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I diadochi ovvero l’eredità d’Alessandro Magno – Parte I

Quando nel Giugno del 323 a.c. Alessandro il macedone si spense improvvisamente a Babilonia, dal Mar Tirreno sino alle sponde dell’Indo si estendeva il più grande impero che il mondo avesse mai visto. Tantissimo si è scritto dell’avventura di questo giovane ardito e controverso sovrano che, in una via di mezzo tra un sogno e la trama di una tragedia greca, prima si spinse fino ai confini del mondo conosciuto per poi morire nel momento del massimo trionfo, quasi come se la volontà di conquista fosse stata la sua forza vitale e, una volta venuta meno quella, nella più lo avesse tenuto legato a questo piano dell’esistenza. Nello spazio di un mattino Alessandro aveva gettato un ponte tra il giovane e rampante occidente e il millenario oriente; tra la Grecia della filosofia e della istituzioni create a misura d’uomo e l’Asia del misticismo e dell’eredità di imperi secolari. Meno conosciuta è la storia di come questa grande struttura andò in frantumi dividendosi in varie entità autonome e spesso in lotta tra loro nel tentativo di resuscitare il sogno di quell’unità andata così rapidamente perduta. Questa è la storia dei diadochi (successori) che, come i cani da rapina di Tarantino, furono amici prima e iene poi, finendo per sbranarsi a vicenda; nei libri di storia la loro vicenda è spesso schiacciata tra l’eclissi finale del mondo greco e la prorompente ascesa di Roma eppure furono loro a dare forma compiuta al progetto alessandrino di incontro tra la cultura dell’occidente e dell’oriente gettando le basi per quell’universo d’arte, letteratura e pensiero che, sotto il nome d’ellenismo, avrebbe segnato l’intero bacino del Mediterraneo sino al trionfo del cristianesimo. Tutto ebbe inizio a Babilonia nella stanza in cui un agonizzante trentaduenne Alessandro, circondato dai suoi generali ed amici, consegnò il suo anello con sigillo a Perdicca, la persona più vicina rimastagli dopo la morte dell’amato Efestione. Il problema che sin da subito si pose era che, tecnicamente, non c’era un erede o meglio tutti i possibili eredi legittimi erano assolutamente incapaci d’assumersi l’onore della guida del grande impero appena costruito: la sposa persiana di Alessandro, Rossana, portava in grembo un bambino mentre l’unico discendente vivente degli Argeadi, la casa reale di Macedonia, era Arrideo, figlio di una delle seconde mogli di Filippo II, vittima però sin dalla nascita di una serie di handicap mentali (forse un’epilessia unita a qualche altra patologia). Nel campo macedone si determinò sin da subito una spaccatura: la cavalleria voleva attendere la nascita del figlio di Alessandro ed elevare questi al trono, mentre la fanteria fu per Arrideo in quanto comunque era il figlio del grande Filippo II la cui memoria era ancora viva in molti soldati. Si determinò così un compromesso, il primo dei tanti che avrebbero segnato questa storia: Arrideo salì al trono come Filippo III, ma con la condizione che, se il figlio di Alessandro e Rossana fosse stato un maschio, avrebbe condiviso il potere con questi. Ovviamente i problemi mentali di Arrideo e la minore età del bambino che nacque di lì a tre mesi, e che venne incoronato come Alessandro IV, rendevano necessaria una reggenza e tale ruolo fu assunto appunto da Perdicca il quale però dovette sin da subito trovare il giusto equilibrio tra la continuità della dinastia reale di Macedonia e gli appetiti dei generali di Alessandro. Era ovvio che la gestione di un impero così sconfinato richiedesse una minima decentralizzazione del potere a dei governatori, o satrapi volendo mantenere la vecchia denominazione achemenide; questi governatori non potevano che esseri gli stessi amici e compagni d’armi d’Alessandro i quali però una volta assunto il potere, mancando una forte autorità regale di riferimento, c’era il rischio potessero iniziare ad ambire di meritare di essere loro stessi a succedere al “conquistatore del mondo”. Difficile dire se già al momento della spartizione di Babilonia le speranze di mantenere l’impero sotto lo scettro dei Argeadi fossero poche o nulle oppure se, almeno in un primissimo momento, Perdicca e gli altri avessero davvero in animo di essere solo dei “custodi” per i legittimi eredi. Va sin da ora detto che la ricostruzione delle vicende dei diadochi è complicata dalla circostanza che non è giunta a noi nessuna opera di storici di lingua greca o latina sull’argomento; degli autori che trattarono questo periodo come Plutarco, Arriano, Cornelio Nepote o Pompeo Trogo o non sono giunte a noi le opere specificamente dedicate alla successione d’Alessandro o sono sopravvissute le biografia di singole figure, biografie in cui spesso più che il personaggio storico si andava a descrive una figura archetipa a scopo filosofico-moraleggiante. Tornando, dopo questa breve digressione, alle fasi immediatamente successive alla morte d’Alessandro abbiamo dunque Perdicca nel ruolo di reggente che deve decidere come e a chi assegnare le varie satrapie dell’impero mantenendo anche un equilibrio tra la vecchia guardia di coloro che era stati ufficiali già di Filippo II e i “giovani” della guardia del corpo di Alessandro che, in alcuni casi, avevano condiviso col defunto re l’educazione alla scuola di Aristotele. Per quanto attiene ai primi Antipatro venne confermato come governatore di Grecia e Macedonia, Antigono Monoftalmo ricevette la Frigia mentre Cratero, che in quel momento stava riconducendo a casa la parte d’esercito che non aveva seguito Alessandro nell’infernale traversata del deserto di Gedrosia, ricevette il non meglio precisato titolo di custode della regalità di Arrideo. Tra i giovani compagni d’Alessandro si distinsero in particolar modo Tolomeo che ricevette l’Egitto e Lisimaco che ottenne la Tracia (strategicamente fondamentale data la sua posizione a cavallo tra la parte europea e quella asiatica dell’impero); l’ex segretario di Filippo e di Alessandro Eumene di Cardia venne invece fatto satrapo della Cappadocia, anche se le sue origini greche generavano diffidenza sia tra le truppe che tra i diadochi. Altri ufficiali ed amici del defunto re ottennero satrapie e posizioni di vario tipo, ma finirono ben presto nell’ombra dei protagonisti delle vicende che di lì a poco si sarebbero accese. Interessante però notare come uno dei futuri protagonisti di questa vicenda, Seleuco, uscì quasi a mani vuote dalla spartizione di Babilonia; venne infatti nominato al prestigioso ruolo di comandante della cavalleria degli Eteri del re, senza però ricevere alcuna satrapia e dunque rimanendo sottoposto a Perdicca il quale mantenne il controllo del grosso di quello che era stato l’esercito di Alessandro e che adesso era accampato nei pressi di Babilonia. Tra i diadochi chi per primo mostrò segni d’inquietudine fu Tolomeo. Questi infatti aveva avuto la fortuna di ricevere il controllo di un territorio, l’Egitto, non solo etnicamente omogeneo, ma anche dotato di una millenaria struttura istituzionale-amministrativa ancora pienamente funzionante; il suo seguire l’esempio di Alessandro, tentando di farsi riconoscere come continuatore della tradizione dei faraoni come monarchi semi-divini, mostrava chiaramente quanto poca fosse la sua intenzione di sottomettersi alle direttive di Perdicca. Segno evidente di quest’intemperanza di Tolomeo fu il colpo di mano con cui il satrapo dell’Egitto “sequestrò” il corpo imbalsamato d’Alessandro, che Perdicca aveva intenzione di far riportare in Macedonia, per inumarlo prima nella necropoli di Saqqara e poi nell’oggi perduto Mausoleo appositamente costruito ad Alessandria. Nonostante questi screzi per i primi tre anni i diadochi si mantennero uniti affrontando insieme la così detta “guerra lamiaca”, cioè una rivolta anti-macedone di Atene, mentre Perdicca inaugurava quel sistema di alleanze matrimoniali che poi sarebbe diventata comune diplomazia tra i successori di Alessandro. Il reggente infatti prese in moglie Cleopatra, sorella di Alessandro Magno e vedova del re Alessandro dell’Epiro, ma proprio un matrimonio sarebbe stato all’origine della sua rovina. Il matrimonio in questione fu quello tra Filippo III e sua nipote Adea, la giovane era giunta a Sardi con la madre Cinnane, un’altra figlia di Filippo II, che però si scontrò con Perdicca finendo per essere fatta assassinare da questi. L’omicidio scandalizzò le frange più tradizionaliste dei macedoni, come detto ancora molto legate alla memoria di Filippo II, e ciò avvenne proprio nel momento in cui Antigono Monoftalmo, temendo che Perdicca potesse insidiargli la sua satrapia di Frigia, decise di rientrare in Macedonia per denunciare ad Antipatro e Cratero l’ambizione del reggente di usurpare il trono dei due giovani monarchi. A schierarsi con loro contro Perdicca furono sin da subito Tolomeo e Lisimaco, il primo perché temeva che prima o poi il reggente potesse fargli pagare la sua sempre più sfacciata condotta da sovrano indipendente, il secondo in quanto legato da un antico rapporto d’amicizia e collaborazione con Antipatro. La maggior parte dei satrapi dell’Asia rimase invece al fianco di Perdicca, ma tutti, ad eccezione di Eumene di Cardia lealmente fedele alle ultime volontà di Alessandro, pronti ad abbandonare la nave se questa avesse iniziato a fare acqua. Con lo sbarco di Antipatro e Cratero in Asia nei primi mesi del 320 a.c. ebbe inizio la prima guerra dei diadochi; Perdicca ordinò ad Eumene di contrastare la loro minaccia mentre lui si recava in Egitto per eliminare Tolomeo dall’equazione. L’ex-segretario di Alessandro svolse egregiamente il suo compito affrontando in battaglia le forze degli invasori e vincendole, vittoria che però per lui fu amara in quanto durante lo scontro morì Cratero di cui era stato un grandissimo amico. Antipatro decise di evitare ulteriori scontri e di muovere verso la Siria per provare ad unirsi con le forse di Tolomeo. Questi, consapevole della superiorità numerica dell’esercito di Perdicca, si accampò sulla sponda occidentale del Nilo presso Menfi, lasciando che fosse il fiume a vincere la battaglia per lui. I tentativi del reggente di traversare il sacro fiume furono infatti tutti dei fallimenti che costarono morti e feriti al suo esercito dove, ben presto iniziò a serpeggiare il malcontento; non ci volle molto perché scoppiasse un ammutinamento durante il quale Perdicca venne ucciso. Cornelio Nepote narra che a guidare l’azione e a colpire materialmente il reggente furono Seleuco e un altro ufficiale di alto rango di nome Antigene. Su suggerimento di Tolomeo l’esercito del fu reggente nominò due sovrintendenti alla transizione (Arrideo e Pitone) che decisero, dopo aver condannato a morte in contumacia Eumene per aver osato, lui greco, uccidere un generale macedone, di muovere verso Antipatro così da poter tenere un incontro con questi. Si giunse così alla seconda spartizione dell’impero di Alessandro in una non meglio precisata località della Siria di nome Triparadiso. Non appena giunti in loco Arrideo e Pitone, temendo il malcontento delle truppe che chiedevano il soldo arretrato e messi sotto pressione dalla moglie di Filippo III, che desiderava per sé la tutela del marito, si spogliarono volontariamente del loro ruolo chiamando una nuova assemblea dell’esercito perché scegliesse un nuovo reggente. La nomina cadde proprio su Antipatro il quale però, non avendo preso parte alla spedizione d’Alessandro, ignorava completamente la situazione asiatica e le necessità dei soldati macedoni in loco; un nuovo ammutinamento fu evitato solo dall’intervento di Antigono Monoftalmo e Seleuco che così guadagnarono ulteriori crediti presso il nuovo reggente. Antipatro decise di confermare a Lisimaco la Tracia e a Tolomeo l’Egitto, Selueco venne premiato per il suo tradimento con l’assegnazione dell’importante satrapia di Babilonia mentre Antigono Monoftalmo, oltre ad essere reinsediato in Frigia, venne incaricato della guerra contro Eumene di Cardia ricevendo però come capo della cavalleria, e sorvegliante, Cassandro figlio dello stesso Antipatro. Il reggente infine, molto tradizionalista e contrario al progetto di fusione oriente-occidente che era stato di Alessandro, decise di riportare in Macedonia i due sovrani. Il convengo di Triparadiso si concluse dunque con tutti i diadochi uniti contro il solo Eumene oggetto di una spietata caccia all’uomo in Anatolia da parte di Antigono Monoftalmo. Il nuovo equilibrio resse per quasi un anno durante il quale Seleuco si accattivò le simpatie della popolazione babilonese facendo ristrutturare il tempio di Baal, Tolomeo traghettò l’Egitto verso un’indipendenza sempre meno di mero fatto e Antipatro legò a sé tutti i diadochi dando loro in sposa una delle sue figlie: Fila sposò Demtrio figlio di Antigono Monoftalmo, Nicea sposò Lisimaco mentre Euridice sposò Tolomeo. Quando però nell’autunno 319 Antipatro morì di vecchiaia la situazione tornò in ebollizione; il reggente decise di lasciare il suo titolo non al figlio Cassandro, ma ad un altro vecchio generale di Filippo II cioè Poliperconte. Contrariato Cassandro decise di fuggire in Asia, probabilmente con l’aiuto di Lisimaco, per chiedere agli altri diadochi di supportarlo nell’ottenere cioè che riteneva suo per diritto ereditario. Antigono e Tolomeo, i quali ormai cercavano ogni occasione per aumentare la loro autonomia dal potere centrale, accolsero entusiasticamente il fuggiasco che già poteva contare sul supporto di Lisimaco, il quale mostrava così la sua intenzione di mantenere lo stretto legame di leale collaborazione con la dinastia degli Antipatridi. Poliperconte, resosi conto della minaccia, tentò di mettere in difficoltà il fronte nemico scatenando il caos nelle polis greche, quasi tutte rette da regimi oligarchici schierati a favore di Cassandro;  con un editto stilato a nome dei sovrani il reggente liberò le città greche dal controllo macedone invitandole ad abbattere le oligarchie installate dal suo predecessore. Ebbe così inizio la seconda guerra dei diadochi che ebbe tra le sue prime vittime Filippo III e sua moglie fatti uccidere da Olimpiade, madre di Alessandro Magno, che si vendicò così dell’offesa fattagli da Filippo II nel prendere in moglie la madre di questi. In Asia Antigono Monoftalmo cercò subito un accordo con Eumene di Cardia, assediato da quasi un anno a Nora in Anatolia, che accettò subito la proposta fattagli, salvo poi stracciarla quando gli giunse un’altra offerta di Poliperconte in nome dei sovrani di Macedonia legittimi successori di Alessandro Magno. Eumene si mosse così verso Oriente, inseguito dal Monotalmo, nella speranza di raccogliere l’alleanza di altri satrapi intenzionati, come lui, a restare fedeli alla dinastia degli Argeadi; giunto a Babilonia Eumene domandò il supporto il Seleuco il quale però rifiutò di entrare in relazioni con un condannato a morte in contumacia e chiese anzi ad Antigono di affrettare il passo perché, dalla Persia, stavano arrivando le truppe dei satrapi che avevano deciso di sostenere il cardiano. Le forze di questi erano superiore a quelle di Seleuco, ma il loro morale non era dei migliori perché non venivano pagate da molto tempo e non riuscivano proprio ad accettare l’idea di essere comandate da un greco. Eumene decise così di scendere a patti con Seleuco barattando la possibilità di passare indisturbato il Tigri in cambio della rinuncia ad atti ostili contro Babilonia; in tal modo il cardiano poté riunirsi a Susa con i suoi alleati orientali i quali però, anche loro, rifiutarono di riconoscere il suo comando. La soluzione pilatesca fu di istituire un comando democratico: ogni satrapo avrebbe mantenuto la guida delle sue forse e tutti si sarebbero riuniti giornalmente per decidere il da farsi… strada di sicuro successo. Frattanto Antigono Monoftalmo era giunto a Babilonia, dove aveva stretto un alleanza con Seleuco, e da lì si mosse vero la Susiana per affrontare Eumene; per mesi i due eserciti si confrontarono in scontri non risolutivi tra la Persia e la Media finché, nel gennaio 315, a Gabiene (forse l’odierna Isfahan in Iran) Antigono ottenne una vittoria decisiva, anche grazie alla defezione proprio delle truppe del cardiano che venne giustiziato pochi giorni dopo la battaglia. Seleuco venne ricompensato per essersi schierato dalla parte giusta con l’assegnazione, per mano di Antigono, della Susiana che poté aggiungere alla satrapia babilonese. Mentre in Asia finiva l’avventura di Eumene di Cardia, in Grecia Cassandro aveva ripreso il controllo di Atene, sostituendo il regime democratico da poco installatosi con un oligarchia censitaria guidata dal filosofo aristotelico Demetrio Falereo e imponendo l’installazione di una guarnigione macedone nel Pireo. Ripreso il controllo del grosso della Grecia continentale Cassandro si mosse verso Nord sconfiggendo Poliperconte, che fu costretto a trincerarsi in Etolia mantenendo il controllo di poche piazzeforti nel Peloponneso. Il figlio di Antipatro poté così entrare trionfalmente in Macedonia nell’estate del 316 a.c., rivendicare per sé il titolo di reggente e far giustiziare Olimpiade per l’assassinio di Filippo III. Sugello alla sua vittoria fu la creazione di un legame dinastico con gli Argeadi sposando Tessalonice, figlia di un altra delle varie mogli di Filippo II, a cui dedicò la nuova città che fece costruire sul golfo Termaico: Tessalonica l’odierna Salonicco. Nella primavera del 315 a.c. la seconda guerra dei diadochi si poté dire conclusa, ma stavolta non ci fu neanche la parvenza di una momentanea pace perché, non appena conclusa la pratica Poliperconte-Eumene, gli ex-alleati iniziarono subito a guardarsi in cagnesco. In particolare Tolomeo e Seleuco guardavano con sospetto Antigono Monoftalmo il quale, dopo la vittoria su Eumene, aveva esteso il suo controllo su tutta l’Anatolia, la Siria, la Palestina e la Mesopotamia. Se da un lato Tolomeo ormai sospettava automaticamente di chiunque potesse insediare il suo personale orticello sul Nilo, per quanto riguarda Selueco gli storici antichi affermano che l’attrito nacque allorché Antigono pretese i conti della satrapia babilonese nello stesso modo in cui lo avrebbe chiesto a un suo subordinato. Non sappiamo se questa storia sia vera, ma certamente non serviva questa offesa per spingere Seleuco a guardare con preoccupazione all’enorme potere che il Monoftalmo aveva acquisito al termine dell’ultima guerra. Temendo un colpo preventivo di Antigono, Selueco fuggì in Egitto e qui prese contatti anche con Cassandro e Lisimaco paventandogli la minaccia costituita dal nuovo “signore dell’Asia”. I quattro diadochi decisero così di stringere una formale alleanza militare e inviare un ultimatum ad Antigono nel quale gli imponeva di dividere con loro le terre acquisite dopo la vittoria su Eumene, di fronte al rifiuto del Monoftalmo, forse alla fine del 315 a.c., ebbe inizio la terza guerra dei diadochi. Si tratta del conflitto più difficile da ricostruire in quanto l’unico autore classico che ne tratta in un opera giunta sino a noi è Diodoro Siculo; sulla base del suo racconto possiamo affermare che i quattro avversari del Monoftalmo, che aveva per braccio destro il suo giovane, ma già brillante figlio Demetrio, cercarono di evitare che questi potesse concentrare le sue forze contro un avversario per volta portando avanti una strategia “totale” che costringesse Antigono a operare contemporaneamente su più fronti. Nello specifico Lisimaco e Cassandro passarono all’offensiva in Frigia per assumere il controllo dell’Egeo e dell’Ellesponto, così da evitare anche il rischio di un’invasione della Grecia dove le pulsioni anti-macedoni covavano sempre sotto la cenere, nonché provarono a spingersi fino in Cappadocia così da escludere Antigono dal Mar Nero; Tolomeo invece puntò sulla Siria e alle foreste di cedro del Libano così da impedire al Monoftalmo di costruire una flotta con cui controllare tutti il Mediterraneo Orientale, infine tutti furono concordi che Seleuco dovesse essere restaurato a Babilonia così da sottrarre all’avversario le poderose risorse finanziare provenienti da questa satrapia. Antigono però non rimase in attesa che i suoi avversari gli saltassero alla gola e, nella primavera del 314 a.c., mosse contro Tiro, alleata di Tolomeo, e inviò un suo collaboratore in Grecia per stringere un alleanza con Poliperconte, ancora asserragliato in Etolia. Ottenuto l’appoggio dell’ex reggente il Monoftalmo denunciò alle sue truppe Cassandro come una minaccia per il piccolo Alessandro IV, rivendicando a sé il titolo di suo tutore, e allo stesso tempo, con il così detto decreto di Tiro, proclamò che tutte le Polis greche sia in Ellade che in Asia Minore dovevano essere “libere, esenti da guarnigioni ed autonome”. Ovviamente con tale manovra Antigono contava di provocare un’ampia insurrezione anti-Cassandro in Grecia; Tolomeo, che aveva affidato la sua potente flotta a Seleuco, emise un decreto identico nel tentativo di accattivarsi i favori dei greci il che mostra che i diadochi, per quanto alleati contro il Monoftalmo, non perdevano di vista l’occasione di rosicchiarsi vicendevolmente posizioni di potere. Seleuco, al comando della flotta egiziana, prima tentò una dimostrazione di forza davanti a varie città schierate a favore di Antigono, ma questi riuscì a rincuorarle garantendo che col nuovo anno anche lui avrebbe avuto una flotta da contrapporre a quella nemica, poi tentò, fallendo, di prendere la città di Eritre di fronte all’isola di Chio. Ritiratosi a Cipro venne qui raggiunto da rinforzi inviati da Tolomeo coi quali acquisì il controllo della grande isola; questa divenne una base per colpire le forze antigonidi che traversavano la Cilicia per giungere in Siria e in questo contesto Policlito, luogotenente di Seleuco, ottenne una grande vittoria catturando una flotta del Monoftalmo e molti prigionieri. A seguito di questo successo Antigono e Tolomeo si incontrarono a Burrone, una non meglio precisata località sul delta del Nilo, per tentare di trovare un compromesso, ma la trattativa fallì e la guerra continuò. Antigono fu sin da subito molto attivo anche nel teatro dell’Egeo dove, sin dal primo anno di conflitto, aveva inviato suo nipote Polomeo con una forte forza per contrastare sia le iniziative navali di Seleuco, sia possibili tentativi d’invasione da parte di Cassandro e Lisimaco. Nel 313 a.c, poi il Monoftalmo, padrone finalmente di una consistente flotta, riuscì a spingere molte delle isole egee a schierarsi dalla sua parte e a tal fine venne creata la Lega degli isolani o seconda Lega di Delo. Come detto i suoi piani per la Grecia si fondavano anche sull’alleanza con Poliperconte, ma tale accordo naufragò ben presto il quanto il figlio dell’ex reggente, Alessandro, si fece irretire dalla promessa di Cassandro di farlo signore del Peloponneso cambiando repentinamente schieramento; sebbene Alessandro venne assassinato poco dopo l’energica moglie di questi, Cratesipoli, rimase fedele all’accordo col diadoco della Macedonia facendo fallire i piani di Antigono per l’apertura di un  vasto fronte greco nel conflitto. Sempre nel 313 a.c. lo stesso Cassandro provò a intervenire in Carisa per supportare le città alleate di Tolomeo, ma l’unico risultato che ebbe questa spedizione fu di spingere Antigono a lasciare la Siria, dove rimase suo figlio Demetrio, per assumere personalmente la conduzione delle operazioni nell’Egeo, con l’obiettivo ultimo di lanciare un’invasione della Macedonia. Per far questo però era necessario aprirsi una via d’accesso attraverso la Tracia di Lisimaco e, a tal scopo, Antigono tentò di allontanare l’attenzione di questi fomentando la rivolta delle polis sulla costa tracica del Mar Nero; il diadoco della Tracia riuscì però sia ad avere ragione delle città ribelli, sia a sbaragliare l’esercito antigonide inviato a loro supporto. Questa vittoria lisimachea spinse Cassandro a ritirarsi dai negoziati di pace che Antigono aveva di nuovo tentato di intavolare per spezzare il fronte dei suoi nemici; rimasto quindi solo con l’opzione militare il Monoftalmo nel 312 a.c prima riuscì a far sbarcare un esercito guidato da Ptolomeo in Beozia, da dove avrebbe tenuto per un po’ di tempo in scacco Cassandro, e poi tentò di forzare Bisanzio a schierarsi dalla sua parte per aprirsi il passaggio del Bosforo. La futura Costantinopoli però, avendo su di sé l’occhio vigile di Lisimaco, si mantenne neutrale costringendo così Antigono ad entrare negli accampamenti invernali senza essere riuscito a compiere significativi passi avanti nella risoluzione del conflitto. Franca Landucci, nel suo libro dedicato alle guerre dei diadochi, fa secondo me giustamente osservare come i maggiori meriti nel fallimento del Monoftalmo a passare in Europa vadano riconosciuti a Lisimaco il quale, dimostrando grandi abilità strategiche, fece buona guardia in Tracia tenendo così ben protette le spalle di Cassandro, il quale altrimenti avrebbe rischiato di ritrovarsi stretto tra le difficoltà in Grecia e un esercito antigonide proveniente dall’Asia. Il 312 a.c. fu negativo per lo schieramento del Monoftalmo anche in Siria; qui, come detto, era rimasto il figlio di questi Demetrio che si trovò a subire l’iniziativa di Tolomeo, il quale da tempo aveva progettato di estendere il suo dominio fino alla costa libanese. Dopo una devastante razzia navale lungo le coste della Cilicia e della Siria il diadoco d’Egitto venne convinto da Seleuco a tentare di ingaggiar battaglia contro Demetrio il quale, sicuro che ormai il periodo delle operazioni militari fosse concluso, si era già ritirato negli accampamenti invernali. Saputo invece che i suoi nemici erano entrati in Palestina spingendosi sin sotto Gaza, il figlio di Antigono decise, contro l’opinione dei consiglieri lasciatigli dal padre, di accettare lo scontro subendo una cocente sconfitta; non solo dovette ritirarsi, ma perse sia Gaza che il suo accampamento dove era anche il bagaglio reale. Seleuco decise di sfruttare il successo e, convinto Tolomeo a dargli forze sufficienti, tentò di recuperare Babilonia; Diodoro Siculo narra di questa spedizione verso Oriente coi toni drammatici di un’anabasi di Senofonte, tutto allo scopo di mostrare Seleuco, nei confronti del quale lo storico parteggia, come un predestinato alla gloria. In effetti il diadoco riuscì non solo a recuperare la sua satrapia, ma estese anche il suo dominio sulla Media e sulla Susiana; da parte sua Tolomeo concluse l’occupazione della Palestina e riconquistò Tiro e Sidone, ma fallì dal riuscire ad espellere Demetrio dalla Siria venendo da questi sconfitto. Nonostante questo successo Demetrio non si sentiva abbastanza forte per tenere testa da solo a Tolomeo per cui, agli inizi del 311 a.c., chiese a suo padre di raggiungerlo con dei rinforzi; Antigono, tramontate l’anno prima le sue speranze di passare l’Egeo, stipulò una tregua con Lisimaco a Cassandro per recarsi subito in Siria. Tolomeo scelse di evitare lo scontro abbandonando i territori conquistati, ma portando con se un grande bottino; in un primo momento Antigono parve intenzionato a tentare di attaccare l’Egitto, ma un nuovo fallimento di Demetrio contro i Nabatei e le notizie che giungevano da Babilonia lo spinsero, dopo aver inviato il figlio ad est, a intavolare trattative di pace anche con il diadoco d’Egitto. Si giunse così alla così detta pace dei Dinasti tra Antigono da un parte e Lismaco, Cassandro e Tolomeo dall’altro che, in sostanza, stabilì un ritorno allo status quo ante con da un lato la rinuncia del Monoftalmo a rivendicare per sé il titolo di reggente e, dall’altra parte, la rinuncia dei suoi avversari a ottenere porzioni dei suoi domini asiatici; infine, in senso più formale che sostanziale, venne ribadita la libertà delle polis greche. Da questa pace rimase escluso Seleuco il quale dunque rimase da solo a vedersela con Antingono, il diadoco di Babilonia però si stava dimostrando un avversario non facile da battere. Demetrio infatti, giunto in Mesopotamia, non riuscì a ingaggiare uno scontro decisivo in quanto la guarnigione lasciata da Seleuco a Babilonia, lui si era spinto ad est per allargare i suoi domini, in parte si ritirò nel terreno paludoso intorno alla città fatta evacuare, in parte si arroccò nelle due acropoli di cui solo di una gli antigonidi riuscirono ad ottenere la resa. Seleuco inoltre aveva il supporto della popolazione locale mentre le forze di Demetrio ed Antigono erano viste come spietati razziatori; gli storici classici narrano di una babilonide devastata dal conflitto con fame e misera diffusi in ogni strato della popolazione. Sebbene non abbiamo una cronaca esatta degli eventi di questo conflitto pare certo che, tra il 310 e il 309 a.c., lo stesso Antigono sia giunto a Oriente, ma, nonostante i tentativi fatti, alla fine fu costretto a ritirarsi senza essere riuscito a schiacciare la resistenza di Seleuco. Non abbiamo notizie di un accordo di pace tra i due diadochi, ma tutto lascia supporre che, almeno per il momento, il Monoftlamo dovette rinunciare alla sua speranza di restaurare il suo dominio sui territori ad est dell’Eufrate; che Seleuco sia uscito vincitore dallo scontro sembra poi confermato anche dal fatto che, questa sua restaurazione nel dominio di Babilonia, è l’anno zero dell’era seleucide cioè il nuovo sistema di computazione degli anni, adottato in quel periodo in Mesopotamia, che sarebbe rimasto in uso anche dopo la fine della dinastia dei seleucidi. Così, alla fine del 309 a.c., quello che era stato l’Impero di Alessandro Magno era di fatto stato diviso in cinque grandi domini autonomi: la Macedonia sotto Cassandro, la Tracia sotto Lisimaco, l’Egitto sotto Tolomeo, l’Asia Minore sotto Antigono e l’Oriente babilonico-persiano sotto Seleuco. Vittima di questo nuovo equilibrio fu il piccolo figlio di Alessandro Magno, Alessandro IV, fatto assassinare da Cassandro insieme alla madre Rossana; questo delitto ebbe certamente il consenso degli altri diadochi che ormai vedevano nel piccolo sovrano null’altro che un ostacolo alle loro ambizioni di completa autonomia. Si estinse così la dinastia degli Argeadi a neanche vent’anni dalla sua massima apoteosi. Comunque più che una pace quella dei Dinasti fu una tregua armata in attesa della successiva occasione di reciproco regolamento dei conti e sin dal 309 a.c. tutti i diadochi lavorarono alacremente per rafforzare la loro posizione sia da un punto di vista interno che estero. Fu in questo periodo che vennero fondate nuove città che sarebbero dovute diventare i centri del potere dei nuovi regni dei diadochi: Seleucia sul Tigri, Antigoneia sull’Oronte, Cassandrea nella penisola calcidica e infine Lisimachia nel Chersoneso tracico; non era una mera manifestazione di ego, ma una precisa affermazione della loro nuova e assoluta autorità suoi territori di cui ormai si erano stabilmente impossessati. Seleuco, oltre alla ricostruzione della babilonide dopo le sofferenze della guerra contro Antigono, si dedicò anche ad estendere i suoi domini ad est per riconfermare quel confine sull’Indo che già era stato di Alessandro Magno. Occupò dunque tutta la Media e la Persia nonché ottenne la sottomissione della Battriana (all’incirca l’odierno Afghanistan) regione da cui proveniva sua moglie Apama (Seleuco infatti era uno dei pochi macedoni che aveva scelto di restare fedele alla moglie orientale che Alessandro Magno gli aveva assegnato durante le nozze di Susa nel 324 a.c.). La sua marcia verso Oriente trovò però un argine sull’Indo nella persona del giovane e brillante principe indiano Chandragupta fondatore dell’Impero Maurya; nonostante i tentativi Seleuco infatti non riuscì a ristabilire il confine di Alessandro e dovette accettare una pace nel 303 a.c. in base alla quale il diadoco rinunciava alla valle dell’Indo e ai territori di confine della Aracosia e Gedrosia ricevendo in cambio un alleanza matrimoniale nonché 500 elefanti da guerra. Tra i diadochi comunque il più attivo fu certamente Antigono il quale, probabilmente, era l’unico a nutrire ancora la speranza di poter riunire sotto di sé tutto l’Impero. Fu quasi certamente il Monoftalmo ad istigare Poliperconte a chiamare a sé da Pergamo un presunto figlio naturale di Alessandro Magno, Eracle nato apparentemente dalla relazione tra il sovrano macedone e la sua concubina persiana Barsine, al fine di delegittimare l’autorità di Cassandro in Macedonia. Il tentativo però non ebbe seguito in quanto il diadoco della Macedonia, attraverso lusinghe e regalie, convinse Poliperconte a sbarazzarsi del possibile rivale per suo conto. Anche Tolomeo, che aveva in ambizione di diventare il protettore delle comunità greche nell’Egeo e in Asia Minore, si diede da fare e, dopo aver accusato Antigono di essere venuto meno agli accordi della pace dei dinasti, attaccò Cipro, dove riuscì a stabilire una forte presenza, e la Cilicia, dove invece fallì. Nella Primavera del 309 a.c. il diadoco d’Egitto portò la sua grande flotta nell’Egeo conquistando varie città della Lidia e della Caria senza però riuscire ad espugnare l’importante Alicarnasso; fu in questo periodo che avvenne un evento che conviene narrare per mettere in chiaro la natura dei rapporti matrimoniali nel mondo dei diadochi. Come si ricorderà il padre di Cassandro, Antipatro, aveva dato in moglie a Tolomeo sua figlia Euridice; questa era giunta in Egitto portando con sé come sua dama di compagnia la “parente povera” Berenice, di cui però ben presto Tolomeo di innamorò perdutamente. Nonostante il matrimonio tra il diadoco ed Euridice avesse già generato due figli, alla fine Tolomeo decise di prendere il moglie Berenice e da questa unione sarebbe nato il futuro sovrano d’Egitto Tolomeo II Filadelfo. Generalmente gli storici, nella convinzione che i diadochi fossero rigorosamente monogami, hanno supposto che ogni nuovo matrimonio implicasse il preventivo ripudio del precedente coniuge, ma più recentemente si è fatta strada l’ipotesi che in realtà i successori di Alessandro, fedeli a un costume già proprio dei re di Macedonia (vedi i vari figli di Filippo II), fossero poligami e quindi usi ad avere una pluralità di mogli ufficiali. Questa tesi aiuterebbe anche a spiegare perché nelle dinastie dei diadochi si sarebbero, coi secoli, accese con regolarità violente lotte fratricide per la successione al trono (tra fratelli nati da uno stesso padre, ma da madri diverse). La differenza non è di poco conto perché se Tolomeo ripudiò Euridice sicuramente si assunse il rischio di guastare i buoni rapporti con il fratello di questa Cassandro, mentre nel caso vi fosse un rapporto poligamo, per altro culturalmente proprio del mondo macedone, il diadoco d’Egitto avrebbe potuto unirsi con Berenice senza rischiare un incidente diplomatico. Ulteriore prova a supporto dell’ipotesi della poligamia è la vicenda di Lisimaco che tra il 302 e il 301 a.c. sposò la nobile persiana Amastri, vedova del tiranno di Eraclea Pontica; anche questo diadoco però aveva già sposato una sorella di Cassandro, Nicea, per cui, essendo improbabile che Lisimaco abbia ripudiato la sorella del suo più antico e stretto alleato, o questa era già morta al tempo delle nuove nozze, come si è a lungo supposto data la sua scomparsa dalle fonti classiche, oppure anche in questo caso vi fu un rapporto poligamo. Conclusa questa parentesi, che ci sarà utile per valutare i vari matrimoni e rapporti filiali che saranno protagonisti nella seconda parte di questa storia, torniamo ad Antigono il quale, nonostante il fallimento dell’operazione Eracle, rimase attivo tentando di mettere fuori combattimento gli altri diadochi prima che questi potessero coalizzarsi contro di lui; dall’ultimo conflitto il Monoftalmo aveva infatti compreso che, se uniti, i suoi avversari lo avrebbero di nuovo costretto a dividere le sue forze impedendogli di vibrare un duro e decisivo colpo contro di essi. Il primo affondo fu diretto verso la Grecia per annullare l’influenza sulle polis locali sia di Cassandro che di Tolomeo; una spedizione guidata da Demetrio attaccò Atene e, dopo un assedio sia per terra che mare, espugnò la città nel 307 a.c. restaurando un governo democratico che si alleò subito con Antigono. In onore delle capacità dimostrare durante l’attacco alla capitale dell’Attica, e in particolare per il sagace uso di nuove macchine d’assedio, Demetrio ricevette il soprannome di Poliorcete (assediatore). Espugnata Atene il figlio del Monoftalmo si diresse verso Cipro, difesa da Menelao fratello di Tolomeo, e sbarcò costringendo l’avversario sconfitto a rinchiudersi dentro la città di Salamina in attesa dei rinforzi dall’Egitto; questi però, guidati dal diadoco d’Egitto in persona, subirono una devastante sconfitta navale nelle acque di fronte alla città e dovettero ritirarsi verso Cizio mentre Demetrio assumeva il controllo dell’intera isola. Antigono, esaltato dai trionfi del figlio, nella tarda primavera del 305 a.c. decise di rompere gli indugi e abbandonare gli ultimi timori formali assumendo il titolo di re associandosi Demetrio al trono; gli altri diadochi, per timore di apparire subordinati al Monoftalmo, lo imitarono e si proclamarono a loro volta sovrani dei territori sotto il loro dominio. Il processo di sgretolamento dell’Impero di Alessandro Magno giungeva così al suo ufficiale compimento; con l’abbandono di ogni restante formalismo e la nascita di cinque regni tra loro indipendenti si certificava la spartizione di quello che era stato il grande domino del sovrano macedone. Altra conclusione non poteva esserci visto che ormai da più di vent’anni i diadochi comandavano i territori che erano stai loro assegnati ai tempi della spartizione di Babilonia come loro domini personali e guardando con ostilità ogni iniziativa che in qualche modo potesse fermare questa spinta centrifuga; l’estinzione poi della dinastia degli Argeadi fece anche venir meno quell’elemento sentimentale che poteva consigliare ai diadochi quanto meno un rispetto delle apparenze. La fine dell’Impero però non volle dire anche la fine del sogno di poterlo restaurare; Antigono infatti scelse di proclamarsi re proprio al fine di rivendicare la propria intenzione di riunire sotto di sé le terre che erano state di Alessandro Magno e anche negli altri neo sovrani (tranne forse Tolomeo) la speranza di poter divenire non più solo uno dei diadochi, ma il diadoco di Alessandro il grande rimase lì fino alla loro scomparsa. Il senso comunque della perdita di qualcosa, che sarebbe potuto essere grande se il destino non fosse stato cinico, rimase nella memoria della nuova cultura ellenistica e ancora Plutarco, vissuto secoli dopo i diadochi, avrebbe scritto, in merito all’assunzione dei titoli regi, queste dure parole: “Questo titolo (re), però, non significava soltanto aggiungere una parola e mutare un tratto di abbigliamento; finì bensì per influenzare la mentalità degli interessati, eccitandone i propositi, e per introdurre nel comportamento e nei rapporti esterni un’alterigia disturbante… Onde essi divennero più dispotici anche nei giudizi, abbandonando quella dissimulazione del potere che in molti casi li faceva prima più duttili verso i loro sudditi e quindi più accondiscendenti.”.

 

Bibliografia:

  • Franca Landucci, Il testamento di Alessandro – La Grecia dall’Impero ai Regni

 

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