Di Carlo Bonaccorso
In questa nuova pubblicazione, si andrà ad esaminare la partecipazione elettorale del movimento dei fasci siciliani alle elezioni amministrative che si svolsero in numerosi comuni della Sicilia nel luglio del 1893. In questo lavoro interesserà capire in che modo i fasci arrivarono all’appuntamento e come la partecipazione fu sentita in maniera differente nell’area orientale rispetto a quella occidentale.
Quello della conquista dei poteri pubblici, fu un obiettivo che il movimento politico – sindacale siciliano definì durante i congressi di Palermo di maggio 18931; la partecipazione elettorale doveva essere un mezzo di propaganda principalmente, utile per diffondere le idee socialiste, ma anche un ulteriore strumento di lotta legalitaria.2 Come sostenne Nicola Barbato, non era con le dimostrazioni violente che si poteva conseguire l’abolizione del dazio sulla farina, ma con l’elezione di un numero sufficiente di consiglieri socialisti.3 La legge elettorale n. 999 in vigore in quegli anni venne introdotta nel 1882, durante il governo di sinistra di Depretis.4 Essa aumentò il numero degli aventi diritto al voto che passarono da 628.000 a 2.000.0005; sostituì i collegi uninominali con quelli plurinominali di lista (i deputati eletti così passarono così da 2 a 5)6; l’età utile per votare venne ridotta a 21 anni a tutti coloro che pagavano 19,80 lire di tasse annuali o che dimostravano il possesso del biennio di scuola elementare.
Le elezioni che si svolsero il 9 luglio e nelle domeniche successive, videro la vittoria di numerosi socialisti nonostante i tentativi di boicottaggio nei diversi comuni7: a Piana dei Greci8, San Giuseppe Jato9, Sancipirrello10, Messina, Caltanissetta11, Partinico, Alcamo, Aragona, Zafferana Etnea, Prizzi (dove i fasci sfidarono il potere di Camillo Finocchiaro Aprile eleggendo il Presidente – operaio del Fascio locale, arrestato pochi giorni prima per uno sciopero dei braccianti locali) vennero presentate liste composte da contadini, operai, artigiani. Nelle zone del centro, invece, soprattutto laddove vi era la presenza maggiore dei lavoratori delle miniere, le liste presentate furono poche. Le vittorie riportare furono per Bosco la conferma del giusto percorso politico intrapreso dal movimento; pochi giorni dopo i risultati delle elezioni amministrative, scrisse su Lotta di classe, organo ufficiale del Partito dei lavoratori italiani: “Il 9 luglio resterà memorabile nella storia del movimento socialista siciliano. […] Da oggi il forte Partito siciliano è uscito dalle affermazioni vaghe ed è entrato nella via delle affermazioni vere e reali. […] I contadini si recano alle urne, in corpo, con la musica in testa, sprezzando le offerte corruttrici e le minacce dei padroni, a deporre la scheda nell’urna, ubbidendo fedelmente alla tattica imposta dal comitato centrale.”12 Ed in effetti, le elezioni di numerosi socialisti fascianti non furono solo una dimostrazione dell’efficacia della lotta dei fasci, ma per le classi popolari significò anche dare allo strumento del voto un valore importante.
Fino a quel momento, infatti, votare era un qualcosa di esclusivo interesse borghese; chi aveva diritto di voto, sceglieva la propria preferenza in base a ciò che decidevano per loro i baroni della politica locale. Non stupisce perciò la preoccupazione che il governo Giolitti e tutta la classe politica italiana espressero nel constatare i risultati ottenuti dal movimento dei Fasci.
A Catania vennero eletti De Felice, Macchi, Buscaino, Marino e Fichera, tutti fascianti. La città etnea però ebbe un approccio diverso rispetto a quello voluto da Bosco e dal gruppo dirigente palermitano; De Felice non volle mai chiudere con i radicali e con gli anarchici, entrando in conflitto con i dirigenti delle province occidentali che seguirono la linea dettata dal Partito dei lavoratori italiani, ovvero quella della partecipazione elettorale senza nessuna alleanza. Fu per questo, probabilmente, che nel decretare la vittoria dei fasci e dei socialisti siciliani, Bosco non citò la città di Catania che faceva caso a sé, così come non nomino Scicli dove venne eletto l’Avvocato Mormina Penna, figura di rilievo del movimento dei fasci nel siracusano e nel ragusano; su questa vittoria elettorale vi furono forti perplessità legate alle poco chiare alleanze che il Penna sviluppò durante la campagna elettorale.13 Tuttavia, il Presidente del fascio palermitano dovette fare i conti con la forte discussione che si creò all’interno del gruppo dirigente locale; se Palermo, infatti, incentivò la partecipazione alle elezioni, il fascio qui non riuscì ad organizzare efficacemente le candidature e di conseguenza non vi partecipò14. In una riunione del 28 maggio, il fascio decise di astenersi e nel giorno delle elezioni organizzò una riunione nel quale si denunciava l’inutilità delle elezioni e la corruzione ivi dominante; Ceraulo dichiarò “Noi non vogliamo imbrattarci la coscienza con il riporre nell’urna il nome di un avvocato, di un blasonato che succhia il nostro sangue.”15
Cosa abbia fatto cambiare improvvisamente idea ai dirigenti di Palermo, ancora oggi rimane un mistero. Il fatto potrebbe essere giustificato dall’intenzione di una parte del direttivo (Tognazzi e Ceraulo soprattutto) di voler “giustificare” la mancata presenza alle elezioni, coprendola con una precisa scelta politica che però di fatto, cozzava in maniera piuttosto evidente con le posizioni ufficiali del Fascio che seguiva quelle decretate ai congressi di maggio. E laddove invece ci si aspettava una forte posizione astensionistica, vi fu una partecipazione elettorale vincente. Il caso di Messina è emblematico in tal senso. Le due figure maggiormente rappresentative del fascio, Nicola Petrina e Giovanni Noè, socialisti filo anarchici, non solo parteciparono ma vinsero raccogliendo un alto numero di voti; se Petrina non fu mai apertamente contrario, Noè invece contestò sempre l’uso dello strumento elettorale e si oppose alla decisione presa ai congressi di Palermo. Nel giustificare perciò la sua partecipazione, egli ebbe a dire “Amici e compagni carissimi, nonostante avessi declinata con lettera pubblica la candidatura da voi offertami a Consigliere comunale, pure il mio nome ha raccolto un larghissimo suffragio, del che mi sento lusingato come da dimostrazione di affetto e di fiducia di cui mi avete voluto onorare, e ve ne rendo sentitissime grazie. Per altro una lotta gagliarda si è entro me stesso impegnata sull’accettare o meno il mandato da voi affidatomi, e dopo molte esitazioni io mi sono deciso a sedere in Consiglio comunale sospintovi da un unico motivo. Molti, troppi anzi tra voi serbano tuttavia la dolorosa illusione che le assemblee politiche o amministrative possano lenire i mali che vi travagliavano e in qualsiasi modo riuscire di efficace ausilio alla rivendicazione dei vostri diritti, alla redenzione vostra. Non si accorgono che la natura stessa delle istituzioni da una parte, la perversità degli uomini dall’altra sono ostacolo insormontabile a che la lotta pel conseguimento dei nostri ideali in misura anco minima se ne avvantaggi. Nulla quindi sperate dalla mia presenza in Consiglio comunale: la mia voce unita a quella di qualche altro nostro compagno varrà in Consiglio a ricordare e proclamare che i vostri diritti giacciono conculcati. […] E quando vedrete che l’opera dei vostri rappresentanti, nonostante l’amore e lo zelo posto nella lotta, riuscirà assolutamente vana […], allora in tutti voi, compagni carissimi, si formerà salda la convinzione che valersi dei mezzi legali in genere e vincere le battaglie elettorali in specie a nulla approda, ma che a mezze più radicali e più efficaci e di tutta altra natura è uopo ricorrere.”16
Petrina, dal canto suo, che oscillò più e più volte tra il socialismo legalitario e l’anarchismo, in risposta a chi lo accusava di incoerenza per aver accettato la candidatura, sostenne che “A Messina il popolo sa di essere gabbato da tutti e specialmente dal governo che tutto gli ha tolto, e, vindice dei suoi coscienti malumori, delle ingiustizie, delle umiliazioni patite, dice al governo: voi ci avete per trentatré anni deriso, e noi vi mandiamo la prima sfida…Messina è stanca di questo ambiente ammorbato da corruzioni impunite e da favoritismi inconfessabili; Messina è stanca del governo dei mercanti, Messina vuol vedere che cosa faranno i ribelli all’opera. Parlando così chiaramente senza mendicare niente da chi come voi non pensa, si può ben accettare la candidatura a consigliere comunale il cui significato rimane sintetizzato in due parole: salvacondotto popolare e protesta contro tutte le infamie del sistema, contro tutte le sopraffazioni disoneste, contro tutte le viltà governanti, contro tutti i ladri del pubblico denaro. Ai fatti il resto.”17
Se a Catania e Messina le elezioni furono indubbiamente sentite e partecipate, nella Sicilia sud – orientale, eccezione fatta per l’elezione di Penna a Scicli e la candidatura dell’avvocato Leone al consiglio provinciale di Floridia18, le elezioni per i fasci locali non ebbero lo stesso riscontro che ottennero nel resto dell’isola. Giuseppe De Stefano Paternò, figura di spicco del movimento dei fasci nel siracusano, le definì un fatto marginale, un aspetto di poco conto nell’ancor breve vita dell’organizzazione dei fasci.19
La partecipazione dei fasci alle elezioni amministrative, nonostante le difficoltà incontrate in alcune zone, fu un fatto di grande importanza nella storia del movimento contadino e operaio siciliano in quanto, per la prima volta, forze composte unicamente da lavoratori entravano nelle lotte politiche fino a quel momento d’interesse esclusivamente borghese, elevando ad un grado superiore il processo d’emancipazione delle classi lavoratrici. Processo d’emancipazione che trovò maggior vigore nella partecipazione delle donne contadine alle lotte agrarie, non più figure passive della storia, ma elementi attivi di un movimento che rivendicò maggiori diritti e delineò le posizioni del movimento proletario negli anni successivi.
Di quelle donne parleremo nel prossimo saggio.
Note:
1 A giugno, il Comitato Direttivo inviò lettere ai comitati provinciali e alle sezioni, nonché alle associazioni socialiste federate per ricordare le decisioni prese a maggio ai congressi, in particolare per quel che riguardava la partecipazione alle elezioni; s’incentivarono le sezioni a far iscrivere i soci alle liste elettorali e a comunicare i nomi dei candidati, nonché a seguire il programma del Partito dei lavoratori italiani. La circolare aveva come scopo soprattutto quello di contrastare i cosiddetti fasci apocrifi, quelli cioè che non seguivano il programma socialista e che spesso erano creazioni di politici locali che se ne servivano come strumento per guadagnare voti. ASS, b.3308, Il ministero dell’interno al prefetto di Siracusa, in F. Renda, I Fasci siciliani 1892 – 94, Piccola Biblioteca Einaudi, 1977, Torino
2 G. Oddo, Il miraggio della terra nella Sicilia postrisorgimentale (1861 – 1894), Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2013
3 A.S.P., b. 136, f. 3, Il prefetto di Palermo al ministero dell’interno, Palermo, 3 agosto 1893, oggetto: Fascio dei lavoratori di Marineo. Conferenza di Barbato Nicola.
4 Prima di quella, era in vigore la legge elettorale piemontese del 20 novembre 1859, poi modificata il 17 dicembre 1860. La prima legislatura italiana fu ufficialmente l’ottava del parlamento del Regno del Piemonte. Essa prevedeva un sistema maggioritario a doppio turno; vennero duplicate le circoscrizione dei collegi elettorali, dimezzando di fatto il numero (da 770 a 443); vennero inoltre traferite diverse sezioni in modo da favorire l’influenza di quelle rurali, maggiormente controllate dai signorotti locali che avevano totale controllo sui piccoli elettori; il diritto di voto era concesso a coloro che avevano raggiunto i 25 anni d’età e che pagavano 40 lire annuali di tasse (una cifra alta per quel tempo). La percentuale degli aventi diritto al voto era in totale dell’1,87%. Gabriella Portalone Gentile, La Sicilia post-unitaria nel dibattito parlamentare (1861 – 1867), Istituto siciliano di studi politici ed economici, Palermo, 1990.
5 In percentuale, gli elettorali passarono dal 2 al 7%.
6 La modifica, con legge del 5 maggio 1891 n.210, riportò nuovamente il maggioritario uninominale.
7 Le amministrazioni locali, i proprietari terrieri e i gabelloti tentarono in diversi comuni di operare revisioni nelle liste elettorali, come a Corleone, dove Bernardino Verro in segno di protesta, decise di ritirare la candidatura; la maggior parte dei tentativi di sabotare le liste dei fasci, comunque, fallirono.
8 Qui alle elezioni del 13 luglio, vi fu una grande vittoria di Nicola Barbato, del calzolaio Michelangelo Falzone e alcuni contadini. (E. Burba, Da arbëreshë a italo-americani, Quaderni di Biblos, 2013, Palermo)
9 Risultarono eletti tutti i candidati presenti in lista. Giustizia Sociale e Lotta di Classe di Milano, 15 – 16 luglio 1893; Unione di Catania, 9 luglio 1893.
10 Qui gli avversari politici dei socialisti preferirono ritirarsi dalla competizione elettorale. F. Renda, op. cit.
11 Qui vennero eletti Nino Verso Mendola e altri socialisti. Giustizia Sociale e Lotta di Classe di Milano, 15 – 16 luglio 1893; Unione di Catania, 9 luglio 1893.
12 Lotta di classe, Milano, 15 – 16 luglio 1893.
13 G. Micciché, I Fasci dei lavoratori nella Sicilia sud – orientale, Zuleima edizioni, Ragusa – Catania, 1981
14 Già da febbraio 1893 a Palermo si incentivavano i lavoratori soci del fascio ad iscriversi alle liste elettorali, arrivando a costituire una speciale commissione dedicata proprio a sostenere le procedure d’iscrizione.
15 Il Questore al Prefetto, giugno 1893, in A.S.P., Prefettura, 1893, cat. 16, f. 82. A quella riunione Bosco non era presente.
16 Il Riscatto, 25 – 25 luglio 1893, a. VIII, n.18
17 N. Petrina, Al Fascio dei lavoratori ed al Paese, nel Vespro, giugno 1893, a. VI, n. 15, in G. Cerrito, I Fasci dei lavoratori nella provincia di Messina, Sicilia Punto L, Ragusa, 1989.
18 L’attività di propaganda nel paese fu modesta e si concentrò principalmente sul carico tributario che opprimeva i lavoratori. Qualche manifesto indirizzato ai cittadini di Floridia era stato affisso nei muri della piccola città. La Sibilla, 30 luglio 1893.
19 G. Micciché, op. cit.
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