitro peruviano-giapponese Yamasaki non si accorge di nulla e infine il quasi infarto assoluto perché Albertosi rinvia affrettatamente e colpisce la schiena di Seeler, la palla va verso la porta e Muller è pronto a castigarsi, ma il portiere del Cagliari la spinge via col piede in tuffo mezzo secondo prima che sia il tedesco a toccarla (non scherzo guardate la ripresa ingrandita, Albertosi la tocca di un nonnulla di vantaggio). Siamo al novantesimo è quasi finita, ma come quattro anni prima a Wembley coi tedeschi è finita solo quando l’arbitro fischia; rimessa laterale la palla va a Grabowski che crossa in area e, di nuovo come quattro anni prima, lì c’è Karl-Hainz Schnellinger che si libera della marcatura di De Sisti e batte a rete in salto… uno a uno si va ai supplementari. Supplementari che iniziano sul medesimo spartito dei tempi regolamentari, intanto esce Rosato ed entra Poletti, e a un certo punto Seeler la appoggia di testa in mezzo all’area, la nostra difesa pasticcia (Albertosi non esce, Cera la copre, Poletti va in confusione) e Muller sgraziato come sempre la tocca in qualche modo facendogli cambiare traiettoria e mandandola in rete. Credo che a questo punto ci sia stato uno dei picchi di bestemmie mai pronunciate nello stesso momento in Italia… molti avranno pensato “e quando la recuperiamo, questi ci stanno prendendo a pallonate!”, ma chi di errore difensivo ferisce… punizione al limite di Rivera che la butta in area, Held involontariamente la appoggia Burgnich che, trovandosi praticamente davanti al portiere, tira d’istino e pareggia. Credo di aver segnato una volta allo stesso modo a calcetto, solo che quella volta erano gli “sviluppi” di un calcio d’angolo, ricordo che il portiere avversario esclamò “ma questo da dove c… è uscito!” e guardando i giocatori tedeschi credo abbiano pensato lo stesso. Altri cinque minuti e Rivera lancia Domenghini sulla fascia che appoggia a Riva il quale controlla con la coscia, finta Schnellinger, si allarga e tira… siamo di nuovo in vantaggio, ma mica è finita. Secondo tempo supplementare calcio di punizione da sinistra e Seeler la sta per mettere di testa all’angolino altro se non che, sempre Albertosi, la butta via con un colpo di reni in calcio d’angolo. Sul primo palo va a coprire Rivera, la palla arriva alta in area dove Seeler colpisce di testa e Muller corregge (con un capello? boh non ho mai capito come l’abbia sfiorata) mandandola esattamente tra il palo e il fianco di Rivera che si era spostato lasciando un buco di buon un metro. Il milanista si attacca al palo battendo la testa mentre Albertosi lo infama in tutti i modi possibili, in seguito Rivera dirà di aver pensato che se non segnava non lo facevano rientrare in Italia e per questo avrebbe voluto subito la palla per andare a rete. La palla effettivamente gli arriva, ma fortunatamente non ha un delirio di onnipotenza e la gioca così che Facchetti può lanciare Boninsegna sulla fascia. Bonimba salta Schulz con il fiato che gli resta e la mette a centro area rasoterra dove proprio Rovera batte quello che di fatto e un calcio di rigore, la palla va a sinistra mentre Mair a destra.. quattro a tre. Mentre Martelli festeggia dicendo “che meravigliosa partita” nel sottofondo della telecronaca si sente distintamente una voce che, tra l’esultanza e il pianto, urla quattro volte “Vinciamo!”…. è la voce dell’intera Italia in quel momento. I tedeschi, a oltre 2000 metri e dopo quasi due ore di gioco, non hanno il fiato per recuperare una quarta volta e così andiamo noi in finale, la prima che giochiamo in un mondiale dal 1938. A volte si dice che in quell’incontro noi partivamo svantaggiati perché stanchi per i supplementari dell’Azteca, ma la finale si tiene quattro giorni dopo… sì forse le nostre gambe erano ancora affaticate, ma ciò non toglie che il problema principale era che quel Brasile giocava un calcio che gli inglesi avevano definito così bello da dover essere dichiarato illegale. Probabilmente Buffa ha ragione quando dice che l’unico modo per vincerla era giocare a zona, ma nel ’70 la zona non si sa neanche cosa sia e quindi la nostra difesa marca ad uomo quei cinque li davanti che non devono far altro portare a spasso Facchetti e compagni creando così lo spazio per l’inserimento di quelli che stanno dietro. Il primo tempo è abbastanza equilibrato anche se vedi che la seleçao ha un altro passo, i brasiliani quasi camminano fino alla nostra area di rigore per poi accelerare all’improvviso. Diciottesimo e c’è una rimessa laterale, Rivelino crossa al volo e nella nostra area salta Pelé… Burgnich dirà “Io pensavo fosse un essere umano. Salto, salto, salto, istintivamente alzo il braccio. Quando poi la forza di gravità mi richiama a terra, lui è ancora lassù.” è l’ultimo gol di o rei a un mondiale. I brasiliano però a volte sono troppo leziosi ed alcuni di loro eccedono in giocate meramente piacevoli alla sguardo, al trentasettesimo Clodoaldo azzarda un colpo di tacco assolutamente inutile facendosi rubare la sfera da Boninsegna che scatta in contropiede, quasi si scontra con Riva mentre Felix esce male e Bonimba riesce a pareggiare. A casa alcuni si saranno detti “dai che magari se riusciamo a segnare ancora, poi dobbiamo solo reggere fino alla fine”, ma in campo si sente che, al contrario del 1950, il pareggio non ha per nulla scosso di brasiliani che continuano a giocare ai loro ritmi. Rivendendolo per intero il primo tempo si conclude in maniera più che dignitosa per noi, Riva ha fatto anche un bel tiro da fuori che ha impensierito non poco Felix, ma nello spogliatoio Zagallo dice ai suoi di continuare con ciò che stanno facendo, cioè spostare la difesa italiana e inserire, solo cambiando passo. E in effetti quando inizia il secondo tempo si vede che il livello tra le due squadre non è lo stesso e al sessantaseiesimo Gerson spara una fucilata da fuori area che batte Albertosi. Di fatto la nostra partita finisce qui, non ne abbiamo per recuperare una seconda volta con questi che arrivano da tutte le parti con cambi di velocità improvvisi assolutamente ingestibili. Appena cinque minuti dopo di nuovo Gerson passeggia con la palla a metà campo poi, all’improvviso, lancia lungo verso la nostra area dove Pelé la sponda di testa a Jairzinho che, inseguito da Fachetti, semplicemente la spinge in porta. Stando a Brera a questo punto alcuni brasiliani vorrebbero torearci, ma altri, per rispetto alle loro lontane origini italiane, impongono che si continui a giocare e ne nasce un gol maestoso: Tostao passa a Pelé che attira su di sé la difesa azzurro, o rei sembra sul punto di scattare e invece scarica sulla destra dove, non visto, sopraggiunge Carlos Alberto che colpisce al volo e chiude l’incontro. O meglio chiuderebbe l’incontro se non ci fosse ancora spazio per un’ultima polemica in casa italiana: a sei minuti dalla fine Valcareggi fa entrare Rivera al posto di Boninsegna. Ancora oggi quei sei minuti sono argomento di discussione; il commissario tecnico si giustificherà dicendo “Ho rinviato di minuto in minuto l’inserimento di Rivera perché avevo non solo Bertini con un leggero stiramento inguinale, ma anche Cera che stava male, e mi sembrava mancasse più tempo alla fine.”, ma in molti sospettano che lo scopo sia quello di rendere anche il milanista in qualche modo corresponsabile della sconfitta così da fargli pagare le polemiche d’inizio torneo.
Il Brasile così vince il suo terzo mondiale e vince definitivamente la coppa Rimet, un Brasile mostruoso quello che ha attraversato gli anni ’60 in grado di vincere tre mondiali su quattro giocati (’58-’62-’70) e di essere l’unica altra formazione insieme all’Italia di Pozzo a bissare il successo nella competizione. Contro questi l’unica speranza era un secondo Maracanzo o un 1982 anticipato, ma in assenza di congiunture particolari di questo tipo era semplicemente impossibile batterli. La coppa però non troverà pace perché nel 1983 sarà di nuovo rubata dalla sede della Confederazione calcistica brasiliana per essere fusa in una serie di piccoli lingotti d’oro dai ladri.
BIBLIOGRAFIA:
- Federico Buffa, Nuove storie mondiali
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