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STORIA DEI FASCI SICILIANI DEI LAVORATORI – I CATTOLICI DI FRONTE AI FASCI E LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO SOCIALE IN SICILIA

Di Carlo Bonaccorso

Nell’ultimo lavoro si è discusso a fondo dello stato d’assedio imposto dal governo Crispi in Sicilia che di fatto decretò la fine del movimento dei Fasci siciliani dei lavoratori.1

Tuttavia, le classi popolari avevano ormai preso consapevolezza del proprio ruolo e nonostante gli arresti e l’emigrazione che tra fine Ottocento e inizio Novecento raggiunse livelli altissimi2, in Sicilia le lotte sociali continuarono. E non furono più una prerogativa socialista. Se il grosso del clero cattolico, in quegli anni, era perfettamente integrato all’interno dei poteri dominanti, molti furono i preti di campagna che si resero conto delle ingiustizie subite dalle classi popolari, condividendone le lotte e parlando un linguaggio socialisteggiante. Lo scioglimento dei Fasci siciliani dei lavoratori avvenuto nel 1894 per opera del governo Crispi3 non mise fine al processo d’emancipazione della classe lavoratrice siciliana, in particolar modo per quanto riguardava la classe contadina.

Dopo aver subito la confisca dei beni degli enti religiosi per volere del nuovo stato italiano e dopo aver constatato l’avanzata del socialismo e l’immobilismo dei preti di fronte alla questione sociale, i cattolici decisero di affrontare il problema con quello che potremmo definire “un salto di qualità” ovvero il cristianesimo sociale. Spesso accomunati ai padroni, i preti, fino all’esplosione del movimento socialista dei fasci, salvo eccezioni, non si schierarono mai con le classi umili nella difesa dei diritti sociali, decretando di fatto un allontanamento dalla religione cattolica di numerose fasce della popolazione che in Gesù Cristo vedevano il primo socialista e che per questo, accettavano la propaganda di Bosco e compagni.4In alcuni casi il rifiuto verso il cattolicesimo spinse i lavoratori verso l’ateismo o verso altre fedi religiose che dimostrarono una maggiore vicinanza e solidarietà nei confronti del popolo, come ad esempio a Grotte, dove il predicatore valdese Stefano Di Mino, intorno agli anni Settanta dell’Ottocento fondò il Circolo Operaio chiamato Savonarola che raccolse i minatori del paese e sostenne le loro giuste rivendicazioni.5

Se il rapporto tra Chiesa e popolo andava deteriorandosi, la fede sarebbe invece rimasta invece uno dei perni centrali della vita contadina in Sicilia. Ne fu testimonianza l’intervista fatta dal giornalista Adolfo Rossi alle donne iscritte al Fascio di Piana dei Greci e pubblicata nel suo lavoro L’agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei lavoratori:

-Cosa sperate dai Fasci?

La risposta arrivò da una giovane contadina sposata:

-Vogliamo che, come lavoriamo noi, lavorino tutti, e non vi siano più né ricchi né poveri. Che tutti abbiano del pane per sé e per i figli. Dobbiamo essere eguali. Io ho cinque bambini e una sola cameretta, dove siamo costretti a mangiare, a dormire, tutto, mentre tanti signori hanno dieci o dodici camere, dei palazzi interi.

-E così vorreste dividere le terre e le case?

-No, basta metterle in comune e distribuire con giustizia quello che rendono.

Nel chiedere quale era il rapporto con i preti la giovane donna rispose:

-Gesù era un vero socialista e voleva appunto quello che chiedono i Fasci, ma i preti non lo rappresentano bene, specialmente quando fanno gli usurai. Alla fondazione del Fascio i nostri preti erano contrari e al confessionale ci dicevano che i socialisti sono scomunicati. Ma noi abbiamo risposto che sbagliavano, e in giugno, per protestare contro la guerra ch’essi facevano al Fascio, nessuno di noi andò alla processione del Corpus Domini. Era la prima volta che avveniva un fatto simile.6

Filippo Turati, una delle figure più importanti del socialismo italiano ebbe a dire:

Con l’indole sulfurea di quelle popolazioni, e colla partecipazione delle donne al movimento – delle donne, la cui accensibilità insurrezionale è ben nota, e che abbandonano la Chiesa per i Fasci e vi spingono i mariti e i figliuoli – il governo, coi procedimenti del teppismo più svergognato, non è riuscito a suscitare neppure una parziale sommossa.7

Altra testimonianza fu quella del Delegato di Pubblica Sicurezza a Milocca, Nunzio Costanzo che nella sua relazione al Prefetto di Caltanissetta in merito ai fatti che precedettero la rivolta dell’ottobre 1893, scrisse:

[…] Inoltre, fra breve si costituirà il Fascio delle donne, finora trattenuto dalla predicazione di quel Curato: ma oggi quelle donne preferiscono il Fascio, abbandonando la chiesa.8

Fu quindi significativa la presa di coscienza di quella che indubbiamente era la componente più sensibile ai dettami e ai principi espressi dal Chiesa, ovvero quella femminile; le donne, così come gli uomini, credevano nel Gesù socialista, difensore dei poveri e abbandonavano i preti e le istituzioni cattoliche; dal canto loro, i socialisti, o meglio la corrente definita evangelica, nel tentativo di attuare un’efficiente propaganda nelle campagne, sostennero tale visione.9

Nelle zone rurali della Sicilia, a fine Ottocento, la figura del prete, spesso di provenienza contadina, era vista come quella di amico dei potenti, lontana dai bisogni popolari. Come osservò Giuseppe Alongi nel suo lavoro La mafia,

[…] i preti siciliani si attaccano come pedagoghi, contabili e consiglieri al ceto dei galantuomini, ne scimmiottano il contegno da gran signori, il disprezzo delle idee nuove, il rimpianto del tempo che fu, predicando contro il governo protestante ed usurpatore. […] Il clero siciliano (salve sempre le eccezioni lodevoli) è fanatico quanto ignorante, ed invece di farsi difensore e consigliere del proletariato, da cui è uscito, se ne fa tirannello.10

Nonostante l’odio del clero verso uno stato definito anticattolico e verso il liberalismo, esso fu parte integrante di quel blocco di potere che specialmente in Sicilia faceva il bello e il cattivo tempo, quel blocco composto dall’aristocrazia e dalla borghesia che era restìa a qualsiasi cambiamento sociale nell’isola. Molti furono i preti che, dopo l’eversione dei beni ecclesiastici, diventarono essi stessi proprietari terrieri, acquistando quegli stessi terreni un tempo di proprietà di corpi religiosi; e non era inusuale l’impiego, da parte loro, di mezzadri e braccianti messi sotto contratti angarici, come qualsiasi altro gabelloto. E l’astio della gente di campagna nei confronti dei preti è ben presente negli scritti del bracciante Albano che nel 1875 in un suo componimento scriveva:

Campa grassu come un maialazzu

a la facci di chiddu chi ci cridi.11

E in uso era anche un detto popolare piuttosto esplicito contro la classe dei preti:

Monaci e parrini

sentici la missa

e stoccaci li rini.12

La nascita e lo sviluppo del movimento dei Fasci dei lavoratori vanno ad inserirsi anche in questo contesto; le popolazioni rurali siciliane di fine Ottocento non si affidarono più ai rappresentanti religiosi e al millenarismo cattolico per alleviare le loro sofferenze, ma cercarono e trovarono nei socialisti i nuovi profeti, i veri discepoli di Gesù.

Nonostante la maggior parte del clero siciliano mostrasse indifferenza verso questi cambiamenti, non poche furono le voci di denuncia al suo interno che si espressero contro gli abusi subiti dalle classi lavoratrici. Fu questo il caso del vescovo di Caltanissetta, Monsignor Guttadauro che il 5 novembre 1893 in una lettera pastorale pubblicata su Letture Domenicali, denunciava la prepotenza dei gabellotti e la miseria dei fittavoli e dei braccianti, pur condannando la deriva socialista,13 o del vescovo di Monreale Domenico Gaspare Lancia di Brolo che il 25 novembre dello stesso anno inviò una circolare destinata al clero della sua diocesi nella quale condannava i Fasci per il loro carattere materialista e anticristiano, ma ne riconosceva l’importanza in quanto organizzazione dei lavoratori.14 Nei mesi successivi vi furono altri prelati che si unirono alle voci di denuncia quali l’arcivescovo di Palermo Michelangelo Celesia, l’arcivescovo di Messina Giuseppe Guarino, il vescovo di Girgenti Gaetano Blandini, il vescovo di Nicosia Bernardo Cozzugli e il vescovo di Noto Giovanni Blandini.15 Importante, inoltre, il contributo di Niccolò Genovese, prete di Contessa Entellina che nel novembre 1893 scrisse La questione agraria in Sicilia (Cause e rimedi), pubblicato successivamente a Milano dalla sezione giovani del Comitato diocesano per l’Opera dei Congressi e quello di Isidoro Carini La questione sociale in Sicilia del 1894 nei quali venivano denunciate le angherie dei gabelloti nei confronti dei contadini, la mancanza di strade nelle campagne siciliane, nonché l’’urgenza della riduzione delle ore di lavoro nelle miniere, il pagamento dei salari in monete e l’allargamento della rappresentanza municipale a tutte le classi.16 Romolo Murri, esponente di spessore del cristianesimo sociale in Italia, il 12 novembre 1893 sulle pagine de La Voce delle Marche, così si espresse:

Il socialismo avanza minaccioso. I Fasci dei lavoratori riuniscono centinaia di migliaia di operai in Sicilia e tanti uomini e donne in massa disertano le chiese per frequentare le sedi dei Fasci. Poniamoci noi a capo di questo movimento, convinciamo il popolo che nella Chiesa è la sua salute e impediamo che cada nelle branche del socialismo e dell’anarchia.17

Ma ancor prima dell’intervento del vescovo Guttadauro e dell’opera del Genovese, il mondo cattolico aveva già ricevuto un impulso all’intervento sociale dall’enciclica di Papa Leone XIII, Rerum Novarum, promulgata nel 189118, nella quale venivano espresse le posizioni della Chiesa nei confronti delle nuove idee che andavano ormai diffondendosi in Europa, il socialismo nello specifico, ma soprattutto la presenza diretta del clero nella vita sociale ed economica dei fedeli di tutte le estrazioni sociali, ridando vigore ai tradizionali metodi pastorali ma con una nuova metodologia d’azione.19 Si andava così delineando un nuovo percorso all’interno del mondo cattolico:

Il movimento dei Fasci provocava mutamenti in campo cattolico anche sul piano della dottrina. Passando dalle opere pastorali della gerarchia alla più vasta e complessa attività pubblicistica, il panorama si presentava, infatti, più ricco e variato. Si osservava sempre una commistione di vecchio e di nuovo, indice di uno stato di transizione e di mutamento. Ma il vecchio sapeva già di stantìo, e quasi infastidiva gli stessi ambienti clericali.20

La nascita, in Sicilia, del cattolicesimo sociale d’ispirazione leonina, fu dunque naturale risposta dell’avanzata socialista. Se già in alcuni parti d’Europa vi era un impegno forte dei cattolici nel sociale (vedi i tentativi di riportare in attività il Terz’Ordine Francescano21, o il lavoro del vescovo di Magonza Wilhelm Emmanuel Von Ketteler), in Italia si preferiva l’inattività.22

Ancor prima della nascita dei Fasci siciliani dei lavoratori, in Italia si era già ampiamente sviluppato un forte associazionismo democratico. Tra il 1850 e il 1860 esso crebbe in tutta Europa; partendo dalla tradizione corporativistica, l’associazionismo di quegli anni si differenziava da essa in quanto la sua base era volontaria e la partecipazione non era limitata solo ad una specifica categoria. In Italia le prime Società di Mutuo Soccorso si formarono tra il 1848 e il 1859 in Piemonte (arrivando a contarne in quegli anni ben 132) come forme di intervento sociale ed economico e come tentativo di inserimento in contesti che fino a quel momento erano stati appannaggio della Chiesa. In Sicilia esse nacquero dopo l’Unità d’Italia grazie all’introduzione dello Statuto albertino che garantiva la libertà d’associazione secondo l’articolo 32 (durante il regime borbonico tale diritto era negato in seguito ai moti scoppiati nel 1820). Le SMS (Società di Mutuo Soccorso) vennero fondate spesso da figure appartenenti all’area borghese in risposta ad una forte volontà di associarsi proveniente dal basso; le SMS, almeno inizialmente, nascevano per combattere l’analfabetismo e educare il lavoratore secondo i principi propri della società liberale. Nel 1862 se ne contavano 443 in tutto il territorio nazionale, concentrate prevalentemente nei contesti urbani del Nord e del Centro Italia; nel 1865 in Sicilia ve ne erano solo 13; la prima venne fondata nel 1860 a Corleone e venne intitolata a Francesco Bentivegna, figura di rilievo della lotta contro i borbonici e fucilato a Mezzojuso nel 1856. Anche le prime sms siciliane nacquero e si svilupparono nei centri urbani, (a Palermo l’associazionismo era presente già in epoca borbonica; nel 1839 vi era l’esistenza di una Società via Lincoln Carrettieri seppur fortemente limitata nel suo lavoro) seguendo gli stessi obiettivi di quelle formatesi nel Settentrione. Tuttavia, la sempre maggiore voglia di emancipazione delle classi popolari vide successivamente la nascita di sms nei centri rurali, dove la componente principale fu quella contadina e zolfatara. Nel 1873 l’isola contava 83 sms con 9.392 iscritti, ponendola al primo posto nel Meridione d’Italia; nel 1885 era al sesto posto per numero di sms, contandone 284. Inizialmente apolitiche o filogovernative, molte associazioni di mutuo soccorso vennero influenzate dalle idee radicali e successivamente dal socialismo che di fatto segnò la rottura con la tradizione mutualistica presente fino ad allora, introducendo il principio della lotta di classe.

Anche i cattolici diedero vita a Società di Mutuo Soccorso; intorno agli anni ’70 dell’Ottocento23, dopo le decisioni venute fuori dal I° Congresso nazionale dell’Opera dei Congressi (istituzione che raccoglieva tutte le associazioni cattoliche presenti nel territorio italiano), un numero discreto di SMS cattoliche si formarono nell’isola, limitandosi però ad un tipo di associazionismo caritatevole e beneficiario.24 Se infatti i Fasci furono l’evoluzione radicale delle associazioni di mutuo soccorso laiche, quelle cattoliche non andarono aldilà della carità e della beneficienza. L’Opera dei Congressi, organizzazione nata nel 1874 che riuniva al suo interno tutte le associazioni mutualistiche cattoliche25, dettò a fine Ottocento precise regole per la costituzione di sodalizi che cominciarono a svilupparsi anche grazie all’opera di Giuseppe Toniolo:

Fra i tratti distintivi a livello statuario va considerata la presenza, negli organismi dirigenti, di un ecclesiastico posto a garanzia dell’appartenenza ecclesiale e provvisto di poteri che limitavano la dinamica democratica interna; dinamiche che tuttavia, come è stato osservato, apre al tempo stesso canali inediti di partecipazione responsabile del laicato riconoscendo inoltre il diritto di voto a segmenti della società che ne erano ancora esclusi a livello politico e amministrativo.26

Lo stesso Toniolo nel gennaio del 1894 presentò a Milano il suo Programma dei cattolici di fronte al socialismo che venne approvato durante il congresso e che mostrò particolare interesse per la Sicilia27 e in particolare verso i patti di Corleone stipulati dai Fasci siciliani il 31 luglio 1893.28

L’evoluzione avvenuta all’interno del mondo cattolico siciliano ed italiano di fine Ottocento portò, un anno dopo lo scioglimento dei Fasci, al convegno cattolico svoltosi a Palermo nel luglio del 1895 in collegamento con l’Opera dei Congressi, seguito da quello di Girgenti del 1896; si trattò di episodi fondamentali per la storia del movimento cattolico sociale proprio perché fu durante questi primi incontri che si decisero le modalità con cui s’intraprese l’intera azione cattolica sociale negli anni a venire. Prendeva forma, dunque, quella teoria cristiano sociale che seppur inizialmente non ebbe grande successo, negli anni successivi si sviluppò rapidamente nell’isola e spinse numerosi sacerdoti all’azione. Tra essi don Luigi Sturzo che proprio dalla teoria leonina del prete fuori dalla sacrestia, elaborò il suo ideale politico e sociale da cui venne fuori una nuova figura del prete non più chiuso in chiesa, ma elemento attivo dell’impegno sociale. Il dibattito, dunque, che si sviluppò all’interno del mondo cattolico subito dopo la fine del movimento dei Fasci, si fece intenso e soprattutto avveniva pubblicamente. Figure giovani quali quelle di Torregrossa e Mangano si facevano portatori di una idea nuova, quella democrazia cristiana che doveva andare incontro alle istanze delle classi lavoratrici.29 Francesco Renda, nel suo lavoro Socialisti e Cattolici in Sicilia 1900 – 1904, riporta alcuni estratti del discorso tenuto da Torregrossa alla conferenza dal titolo L’attuale movimento socialista e la società dell’avvenire, tenutasi il 1° maggio 1894 nella sede del circolo di Palermo:

Il socialismo in quanto movimento delle masse […] è un fenomeno che merita la più seria riflessione d che richiede molta sagacia e molta franchezza per essere giustamente giudicato.

Bisognava quindi dettare quelle linee essenziali per un’azione cattolica seria e concreta, bisognava contrapporre al socialismo

un complesso armonico di dottrine, un programma intenso di azione sociale.

Dal canto suo, anche Mangano diede un importante contributo parlando per la prima volta di cattolicesimo sociale.30

Le posizioni dei due giovani cattolici coinvolsero numerose personalità e si arrivò così ai congressi del 1895 e del 1896 (rispettivamente a Palermo e Girgenti) nei quali vennero affrontate le questioni essenziali legate all’azione sociale dei cattolici. 31 Fu durante il primo congresso che vennero fuori le due anime del movimento: quella di don Cerruti, fondatore della Casse rurali in Italia32 e convinto sostenitore della loro applicazione in Sicilia e quella guidata da Mangano e Torregrossa che sostenevano invece la formazione di federazioni operaie e contadine cattoliche.33 Così come avvenuto al congresso dei fasci del maggio 1893, anche al congresso cattolico del luglio 1895 l’idea di collegare il movimento isolano ad una piattaforma nazionale dovette fare i conti con una idea più regionalista che mirava a dare maggiore importanza alle peculiarità della Sicilia. La linea di don Cerruti prevalse e al prete Luigi Di Giovanni venne dato l’incarico di guidare il movimento cattolico nell’isola. Di Giovanni, d’altronde, dimostrò di essere estremamente determinato nel portare i preti fuori dalla sacrestia seppur in maniera diversa rispetto a Torregrossa e Mangano:

È interesse sommo de’ nemici della Religione il far di tutto che i cattolici rimangano inchiodati nelle sacrestie, fra’ rosari e le preghiere, fra’ digiuni e le penitenze […]. No, non è solo la preghiera l’arma del cattolico; alla preghiera si congiunga l’azione. Colla stampa, colle elezioni, coll’aiutare le classi agricole e tutti gli operai, qualcosa potremo ottenerla. Ma nulla potremo, se saremo soli. Uniamoci, l’unione fa la forza. La questione sociale è minacciosa; ci freme sotto i passi; è un vulcano che vorrebbe irrompere come fuoco. Ebbene, ecco l’Opera dei Congressi che collo spirito della carità mira a ricondurre alla Madre Chiesa i figli traviati. Fratelli miei, uscite di sacrestia; la Chiesa vi cinge i lombi per essere casti, ma non per legarvi ad una colonna o ad un angolo della sacrestia. La castità è forza, e ogni forza è per combattere. Trattasi della causa di tutti; trattasi della Chiesa e della Patria. L’aiuto di Dio è certo, ce lo ha promesso. Dio lo vuole.34

Seguendo fedelmente la teoria leonina, Di Giovanni puntava molto sul lavoro singolo del prete, peccando tuttavia di pochezza ideologica. Le modalità con le quali il prete avrebbe dovuto agire nelle comunità, erano ancora poco chiare. Su Letture Domenicali, organo di stampa cattolico, vi fu un intenso dibattito su tale questione; in particolare si diede importanza alla piattaforma programmatica di don Cerruti riguardante le casse rurali. Il prete veneto stette in Sicilia per diversi mesi, sostenendo il neopresidente del Comitato regionale siciliano dell’Opera dei Congressi Di Giovanni nella sua opera di propaganda nell’isola, puntando fortemente sulle casse rurali. 35 Si arrivò così al secondo congresso dell’Opera dei Congressi in Sicilia, questa volta a Girgenti, nell’agosto 1896, nel quale vennero ribaditi i punti principali dell’azione cattolica, e dando il via all’operato sociale adottando la strategia proposta da don Cerruti.36 Lo strumento delle casse rurali andava ad inserirsi in un contesto nel quale i piccoli coltivatori ma anche i mezzadri, si trovavano in condizioni critiche per i troppi debiti contratti con gli usurai; far fronte alle continue spese, tra dazi e angherie contrattuali, significava non riuscire a portare il pane a casa. Fu questo uno dei motivi che portò i contadini a aderire ai Fasci, era questo uno dei mali peggiori dell’isola da anni:

Il tarlo roditore della società siciliana è l’usura. Il contadino siciliano è sobrio, laborioso e duro alla fatica […]. Ma l’usura rende impossibile al contadino siciliano ogni risparmio, ogni miglioramento della sua sorte; e peggio ancora, col tenerlo in uno stato continuo di asservimento legale e di depressione morale, gli toglie ogni libertà, ogni sentimento della propria dignità. Il contadino siciliano è quasi costantemente indebitato, o verso il padrone o verso estranei; il compenso delle sue fatiche gli viene dato sotto forma di soccorsi, che egli deve impetrare umilmente e facendo rinunzia completa a tutto quanto la fortuna o il maggior lavoro potrebbero arrecargli di vantaggio al tempo dei raccolti.37

Nonostante i tentativi governativi per mettere un arginare al problema con la legge 1887 di credito agrario e la formazione di banche popolari38, la necessita legata ad un sostegno creditizio nelle campagne continuava ad essere presente. Poco facevano ormai i Monti frumentari, strutture nate nella penisola italiana alla fine del XV secolo per opera dell’ordine francescano, ma che a fine Ottocento si mostravano deboli ed erano operativi solo in piccoli centri rurali.

La formazione delle prime casse rurali avvenuta nel 1895 non fu semplice39; impedimenti di tipo giudiziario ne ostacolavano la registrazione, senza tuttavia limitarne la nascita. Dopo quella di San Cataldo (su iniziativa del giovane sacerdote Alberto Vassallo) e di Castiglione di Sicilia fondate entrambe nell’ottobre 1895, nacque un anno dopo la cassa rurale di Caltagirone per opera di Luigi Sturzo; attive furono le diocesi di Caltanissetta, Caltagirone, Agrigento e Palermo. Si trattava di società a responsabilità illimitata e solidale, attive solo entro i confini comunali (per una maggiore garanzia nell’offerta) fornendo tramite la cooperazione i capitali necessari ai contadini, incentivandoli inoltre al risparmio.40 Eredi degli istituti di credito formatisi negli anni precedenti, essi a differenza di questi, diedero estrema importanza al credito agricolo, con l’intenzione di sostenere la piccola proprietà. Tra i soci vi erano spesso elementi della classe media che andavano ad ingrossare i depositi:

È irrealistico pensare che la cassa cattolica potesse sussistere senza la compresenza di una piccola o media borghesia, che possedesse qualche capitale; la composizione sociale delle casse rurali cattoliche è normalmente mista, vedi i proprietari accanto ai mezzadri e anche ai giornalieri, in modo che potesse funzionare il circuito che schematicamente possiamo descrivere come borghesi (depositanti) – piccoli contadini (mutuatari) con reciproco vantaggio. Il clero serve da catalizzatore, a dare l’input a questa circolazione.41

La formazione di piccoli istituti di credito come le casse rurali, legate interamente al territorio comunale e alla fiducia tra gli appartenenti alla piccola comunità, diedero impulso al risparmio e allontanarono i contadini dalla morsa dell’usura. Sturzo fu uno di quei preti che capì tempestivamente tutto ciò. Le casse rurali crearono un flusso di denaro che seppur non grande, si rilevò estremamente benefico nei contesti rurali siciliani, dando respiro alla classe contadina.42 Lo sviluppo repentino di numerose casse rurali portò alla nascita, alla fine del 1895, dell’Ufficio centrale delle Casse Rurali cattoliche in Sicilia che ebbe come organo di stampa Letture Domenicali:

Dopo appena un anno, al Congresso regionale cattolico di Agrigento, il bilancio era confortante; […] erano in via di costituzione casse rurali a Licata, Agrigento, Favara, Canicattì (nell’agrigentino), Mussomeli (Caltanissetta), Acicatena e Acicastello (diocesi di Acireale), Nicosia, Agira (diocesi di Nicosia), Cesarò; un’altra stava per essere fondata a Patti. In tutto una quindicina solo in un anno.43

Tra il 1897 e il 1901 ne nacquero più di trenta in Sicilia, (39 per l’esattezza) con una battuta d’arresto nel 1898 per l’opera repressiva del governo Di Rudinì; nel 1900 venne fondata la Federazione diocesana delle casse rurali di Caltagirone e Agrigento per meglio coordinare quelle presenti in quei territori.44 Nel 1905 le casse rurali arrivano ad essere 145; la Sicilia si posizionò quinta tra le regioni italiane dietro all’Emilia (257 casse), la Lombardia (186 casse) e il Veneto (442 casse); la provincia con la più consistente rete di casse rurali era quella di Girgenti, quella con il più alto numero era Palermo.45

La crescita ai primi del Novecento fu conseguenza di un forte attivismo cattolico nelle lotte sociali, frutto anche del ritorno di Giolitti al governo ma soprattutto della nuova enciclica di Papa Leone XIII Graves de communi, del 1901, che di fatto venne accolta come l’accettazione da parte del pontefice della democrazia cristiana; il 1901 fu l’anno dei grandi scioperi agricoli in tutta la penisola segno questo di un incessante lavoro di propaganda.46 In quello stesso anno Mangano e Torregrossa fondarono l’Unione cattolica del lavoro in Sicilia con lo scopo di riunire tutte le organizzazioni cattoliche e i lavoratori cattolici in un unico organismo; s’impegnava, inoltre, nel coordinamento di tutte le casse rurali e le affittanze collettive cattoliche47 per una maggiore e più incisiva azione sociale, parallelamente a quella dei socialisti e laici in generale che in Sicilia, frattanto, si erano riorganizzati.48 A differenza dei socialisti, con il quale comunque si condivideva il terreno di lotta, i cattolici mettevano la religione come base dell’opera di unione di tutti i lavoratori.49

L’azione sociale cattolica venne condotta da numerose figure del clericato isolano soprattutto tra i giovani preti; uno su tutti, Luigi Sturzo50, giovane sacerdote di Caltagirone che, fedele all’enciclica leonina del 1891, si spese in toto affinché venisse applicata interamente nella pratica cattolica. Rimandando ad un prossimo lavoro l’esame specifico della dottrina sturziana, vediamo a grandi linee l’operato del prete siciliano. Secondo la visione del Nostro, in Sicilia le condizioni sociali richiedevano un diverso impegno sociale rispetto a quello intrapreso da un prete settentrionale; nel Nord Italia il clero cattolico aveva già cominciato a lavorare nelle campagne godendo di una generale considerazione positiva; nell’isola, invece, bisognava partire dall’inizio. Per Sturzo, infatti, ogni realtà sociale richiedeva una speciale conoscenza e dunque un differente approccio e una differente strategia d’azione. Il prete siciliano doveva entrare all’interno delle masse, organizzare i lavoratori, dirigerli e sostenere le loro giuste rivendicazioni secondo i principi cattolici e tenendo fede alle direttive riportate nella Rerum Novarum; bisognava riformare la società e per farlo bisognava agire in nome della democrazia cristiana51 che alla tradizione cattolica aggiungeva un nuovo modo di essere prete:

Studiamo per formarci una cultura che ci renderà capaci a potere portare la nostra parola in mezzo alle assemblee e farla apprezzare dai nostri avversari. Studiamo per poter istruire il popolo e renderlo capace di resistere agli avversari. Istruitevi per formare la parola e la penna di cui difetta il nostro campo. Educate l’animo a virtù, al carattere, alle lotte. La nostra è missione di dolori, noi dobbiamo portare una croce. Noi siamo un corpo la cui testa è il Papa. Nel popolo noi dobbiamo portare la parola del Papa. La nostra attività deve essere legata al principio di autorià, e a base della nostra attività dobbiamo mettere la volontà del Papa, i cui nemici hanno cercato di staccarlo dal popolo confinandolo nella prigionia. Educhiamo il popolo all’osservanza del non expedit. Noi dobbiamo creare un’Italia guelfa sotto la bandiera della religione e della rigenerazione economica. Voi in questo santuario sotto la guida del Vescovo e dei Superiori vi preparate come gli apostoli a portare il nome di Cristo in mezzo al popolo. Variano le forme, e le attività mutano secondo i tempi. Uno però è il fine da dove viene il bene: il Ministero. Siamone degni.52

Il futuro fondatore del Partito Popolare conosceva bene l’astio riversato dalle masse popolari verso i preti, rei di mascherare le nefandezze prodotte dalle classi dominanti e indifferenti alle richieste d’aiuto dei ceti umili:

Bisogna conoscere il nostro popolo rurale, quello che è l’infimo gradino della scala sociale, cioè il giornaliero, l’operaio avventizio, il piccolo coltivatore, senza beni, senza lavoro fisso, oppure in balia delle piccole gravi speculazioni dell’agricoltore più elevato e più benestante. La diffidenza verso tutti i “cappeddi”, verso il “bottone”, verso il prete anche quando non ufficia e scende dall’altare divenendo uomo come gli altri, è tradizionale, connaturale, maturata attraverso oppressione e miseria, satura di lacrime e di privazioni, che diviene spesso odio inconscio, istinto malvagio e distruttore.53

Era necessario dunque riformare il clero siciliano, allontanarlo dalla proprietà latifondista e sostenere la classe lavoratrice riunendoli nello slogan Lavoratori di tutto il mondo unitevi, ma in Cristo.54 Per Sturzo, conoscitore dell’economia agraria, vi era l’urgenza di riformare la struttura produttiva agricola siciliana, spezzettando il latifondo, privatizzando la terra, organizzando il credito agrario; bisognava industrializzare l’agricoltura per ridurre il divario con il Nord e tenere lontana la classe contadina dai socialisti. 55 Il primo periodo dell’azione sturziana si concentrò principalmente su interventi sociali, con la formazione ed evoluzione delle casse rurali, la lotta al gabellotto con l’unione degli agricoltori e la costituzione delle cooperative di lavoro, nonché la battaglia per una nuova legge per la modifica dei patti colonici, sempre incentrando la problematica sulla persona dell’uomo e quindi sul superamento dei problemi e dello scontro tra classi nella composizione degli opposti interessi economici.56

Sturzo che nel 1919 fondò il Partito Popolare Italiano57 sostenne sempre la formazione della piccola proprietà contadina, nonché gli interventi proposti in agricoltura, così come dimostrato dalla relazione letta al secondo congresso nazionale del PPI a Napoli, nel 1920 e al congresso di Milano dell’ottobre dello stesso anno, denunciando inoltre la disperazione dei contadini tornati dal fronte dopo la tragica esperienza della Prima Guerra Mondiale, privi di una stabilità economica e di una fiducia dell’avvenire che li spingeva alla lotta per il possesso della terra; si incentivò quindi la gestione cooperativistica delle terre e delle grandi aziende agricole, la creazione del Consorzio quale strumento coordinativo delle cooperative; il prete di Caltagirone denunciò, nel suo discorso pronunciato a Venezia nell’ottobre 1921, i ritardi dei procedimenti legislativi e della politica italiana verso la questione agraria, problema che invece meritava una certa urgenza.58 Con la salita al potere del fascismo, Sturzo nel 1924 lasciò l’Italia trasferendosi prima a Londra, poi a Parigi ed infine a New York dove continuò la sua attività politica con il Partito Popolare ed intrattenne rapporti con tanti altri esuli italiani; nel 1946 tornò nella penisola senza impegnarsi direttamente nella costituzione della Democrazia Cristiana; accettò la nomina offertagli dall’Assemblea Regionale Siciliana a giudice dell’Alta Corte e mantenne l’incarico fino al 1952 quando venne nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi; morì a Roma l’8 agosto 195959.

Con questo ultimo lavoro si conclude un percorso cominciato con la formazione dei primi Fasci siciliani dei lavoratori, l’evoluzione nonché le tappe significative del loro breve ma intenso cammino, fino allo scioglimento. La fine del movimento politico e sindacale siciliano di fine Ottocento diede il via ad una nuova fase storica delle lotte sociali; non solo i socialisti, ma anche i cattolici decisero di impegnarsi attivamente per guidare le classi lavoratrici siciliane nelle loro battaglie economiche e sociali. L’analisi qui fatta si è concentrata sulle fasi iniziali di quel cristianesimo sociale che spiazzò l’area reazionaria del cattolicesimo italiano e dell’aristocrazia latifondista, proponendo una nuova figura, quella del cattolico democratico, fedele seguace della dottrina sociale leonina.

Note:

1 https://www.restorica.it/moderna/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-lo-stato-dassedio-in-sicilia/

2 Dal 1894 al 1913 emigrarono 1.063.734 siciliani. P. Maccarrone, Fasci siciliani e lotte dei cattolici, edizioni Makar, Biancavilla, 2007

3 https://www.restorica.it/moderna/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-lo-stato-dassedio-in-sicilia/

4 F. Renda, Socialisti e cattolici in Sicilia. 1900 – 1904, Sciascia editore, Caltanissetta – Roma, 1972

5 Per maggiori informazioni https://www.restorica.it/novecento/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-il-fascio-di-grotte/

6 A. Rossi, L’agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei lavoratori, Max Kantorowicz, Milano, 1894

7 Turati 1893, I° ottobre, in F. Renda I Fasci siciliani 1892 – 94, Piccola Bibilioteca Einaudi, Torino, 1977

8 A cura del Centro Studi Gorgone, Le donne nei Fasci siciliani dei lavoratori. La rivolta di Milocca, numero 3, dicembre 2022.

9Circoli operai siate benedetti.

Voi siete il pane dell’anima, la luce della vita

la difesa del povero operaio.

Noi eravamo scissi e divisi, eravamo servi dei servi

sfruttati dai pochi che ci tenevano in schiavitù.

I nostri figli e le nostre mogli eran servi, non avevano

né vesti, né pane ed erano prostituite dai padroni.

Siate benedetti o Circoli Operai.

Voi difendete i nostri interessi.

Voi combattete tutte le forme, sia del parassitismo

sia del dispotismo.

Benedicete, o o compagni, i Circoli che lottano

per il benessere, la libertà ed il miglioramento

delle classi lavoratrici”.

Questo scritto, riportato in un foglietto intitolato “Preghiera dei circoli operai”, stampato dalla tipografia Pennaroli di Fiorenzuola d’Arda nel 1892 e riportato nel lavoro di Stefano Privato L’anticlericalismo religioso nel socialismo italiano fra Ottocento e Novecento, rappresenta appieno la metodologia di propaganda di quell’area socialista italiana di fine Ottocento definita evangelica e che ebbe tra i suoi maggiori sostenitori Prampolini, De Amicis e Morgani.

Rifacendosi alle tematiche del cristianesimo primitivo, isolandone alcuni aspetti, il socialismo evangelico si considerava vero erede del messaggio di Cristo il primo vero socialista della storia.

Al materialismo marxista, si preferiva una religione laica fondata su un credo che al millenarismo cattolico sostituiva l’emancipazione sociale del lavoratore attraverso l’adesione alle idee socialiste.

Fortemente criticato dal socialismo marxista, trovò spazio anche in Sicilia, soprattutto nelle zone minerarie.

10 G. Alongi, La mafia, Sandron editore, Torino, 1904,

11 S. Salamone Marino, Costumi ed usanze dei contadini di Sicilia, Sandron editore, Palermo, 1897

12 S. F. Romano, Storia dei Fasci siciliani, editori Laterza, Bari, 1959

13 Letture Domenicali, 5 novembre 1893, n.45.

14 E. Guccione, Il movimento cattolico di fronte alla rivolta dei Fasci, in P. Manali a cura di, I Fasci dei Lavoratoti e la crisi italiana di fine secolo (1892 – 1894), Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta – Roma, 1995.

15 Ibidem.

16 E. Guccione, op. cit.

17 Ibidem

18 Ispirandosi in tutto e per tutto all’enciclica Rerum Novarum, i cattolici, anni dopo, nelle figure di Don Luigi Sturzo, Mangano, Torregrossa, don Luigi Cerruti ed altri, riconobbero la necessità di scendere in campo per fare ciò che i cattolici avrebbero dovuto fare già da tempo: schierarsi con gli ultimi; a tal proposito Sturzo, nell’incentivare l’opera dei preti, scrisse:

Quando noi entriamo in nome della Chiesa nella vita pubblica, solleviamo una questione morale e non materiale. Noi miriamo a far rifiorire nel popolo il principio religioso. Da un secolo il liberalismo ed oggi il socialismo hanno staccato il popolo da Cristo, riducendo la religione ad un puro fatto interno. Noi dobbiamo far ritornare la Chiesa in tutte le manifestazioni sociali per il bene del popolo.

Il Congresso dei Sindaci, in Sole del Mezzogiorno, 12 novembre 1902.

19 Nell’elaborazione dell’enciclica, Papa Leone XIII si ispirò a teorici quali Wilhelm Emmanuel Von Ketteler, vescovo di Magonza che nel 1864 pubblicò La questione operaia e il cristianesimo, che di fatto segnò le origini del pensiero sociale cattolico.

20 F. Renda, Socialisti e cattolici in Sicilia, op. cit.

21 Il T.F.O. nacque come conseguenza dell’impegno di San Francesco al risveglio del laicato cristiano; la sua esperienza coinvolgeva non solo frati e suore, ma persone di diverse estrazioni sociali. Si poteva vivere una vita laica ma da francescani. Il Terz’Ordine Francescano ebbe un rapido sviluppo nei secoli XIII e XIV, basando la loro opera sulla carità e l’assistenza. Nel corso del tempo, l’ordine ebbe uno sviluppo decrescente che lo portò quasi alla scomparsa; fu Papa Leone XIII a tentare di ridare vita al T.F.O. come mezzo di intervento sociale cattolico all’interno di una società quale quella ottocentesca. Si rinnovò l’interesse per la figura del santo umbro, non solo tra i laici ma anche tra clericali: nel 1870 i cappucini lombardi fondarono la rivista Annali francescani; nel 1873 nacque L’Eco di San Francesco a Napoli; numerose furono analoghe pubblicazioni in altri paesi d’Europa quali Spagna, Inghilterra e Austria. Il Terz’Ordine sotto Leone XIII cominciò così a raccogliere numerosi fedeli, mancando però di una concreta organizzazione programmatica. Fu Léon Harmel, industriale francese già terziaro nel 1861, sostenitore della Rerum Novarum e principale organizzatore dei congressi più importanti del T.F.O. svoltisi tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento. P. Rivi – A. Gasparini, L’impegno sociale del Terz’Ordine Francescano. L’epoca di Leone XIII: da un frammento di storia, alcune indicazioni per l’oggi, edizioni Porziuncola, Assisi, 2012.

22 I cattolici rispettavano il non expedit stabilito dalla Chiesa come rifiuto della stessa verso il processo unificatore della penisola italiana; i cattolici dovevano astenersi dalla vita politica nazionale del paese. Venne rimosso da Papa Benedetto XV nel 1919.

23 Durante lo sviluppo dei Fasci, vi furono tentativi da parte dei cattolici di contrapporre ad essi organizzazioni da loro create con lo scopo però di educare alla religione, tentando di impedire l’espansione socialista tra i lavoratori; fu questo il caso del Circolo operaio di Delia (Caltanissetta), formatosi nel settembre 1893 come riportato da Letture Domenicali, n. 36.

24 A cura del Centro Studi Gorgone, Le donne nei Fasci siciliani dei lavoratori, op. cit.

25 Inizialmente presente solo in alcune regioni (principalmente in Lombardia e nel Veneto), nel 1894 l’Opera dei Congressi risulta presente in tutte le regioni italiane.

26 A. Baglio, A.G. Noto a cura di, Tra solidarismo, assistenza e istruzione popolare. Le Società di Mutuo Soccorso in Sicilia dall’Unità ai primi del Novecento, Ediesse edizioni, Roma, 2018.

27 O. Cancila a cura di, Storia della cooperazione siciliana, Istituto Regionale per il Credito Alla Cooperazione (I.R.C.A.C), Palermo, 1993

28 https://www.restorica.it/moderna/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-i-congressi-di-corleone-e-grotte/

29 Fondatori del Circolo dei Buoni Studi di Palermo, furono attivissimi nel promuovere discussioni, dibattiti e congressi concernenti la questione sociale e la posizione dei cattolici.

30 F. Renda, op. cit. Torregrossa spinse fortemente per l’azione; in una sua pubblicazione del luglio 1894 su Sicilia Cattolica, scrisse: Di fronte alla quistione sociale che si agita, di fronte alla lotta tra capitale e lavoro, noi non sappiamo trovare altra via d’uscita per la rappacificazione degli animi e la soluzione della quistione, che la associazione. Perciò diciamo agli operai: organizzatevi, affermate la vostra personalità, ché vis unita fortior.

31 La discussione proposta da Torregrossa e Mangano venne collocata alla quarta sezione del Congresso. Il dibattitto su come affrontare i problemi sociali e il socialismo, nonché sulle posizioni da prendere, non si svolse solo a livello regionale, ma fu un lungo percorso nazionale; a Roma, durante l’XI Congresso cattolico italiano, si discusse della contrapposizione tra organizzazioni cattoliche e Fasci, accusando le organizzazioni socialiste di voler scatenare la guerra civile in Italia, contrapponendo ad esse la pace tra le classi propugnata dai cattolici, senza però venire meno alle accuse mosse ai padroni, rei di non voler venire incontro alle istanze contadine. Il conte Medolago Albani fu il sostenitore più acceso di tale teoria. Atti e documenti dell’undicesimo Congresso cattolico italiano, Roma 15 – 16 – 17 febbraio 1894, vol. I, Atti, Venezia, 1894, pp. 111 – 112, in E. Guccione, op. cit.

32 In Sicilia uno dei primi a parlare delle casse rurali fu il sacerdote di Mussomeli Giuseppe Minnelli, proponendo l’esperienza veneta anche nell’isola in un articolo de La Sicilia cattolica, organo di stampa particolarmente attivo durante e dopo l’esperienza dei Fasci. La Sicilia cattolica, 14 – 15 marzo 1894.

33 Torregrossa al congresso del 1° maggio 1894 presso il Circolo dei Buoni Studi, a Palermo, nell’affrontare il tema legato alla posizione da prendere nei confronti dei socialisti, si espresse con molta franchezza, legittimando il movimento socialista operaio formatosi in Sicilia ma sostenendo, di contro, la necessità di contrapporre ad esso la formazione di un forte movimento cattolico operaio. Mangano, sostenendo la tesi di Torregrossa, ribadiva con forza lo sviluppo del cattolicesimo sociale in Sicilia.

34 Primo Congresso Cattolico per la Regione Siciliana, in Letture Domenicali, 14 luglio 1895, n. 28.

35 La prima cassa rurale siciliana, secondo lo storico Francesco Renda, venne fondata proprio da Cerruti a Bocca di Falco, Palermo, nel luglio 1895. Letture Domenicali, 21 luglio 1895, n. 29; la seconda cassa rurale nacque a San Cataldo; secondo lo storico Orazio Cancila, invece, la prima cassa rurale in Sicilia venne fondata a Grammichele, nel catanese, nel 1892 senza però avere seguito.

36 Secondo Congresso Cattolico Siciliano, in Letture Domenicali, novembre 1896.

37 S. Sonnino, I contadini in Sicilia, in Franchetti – Sonnino, L’Inchiesta in Sicilia: la Sicilia nel 1876, Barbera, Firenze, 1877.

38 Il fallimento dell’iniziativa era legato oltreché alla lunga fase burocratica legata alla concessione del prestito, anche ad una eccessiva richiesta di garanzie che molti contadini non potevano dare.

39 Le casse rurali nacquero per la prima volta in Germania, nella Prussia Renana nel 1847 – 48 per opera di Guglielmo Raiffeisen attivista protestante; nel cercare di fornire ai contadini poveri il bestiame necessario, fondò una cassa rurale con lo scopo di offrire loro i capitali necessari alla loro attività, a interessi bassissimi. L’esempio venne ripreso più tardi dal liberale Leone Wollemborg che nel 1883 fondò aa Loreggia, nel padovano, la prima cassa rurale italiana. Tuttavia, si trattò di casi isolati; dal 1892 lo strumento delle casse rurali venne adottato dai cattolici che ne fondarono quasi cinquecento tra Veneto e Friuli. Luigi Cerruti fu il prete che più s’impegnò nello sviluppo delle casse rurali, fondandone 30. Lo sviluppo delle casse rurali spinse alla nascita delle banche popolari che tra il 1896 e il 1908 passarono da 47 a 72; esse assicuravano la funzione di intermediazione tra gli istituti di emissioni, le grosse banche di credito e le piccole realtà locali. G. Oddo, Il miraggio della terra in Sicilia. Dalla belle époque al fascismo (1894 – 1943), Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2017.

40 L’azione ristretta ai confini comunali doveva dare maggiore garanzia in quanto i soci si conoscevano tutti tra loro e la piccola parte da loro depositata poteva essere meglio controllata. La presenza del prete anch’esso come socio e quindi come depositante, serviva inoltre come ulteriore garanzia.

41 O. Cancila a cura di, Storia della cooperazione siciliana, op. cit.

42 Le casse rurali non prevedevano la distribuzione di utili ma il reinvestimento in opere cattoliche; i mutui venivano concessi in base alla durata dei lavori in campagna e non superavano i 5 anni.

43 Atti del Secondo Congresso cattolico della regione sicula dell’Opera dei Congressi e comitati cattolici in Italia, in O. Cancila a cura di, Storia della cooperazione siciliana, op. cit.

44 Ibidem. Il 29 marzo 1906 venne emanata la legge per la regolamentazione del credito agrario; grazie al collegamento degli enti intermediari con il Banco di Sicilia, tale legge trovò in Sicilia un positivo riscontro proprio per l’intermediazione delle casse rurali e la sua attuazione ebbe dunque risultati positivi e non poche furono successivamente le casse rurali laiche che si formarono nell’isola per iniziativa soprattutto di Enrico La Loggia che in quegli stessi anni contribuì alla formazione di numerose casse agrarie che diventarono enti intermediari anch’esse del Banco di Sicilia per il credito agrario.

45 Elenco delle 328 opere popolari cattoliche in Sicilia, in La Croce di Costantino, 28 agosto 1905, n. 253.

46 Ventuno furono gli scioperi nell’isola, il 3% del totale nazionale; 19.425 coloro che parteciparono alle proteste. F. Renda, op. cit.

47 Intorno alla cassa rurale locale, che di fatto si mostrava non solo come strumento economico ma anche politico, si formavano organizzazioni quali cooperative d’acquisto, leghe di resistenza e affittanze collettive, quest’ultime con lo scopo di “togliere” il contadino dalle “grinfie” del gabellotto, operando la gestione diretta delle terre tramite cooperativa. Vu furono inoltre scioperi diretti dai preti quali ad esempio quello attuato a Villalba nel 1901, organizzato dalla cassa rurale locale e diretto dal prete Giuseppe Scarlata contro le angherie perpetrate dai gabellotti; il risultato fu l’abolizione dei balzelli e una diminuzione del terraggiuolo.

Relazione dell’arciprete Giuseppe Scarlata per il Ministero, in G. Lorenzoni, Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, Roma, 1910.

48 Tornati in libertà, i dirigenti dei Fasci siciliani dei lavoratori, su tutti Bernardino Verro e Nicola Barbato, s’impegnarono nelle lotte contadine e nella diffusione del socialismo nelle campagne. Le affittanze collettive, ad esempio, vennero praticate sia dai socialisti che dai cattolici, con l’obiettivo di eliminare la figura intermediaria del gabelloto e promuovere la gestione diretta della terra tra i lavoratori delle campagne; tra le cooperative fondate in quegli anni, si ricorda quella cattolica a Caltagirone, creata nel 1900 da Sturzo e chiamata La Piccola Industria Sant’Isidoro, quella socialista fondata nel 1902 nel trapanese da Giacomo Montalto (che fu Presidente del Fascio di Trapani e membro del Comitato Centrale) chiamata Cooperativa agricola di Monte S. Giuliano, oppure L’ Unione Agricola fondata negli stessi anni da Bernardino Verro a Corleone.

Nel 1906 la Sicilia contava una sessantina di affittanze collettive (45% del totale nazionale) con più di 15mila soci e 60000 ettari di terra gestita. I socialisti siciliani si impegnarono inoltre nella formazione di casse rurali aconfessionali su iniziativa di Enrico La Loggia e nel 1910 nacque la Federazione Siciliana delle Cooperative che ribadì la condivisione della terra e la lotta per la mezza semente a favore dei contadini.

Iniziative volte al miglioramento in agricoltura vennero anche dalla grande borghesia isolana, in particolare nel tentativo da parte di Ignazio Florio che con il progetto del Consorzio Agrario Siciliano, fondato nel 1899 e che vide il coinvolgimento di una parte dei socialisti (tra cui Filippo Lo Vetere). Nell’estate del 1899 Ignazio Florio pubblicò un articolo sul Giornale di Sicilia nel quale proponeva la costituzione di un Consorzio agrario con lo scopo di riformare la grande coltura feudale, sostituendo la colonia parziaria al regime della gabella. L’obiettivo dell’industriale siciliano era quello di creare una grande alleanza tra le forze industriali e la grande borghesia terriera della Sicilia e del Meridione d’Italia, coinvolgendo inoltre quanto più possibile le forze sociali presenti nell’isola. Se i socialisti declinarono l’invito, i cattolici invece sostennero il progetto che, secondo il Florio doveva far parte di un progetto ancora più ampio, Progetto Sicilia che mirava, oltre a garantire gli interessi della potente famiglia industriale, si proponeva di far valere le ragioni dell’isola e del mezzogiorno nei confronti dello Stato. L’organo di stampa fu L’Ora. Il Consorzio Agrario elesse Presidente Ignazio Florio e segretario Filippo Lo Vetere, ma già dalla sua prima riunione non furono pochi i contrasti e i passi indietro da parte dei proprietari terrieri rispetto alle intenzioni iniziali. Nonostante alcuni piccoli successi, il Consorzio e il Progetto Sicilia crollarono per i numerosi contrasti tra le diverse anime presenti al suo interno. G. Oddo, op. cit.

49 F. Renda, op. cit.

50 Di famiglia benestante, si laureò nel 1898 in Filosofia e Teologia all’Università Gregoriana, a Roma, dopo l’ordinazione sacerdotale. Il 7 marzo 1897 fondò la rivista cattolica La Croce di Costantino. Nel 1899 ricevette l’incarico di insegnante di filosofia al Seminario di Caltagirone, suo paese natìo, affinando le sue teorie cristiano – sociali e per questo entrò in contrasto con il rettore e con la corrente reazionaria del clero cattolico siciliano. Nella rivisita da lui fondata, il Nostro pubblicò con frequenza le sue teorie che ebbero un notevole seguito. Nel giugno del 1899 fondò insieme con Mangano, Torregrossa ed altri esponenti del nascente movimento sociale, la Lega democratico – cristiana siciliana. L’attività sociale e politica di Sturzo culminò nella fondazione nel 1919 del PPI Partito Popolare Italiano.

51 Il 3 settembre 1900 nell’abitazione di Romolo Murri prese vita la Democrazia Cristiana come movimento cattolico cristiano – sociale.

52 Il Congresso dei Sindaci, in Il Sole del Mezzogiorno, 12 novembre 1902.

53 Il grido della Sicilia, in La Croce di Costantino, agosto 1905.

54 In una delle relazioni presentate all’adunanza annuale della sezione economico- sociale – giuridica della Società Cattolica Italiana, svoltasi a Milano il 3 e 4 ottobre 1901, Sturzo riferendosi alle condizioni contrattuali presenti nei latifondi disse: Gran male è l’assenteismo dei padroni, che crea necessariamente il tipo di gabellotto sfruttatore, che si interpone tra l’immediato coltivatore del suolo e il lontano proprietario, a cui si dà la garanzia del reddito annuo fisso, – qualsiasi la forma di contratto colturale che esso sarà per adottare, salvo la riconsegna della terza parte del terreno incolto da due anni – e qualunque siano o possano essere le evenienze e i casi fortuiti a cui il gabellotto rinuncia espressamente nel contratto con la formula: non ostante tutti i danni possibili prodotti da casi volontari o fortuiti, divini od umani. Le relazioni vennero presentate con il titolo: Note sommarie per l’organizzazione delle Unioni professionali nell’interno della Sicilia. A. Donia, Luigi Sturzo e le modificazioni strutturali nell’agricoltura siciliana, in A. di Giovanni, A. Palazzo a cura di, Luigi Sturzo e la Rerum Novarum, Editrice Massimo, Milano, 1982.

55 Nel 1898 Sturzo scrisse al Toniolo una lettera nella quale denunciava le condizioni di sfruttamento dei lavoratori della terra in Sicilia: È invalso l’uso del fitto sia con uno solo, sia con più fittavoli e intraprenditori intermediari. Fra le altre condizioni angariche (del 25% di utile e del 5% di perdita sulla semenza, degli interessi sulle anticipazioni, detti aiuti), vi è quella della misura del terreno. Il fittabile, nel calcolare i lotti del terreno che distribuisce ai coloni, vi aggiunge l’aumento del 25%; di guisa che quattro ettari di terreno nel contratto vengono dichiarati cinque ettari. G. De Rosa, Luigi Sturzo, Utet, Torino, 1977.

56 Sturzo denunciò con determinazione il fenomeno mafioso nel gennaio 1900 su La Croce di Costantino e riferendosi all’assassinio di Notarbartolo, la definì una piaga cancrenosa che ha i piedi in Sicilia ma afferra anche Roma.

57 La fondazione del Partito Popolare significò di fatto il ritorno della partecipazione cattolica alla vita politica del paese seppur Sturzo ribadì sempre l’autonomia che intercorreva tra l’attività politica e l’istituzione della Chiesa.

58 A. Donia, op. cit.

59 Poco prima della morte, nel marzo del 1959, Sturzo pubblicò il suo Appello ai Siciliani nel quale suggeriva una politica economica nuova rispetto a quella intrapresa fino a quel momento, sostenendo il rimboschimento, il potenziamento della coltura del grano duro, denunciando l’assenza di un piano zootecnico e produttivo efficiente per sostenere l’allevamento e l’agricoltura siciliana,

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