“Un peggior macello, più dolori, più rovine che non fosse mai stato in potere di una nave recarne.” così Winston Churchill, nel 1914 Primo Lord dell’Ammiragliato, dopo la prima guerra mondiale sintetizzò le conseguenze dell’arrivo a Costantinopoli di due navi da guerra tedesche in una sera d’Agosto del 1914. A prima vista la frase potrebbe sembrare una delle tante massime che contribuirono alla fama dello statista inglese, ma, in questo caso, non solo era assolutamente veritiera bensì anche riduttiva perché quelle due navi, senza saperlo, determinarono i destini del Medio Oriente nel XX secolo. Per una settimana l’ammiraglio Souchon fu la volpe astuta inseguita da una torma di cani timorosi e indecisi; con due sole navi bugerò l’intera flotta inglese del Mediterraneo e forzò la mano tanto delle autorità tedesche quanto di quelle turche costringendo infine l’Impero Ottomano ad entrare in guerra al fianco della Germania.
Quando il 28 Giugno esplosero gli spari di Sarajevo la Germania aveva nel Mediterraneo solo due navi da guerra: il modernissimo incrociatore da battaglia Goeben e l’incrociatore leggero Breslau. Dal 1913 a capo di questa flotta c’era l’energico Ammiraglio Wilhelm Souchon che, non appena avuta notizia dell’attentato, ebbe subito sentore della guerra e quindi partì di gran fretta da Haifa per raggiungere Pola, base navale dell’alleata Austria-Ungheria, così da far riparare le caldai della Goeben. Per tredici giorni tutti coloro che nell’equipaggio sapevano usare un martello lavorarono alacremente, ma le riparazioni non erano ancora ultimate quando, da Berlino, giunse il telegramma che annunciava la proclamazione dello “stato di pericolo di guerra” e Souchon, temendo di restare imbottigliato nell’Adriatico, si mosse verso il centro del Mediterraneo per essere, in caso di guerra, pronto a colpire in qualsiasi direzione.
Prima tappa doveva essere Brindisi per fare rifornimento, ma qui le autorità italiane gli rifiutarono il carbone argomentando che il mare era troppo mosso. Souchen capì che l’Italia si era già messa sulla strada della neutralità e che ciò avrebbe a lui precluso l’uso dei porti italiani per cui serviva un nuovo piano d’azione. L’idea di superare la flotta francese, sfruttando la maggior velocità della sua nave, per entrare nell’Atlantico, arrecando il massimo dei danni durante il tragitto, dovette essere messa da parte a causa del perdurante cattivo stato delle caldai; decise così di puntare su Messina e allo stesso tempo convocare nel porto siciliano tutte le navi mercantili tedesche in rotta nel Mediterraneo per farsi cedere da loro il carbone. Passando per Taranto al Goeben si aggiunse la Breslau, ma venne anche notato dal console inglese in città che si affretto a darne notizia all’ammiragliato perché, nonostante la Gran Bretagna fosse ancora neutrale, Churchill, già sul piede di guerra, aveva sin dal 31 Luglio dato ordine alla Mediterranean Fleet di “tenere a bada e possibilmente costringere alla battaglia le singole unità veloci tedesche e specie il Goeben” aggiungendo però anche di evitare “per il momento di confrontarsi con forze superiori.” Tenete bene a mente questo “forze superiori” perché avrà un ruolo decisivo sull’esito della caccia e sulla polemica che sarebbe in seguito sorta in seno alla flotta inglese.
La principale flotta nel Mediterraneo nel Luglio-Agosto 1914 era quella francese (16 corazzate, 6 incrociatori e 24 cacciatorpediniere) che però non poteva darsi alla caccia delle unità tedesche avendo, come priorità, quella di proteggere i trasporti che dall’Africa avrebbero portato 80.000 uomini in Europa. Il compito quindi di tenere a bada i tedeschi sarebbe ricaduto sugli inglesi, se fossero entrati in guerra, che, nel Mediterraneo, non disponevano di moderne corazzate tipo dreadnoughts, ma compensavano parzialmente con tre incrociatori da battaglia (Inflexible, Indomitable e Indefatigable) con velocità quasi pari al Goeben e potenza di fuoco di poco superiore alla nave tedesca. Agendo dunque con sufficiente audacia e spirito d’iniziativa gli inglesi avrebbero potuto neutralizzare il Goeben e la Breslau anche perché l’unico supporto che le due navi avrebbero potuto avere, la flotta austro-ungarica, sebbene potente sembrava ben intenzionata a restarsene al sicuro nei suoi porti della Dalmazia. Il comandante della Mediterranean Fleet Ammiraglio Archibald Milne decise però per una approccio cauto confortato in ciò dal fatto che il telegramma di Churchill rimetteva a lui la valutazione finale dell’opportunità o meno di dare battaglia alla Goeben. Va detto sin da ora che Milne, se certamente non era un novello Nelson, non era neanche un pavido incompetente, ma semplicemente un ufficiale di carriera di medie capacità come ve ne erano molti nella flotta inglese. Per comprendere la sua logica bisogna chiarire la differenza di fondo che vi è tra la mentalità di un generale e quella di un ammiraglio: il primo, essendo al comando di uomini, sa che, cinicamente, un soldato può essere sostituito da un altro in tempi ragionevoli, il secondo invece è consapevole che una nave può richiedere mesi se non anni per essere varata e quindi la perdita anche di solo due unità può avere effetti drammatici sugli equilibri di forza. Un ammiraglio è quindi tendenzialmente più portato a un approccio prudente per salvaguardare l’integrità della flotta, ma spinta agli estremi questa prudenza può divenire paralizzante ed è il motivo per cui i grandi ammiragli come Nelson, Temistocle o de Ruyter, quando sentivano che il momento era decisivo, sapevano anche far ricorso all’audacia con un pizzico di spregiudicatezza. Milne era incerto sulla condotta da seguire perché da un lato Churchill gli chiedeva di ingaggiare il Goeben, ma dall’altro non dimenticava che, prima della guerra, l’Ammiragliato aveva espresso grossi timori sulla possibilità che le veloci navi tedesche potessero fare strage dei trasporti francesi che portavano le truppe dall’Africa e quindi il comandante inglese si chiedeva se non fosse meglio unirsi allo scudo protettivo della flotta francese.
Il 2 Agosto, a Gran Bretagna ancora neutrale, Churchill mandò un secondo telegramma in cui affermava che “Il Goeben deve essere seguito a vista da due incrociatori” e che l’Adriatico andava sorvegliato per evitare sortite della flotta austriaca. Milne, che intanto aveva riunito le sue forze a Malta, decise di obbedire solo alla seconda disposizione e, dopo aver unito due dei suoi incrociatori da battaglia alla squadra del contrammiraglio Troubridge, lo inviò a bloccare l’Adriatico ordinando solo che un incrociatore leggero si dirigesse verso lo stretto di Messina per cercare il Goeben dopo che la nave tedesca era stata vista allontanarsi da Taranto direzione sud-ovest. Souchen però aveva già lasciato Messina da sei ore quando l’incrociatore inglese giunse in zona, come da programma si era portato in posizione pronto a muovere contro l’Africa francese non appena fossero scoppiate le ostilità. Alle sei del pomeriggio del 3 Agosto Souchen venne informato che il Reich e la Francia erano in guerra, subito diede ordine di puntare su Bona e Pilippeville, due dei porti d’imbarco nell’Algeria francese, per bombardarli mentre la flotta francese si affretto nella stessa direzione per proteggerli. Le navi tedesche però potevano andare a una velocità maggiore e alle due di sera del giorno dopo erano ormai in vista dei loro bersagli quando un telegramma, direttamente dal ministro della marina tedesco Von Tirpitz, cambiò la situazione e la storia “L’alleanza con la Turchia è stata conclusa il 3 Agosto. Si porti subito a Costantinopoli.”
Agli inizi del XX secolo la Turchia era il grande malato d’Europa, del potente impero che era stato lo spauracchio dell’occidente cristiano sembrava non rimanesse altro che una carcassa che si era già iniziato a spolpare: nel 1908 l’Austria-Ungheria si era annessa la Bosnia, nel 1911 l’Italia aveva preso la Libia e nel 1912, con la prima guerra balcanica, la presenza turca nell’Europa continentale era stata ridotta a una striscia di terra nella Tracia Orientale. Nelle cancellerie era ormai diffusa l’idea che, presto o tardi, l’Impero Ottomano sarebbe stato una nuova Africa da spartirsi, ma a Costantinopoli qualcuno era fermamente intenzionato a frenare questo tracollo per far riacquistare alla Turchia il posto che le spettava tra le potenze: si trattava del Comitato per l’Unione e il Progresso conosciuto anche come Partito dei giovani turchi. Difficile dare una definizione del Comitato essendo uno strano ibrido tra un partito politico, una società segreta e una junta militare; ancora oggi alcuni storici sono dell’idea che il periodo dei giovani turchi fu una dittatura personale di Enver Pascià, il giovane energico e ambizioso esponente degli ufficiali dell’esercito, quando in realtà il Comitato non era un organizzazione monolitica avendo al vertice un politburo di una quarantina di membri di cui Enver, insieme al primo ministro Talat Bay, al ministro delle finanze Djavid e al governatore di Costantinopoli Djemal Pascià, era solo uno degli esponenti principali. Data questa pluralità di elementi si capisce perché una vera ideologia il
Comitato non l’avesse in quanto, al suo interno, si andava dal vago liberismo filo-inglese di Djavid al militarismo autoritario filo-tedesco di Enver; comunque tutti concordavano su un programma di riforme che comprendeva: industrializzazione del paese, riaffermazione della sovranità interna abolendo le odiate capitolazioni (accordi con i quali gli occidentali avevano ottenuti speciali diritti economici e la sottoposizione alla giurisdizione dei rispettivi consolati), ammodernamento dell’esercito e riaffermazione dell’unità dell’Impero attraverso un nazionalismo che mettesse al centro l’elemento turco-anatolico. Già nel 1908 i Giovani Turchi, con un colpo di mano, imposero il ripristino della Costituzione e l’abdicazione del Sultano, ma non assunsero direttamente il potere preferendo restare nell’ombra fino al 1913 quando, con un assalto alla Sublime Porta (nome con cui si indicava il Palazzo reale del Topkapi), presero le redini dell’Impero. Giunti al governo i Giovani Turchi si prepararono a realizzare i loro progetti di riforma, ma, temendo che ciò potesse scatenare l’aggressione di qualche potenza Europa, ritennero che fosse necessario trovarsi subito un alleato che garantisse l’indipendenza turca in quella fase di transizione. I primi a cui ci si rivolse furono gli inglesi e ciò era naturale dato che per tutto l’ottocento il Regno Unito aveva puntellato lo stato ottomano in funzione anti russa per non ritrovarsi gli Zar a Costantinopoli e a un passo dall’India (la guerra in Crimea scoppiò proprio per questo motivo). Gli inglesi però risposero picche sia perché in quel momento al governo c’erano i liberali eredi di Gladstone (che aveva definito i turchi “il più chiaro esempio di inumanità all’interno dell’umanità) sia perché da qualche tempo si era deciso di appianare i dissidi coi russi in funzione anti-tedesca. Anche la Francia rifiutò il ruolo di alleato dei turchi per il medesimo motivo, era dal 1894 che l’alleanza con la Russia era stato il cardine della politica estera della Terza Repubblica e non la si sarebbe messa in pericolo per aiutare l’Impero Ottomano, per cui rimase in campo solo la Germania. Il Reich aveva molti interessi in Turchia sia economici, il grande progetto della ferrovia Berlino-Baghdad, che politici dato che i Giovani Turchi si erano rivolti a ufficiali tedeschi in pensione per riformare il loro esercito; anche i tedeschi però guardarono con un certo scetticismo alla proposta turca, nonostante l’entusiasmo del Kaiser Guglielmo II notoriamente favorevole al mondo musulmano, ritenendo inutile irritare ulteriormente i russi, con i quali le relazioni erano già freddine, solo per aiutare l’Impero Ottomano a rimettersi in piedi. La situazione cambiò però improvvisamente nelle ultime fasi della crisi di Luglio e, con la guerra che appariva sempre più imminente, il 28 Luglio i turchi inviarono una proposta di alleanza a Berlino che fu infine firmata tra il 2 e il 3 Agosto. Perché questo improvviso cambio di rotta? Difficile a dirsi dato che non è rimasto alcun verbale o memoria di quei negoziati il ché ha spinto gli storici ad avanzare diverse ipotesi: Barbara Tuchman, nel suo famoso “I cannoni d’Agosto”, ritiene che furono i tedeschi, desiderosi di togliere ai russi la rotta di rifornimento attraverso i Dardanelli, a rifarsi avanti mentre i turchi erano divenuti più cauti non volendosi trovare nel mezzo di una guerra tra le grandi potenze, a spingere il Comitato alla firma fu l’indignazione per la decisione inglese di sequestrare le due modernissime navi da guerra che gli ottomani stava facendo costruire negli arsenali britanni. Al contrario David Fromkin, nel suo altrettanto famoso “Una pace senza pace”, ritiene che quest’alleanza fu un capolavoro di astuzia dei turchi perché Berlino, ricevuta la proposta di alleanza del 28 Agosto, era ancora piuttosto fredda e telegrafò al suo ambasciatore Hans Von Wangenheim di firmare solo se la Turchia avesse potute mettere sul tavolo un aiuto concreto di qualche importanza. Quest’aiuto non poteva essere certo lo scadente esercito ottomano, assistito dall’ex-ufficiale tedesco Otto Liman Von Sander che si affrettò a descriverne lo stato all’ambasciatore tedesco, per cui Fromkin ritiene che Enver e soci avessero promesso proprio le due navi già sequestrate dagli inglesi confidando che la notizia della loro perdita non fosse ancora giunta a Berlino. Entrambe le ricostruzioni sono perfettamente plausibili, ma, personalmente, tendo più verso l’ipotesi della Tuchman perché, come vedremo a breve, anche dopo la firma dell’alleanza la Turchia fu molto riluttante a farsi coinvolgere nel conflitto e non capirei l’insistenza tedesca nel costringerla a scendere in campo se non per chiudere i Dardanelli alla Russia visto che, al contrario, le due navi, dopo più di una settimana, dovevano aver scoperto non essere più nella disponibilità degli ottomani. Comunque sia andata il 1 Agosto Enver, che all’interno del Comitato era il più smaccatamente filo-tedesco e interventista, ebbe una conversazione con l’ambasciatore Von Wangenheim e con Liman Von Sander nella quale si concluse che, al fine di rafforzare la flotta turca nel Mediterraneo e nel Mar Nero, la Goeben e la Breslau avrebbero dovuto gettare l’ancora a Costantinopoli; da qui il telegramma di Von Tirpiz a Souchen con cui gli ordinava di far subito rotta sui Dardanelli.
Souchen non fu per niente felice di fare dietro front ora che era così vicino al suo obiettivo e così si concesse il primo di una serie di atti di disobbedienza: continuò in direzione della costa africana e, dopo aver innalzato la bandiera russa per trarre in inganno i francesi, bombardò Philippeville mentre la Breslau si occupava di Bona. Data soddisfazione allo spirito guerriero Souchen fece rotta nuovamente su Messina con l’obiettivo di fare un’ultima volta rifornimento per poi dirigersi a Costantinopoli; nel frattempo i francesi, avuta notizia del bombardamento dei loro porti, convinti che il Goeben avrebbe proseguito per colpire anche Algeri e poi entrare in Atlantico si affrettarono a disporre il loro scudo protettivo non provando minimamente ad inseguire i tedeschi. Dal loro punto di vista il Goeben e la Breslau svolgevano un ruolo unicamente militare per cui se si fossero fatti vivi per dare battaglia li avrebbero affrontati, mentre se si fossero ritirati tanto meglio; non pensarono mai che Souchen potesse avere una missione politico-diplomatica da portare avanti. Frattanto però la torma di caccia inglese finalmente avvistò il suo obiettivo: la mattina del 4 Agosto la Idomitable e l’Indefatigable incontrarono per caso le navi di Souchen, l’Inghilterra in quel momento era però ancora neutrale per cui l’unica cosa che potevano fare era metterglisi alle calcagna tentando di tenerle a portata dei loro cannoni finché non fossero scoppiate le ostilità. A Londra Churchill spingeva il governo ad autorizzare l’attacco, ma il gabinetto, in attesa che a mezzanotte scadesse l’ultimatum inviato a Berlino, concesse solo l’autorizzazione a far fuoco in anticipo se il Goeben avesse attaccato i trasporti francesi (anche gli inglesi non immaginarono che le due navi tedesche potessero avere un ruolo diverso da quello militare). Intanto nel centro del Mediterraneo era in corso l’inseguimento con gli inglesi che cercavano di tenersi a portata di fuoco fino a mezzanotte e Souchen che provava a distanziarli; nella sala macchine del Goeben i fuochisti restarono attaccati alle caldai anche per quattro ore consecutive (di solito il limite massimo era due) per far ottenere alla nave fino all’ultimo nodo di velocità. Ben quattro fuochisti morirono, ma lentamente le navi tedesche iniziarono a guadagnare metri di distanza e alle cinque del pomeriggio gli inglesi non le ebbero più a tiro; solo un incrociatore leggero, il Dublin, riuscì a mantenere il contatto fino alle sette quando, calata la nebbia, i tedeschi riuscirono a sfuggire. Il Goeben e la Breslau giunsero così a Messina dove iniziarono le attività di trasferimento del carbone mentre le autorità italiane, brandendo la neutralità come un’arma, tentavano di imporre che ripartissero nel giro di ventiquattro ore; la neutralità dell’Italia però frenò anche gli inglesi perché l’Ammiragliato ordinò a Milne, allo scopo di non provocare incidenti, di tenersi a sei miglia dalla costa così che, non potendo semplicemente bloccare lo stretto, dovette istituire controlli ai suoi due sbocchi. Convinto che Souchen non si sarebbe diretto ad est l’ammiraglio inglese concentrò le sue forze sul lato tirrenico dello stretto inviando una sola unità a presidiare quello orientale. Dopo due giorni le navi tedesche ripresero il mare senza però aver carburante sufficiente per il viaggio e, come se non bastasse, giunse da Berlino il contrordine di non fare più rotta su Costantinopoli; apparentemente Enver non aveva consultato i suoi colleghi quando acconsentì a dare rifugio alle navi di Souchen e questi, dopo aver intascato l’alleanza con la Germania, non avevano troppa fretta di coinvolgere la Turchia nel conflitto. Souchen a questo punto prese la prima di due decisioni che avrebbero cambiato la storia: consapevole che entrare nell’Atlantico era impossibile e disgustato dall’idea di rintanarsi a Pola con gli austriaci per tutta la guerra decise di ignorare l’ordine giunto da Berlino e procedere comunque verso Costantinopoli per costringere i turchi, volenti o nolenti, a dargli rifugio. A questo punto le ricostruzioni della Tuchman e di Fromkin divergono di nuovo: secondo la prima infatti fu solo quando le navi tedesche giunsero all’imbocco dei Dardanelli il 10 Agosto che l’ambasciatore Von Wangenheim riuscì a strappare ai turchi l’autorizzazione ad entrare mentre per Fromkin già il 6 Agosto, nello stesso momento in cui Souchen lasciava Messina, il Gran Visir offrì di concedere il passaggio pretendendo in cambio una serie di concessioni tra le quali l’abolizione delle capitolazioni tedesche e che l’Impero Ottomano fosse considerato un alleato alla pari al momento di spartirsi il bottino della vittoria. Stavolta le due versioni paiono differire nettamente il ché deve portare a concludere che una delle due sia errata, ma, data l’affidabilità generale delle loro opere, la quantità e qualità del materiale documentale portato da entrambi gli autori ed escludendo ovviamente l’ipotesi di un falso da parte di uno di loro, ho provato a ragionare se vi fosse una ricostruzione che le potesse conciliare: Fromkin dà infatti a intendere che, quando le navi tedesche comparvero il 10 Agosto, il Gran Visir ne fu sia sorpreso che irritato; allo stesso tempo la Tuchman riferisce che Souchen, temendo che gli inglesi potessero intercettare il messaggio, non comunicò subito all’ambasciata tedesca di Costantinopoli la sua intenzione di procedere verso i Dardanelli. Suggerisco allora che, quando si accordarono il 6 Agosto, né i tedeschi né il turchi fossero a conoscenza che Souchen avesse deciso di ignorare gli ordini che gli erano stati dati e quindi furono entrambi presi in contropiedi quando scoprirono che il Goeben e la Breslau erano già quasi all’imbocco degli stretti; a quel punto, come vedremo, Von Wangenheim temendo che il Gran Visir potesse nuovamente traccheggiare si rivolse al più disponibile Enver per ottenere il passaggio e mettere il resto del governo turco di fronte al fatto compiuto. Souchen, all’oscuro di questi intrighi, aveva però un problema più immediato: il carbone che aveva caricato a Messina non era sufficiente per giungere a Costantinopoli per cui si rendeva necessaria una sosta intermedia per farsi dare ulteriore carburante da un mercantile tedesco di passaggio nel Mediterraneo; per far ciò però bisognava sfuggire ai controlli inglesi perché, se questi avessero attaccato durante le operazione di carico, le navi sarebbero state perdute. Quando le due navi lasciarono Messina i giornali italiani uscirono parlando di impresa disperata ed eroi diretti alla morte; Souchen però era molto meno desideroso di affondare con la sua nave e mise in capo una serie di astuzie per ingannare gli inglesi. Per prima cosa si mosse vero Nord per dare l’idea che volesse entrare nell’Adriatico, ma con l’intenzione di cambiare rotta non appena fosse calato il buio. In effetti l’incrociatore messo a guardia dello sbocco orientale dello stretto di Messina (Gloucester) avvistò i tedeschi e si mise al loro inseguimento dando notizia a Milne il quale però decise di non muoversi perché convinto che, dirigendosi verso l’Adriatico, il Goeben e la Breslau sarebbero stati intercettati dalla squadra di Troubridge. Souchen provò a scrollarsi di dosso l’inseguitore prima di notte, ma non riuscendoci dovette effettuare il suo cambio di rotta ancora con questo alle calcagna e il Gloucester ne diede immediatamente notizia al resto della flotta. Finalmente Milne si mosse, ma, convinto ancora che Troubridge li avrebbe intercettati, se la prese comoda tornando a Malta per fare rifornimento. Troubridge però aveva molte riserve all’idea di dare battaglia; ancora una volta la prudenza veniva spinta al limite e, sebbene disponesse di un numero di navi nettamente superiore a Souchen, il superiore armamento del Goeben lo spaventava al punto da decidere che quella fosse la “forza superiore da evitare” di cui aveva parlato Churchill per cui avrebbe attaccato solo se fosse riuscito ad intercettarlo entro le sei avendo il vantaggio di trovarsi con il sole alle spalle. Ovviamente questa fortunata coincidenza non si realizzò e quindi Troubridge fece dietro front così che all’inseguimento delle due navi rimase solo il Gloucester, presenza comunque ritenuta da Souchen troppo ingombrante, che iniziò ad essere infastidito dal Breslau nella speranza di farlo desistere; il capitano inglese però, al contrario dei suoi superiori, fu abbastanza audace di da decidere di attaccare il nemico nella speranza di rallentarlo per un tempo sufficiente da permettere a Milne o Troubridge di unirsi allo scontro. Per un po’ le tre navi si scambiarono qualche colpo, senza mandarne a segno nessuno, e alla fine Souchen, a cui più di tutto difettava il tempo, decise di riprendere la rotta tenendosi alle spalle il suo fastidioso parassita fino a che, entrando nell’Egeo, non riuscì a scrollarselo di dosso. Souchen poté dunque presentarsi all’incontro con la nave mercantile per fare rifornimento di carburante mentre Milne, che finalmente sembrava sul punto di rimettersi a caccia, perse di nuovo un intero giorno perché un errato messaggio giunto da Londra gli annunciava la guerra anche con l’Austria (in quel momento il Regno Unito era in guerra solo con la Germania) spingendolo a scegliere di unirsi alla sua seconda squadra nel blocco dell’Adriatico. Quando finalmente l’equivoco fu chiarito delle due navi tedesche si erano perse le tracce da quasi quaranta ore e Milne, nello teorizzare quale fosse la meta, penso a tutto dall’Atlantico, al canale di Suez sino alla neutrale Grecia, ma mai mise in conto Costantinopoli. Intanto Souchen si mise per la prima volta in contatto con l’ambasciata tedesca per chiedere come dovesse fare per superare i forti e i campi di mine a protezione di Dardanelli, la risposta che giunse fu abbastanza tranchant “Entri. Chieda la resa dei forti. Catturi un pilota.”. Se la ricostruzione da me precedentemente proposta fosse giusta questo messaggio, inspiegabile nel caso le autorità turche avessero già concesso il via libera il 6 Agosto, fu la prima reazione dell’ambasciata tedesca a una notizia assolutamente inattesa; temendo che le due navi avessero la flotta inglese alle calcagna e che il Gran Visir potesse di nuovo prendere tempo nel tentativo di non compromettere troppo la Turchia con gli Imperi centrali Von Wangenheim autorizzò Souchen a forzare i Dardanelli per mettere i turchi davanti alla scelta se farli passare o affondarli mandando però a fondo anche l’alleanza appena conclusa. Allo stesso tempo però l’ambasciatore tedesco si precipitò da Enver e, dopo una trattativa neanche troppo lunga, ottenne sia che alle due navi fosse concesso libero transito sugli stretti sia che si sarebbe aperto il fuoco sugli inglesi se avessero tentato di continuare l’inseguimento attraverso i Dardanelli. Il 10 Agosto 1914 il Goeben e la Breslau giunsero a Costantinopoli mettendo fine alla loro fuga nel Mediterraneo; Souchen era riuscito a trarre in inganno due flotte a lui enormemente superiori perdendo solo quattro uomini e ottenendo un gigantesco successo diplomatico per la Germania.
La presenza delle due navi nella capitale ottomana metteva infatti in serio imbarazzo il governo turco ancora recalcitrante a entrare in guerra. Per salvare le apparenze si inscenò una loro finta compravendita e le due unità vennero unite alla flotta turca, ma, non disponendo di personale adeguato ad amministrare navi così moderne, fu mantenuto l’equipaggio tedesco mentre Souchen venne nominato comandante della flotta ottomana nel Mar Nero. Sia il governo francese che quello inglese avrebbero voluto lasciar correre per evitare di aggiungere un nuovo nemico alla lista, ma l’Ammiragliato britannico, e Churchill in testa, umiliati da come erano andate le cose assunsero un atteggiamento sfacciatamente aggressivo nei confronti dell’Impero Ottomano iniziando una serie costante di provocazioni che Enver sfruttò per convincere il resto dei giovani turchi a rompere gli indugi. Verso la fine di Settembre, in risposta al fermo e successivo respingimento da parte inglese di una torpediniera turca che aveva a bordo marinai tedeschi, Enver autorizzò il blocco dei Dardanelli, ma, anche dopo questo gesto che isolava la Russia dai rifornimenti attraverso il Mediterraneo, gli alleati insistettero a non voler agire a meno che non fosse stata la Turchia a sparare per prima mentre il governo dei giovani turchi continuava ad aspettare di avere la certezza che la Germania avrebbe vinto. Gli intrighi a Costantinopoli tra interventisti e neutralisti continuarono fino a Ottobre quando Enver, forte di un sempre maggior appoggio tra i colleghi, propose di autorizzare Souchen a entrare nel mar Nero per attaccare navi russi e dichiarare poi che si era trattata di legittima difesa. Souchen però, supponendo che i turchi potessero di nuovo fare marcia indietro, decise di disobbedire per la seconda volta così da “costringere i turchi a violare la loro neutralità, anche contro il loro volere” e il 29 Ottobre bombardò la costa russa. A Costantinopoli i neutralisti, temendo di provocare una scissione interna la Comitato o peggio un colpo di stato, alzarono bandiera bianca ottenendo solo che si provasse a salvare il salvabile inviando una nota di scuse a San Pietroburgo; Enver accettò, ma aggiunse al messaggio l’affermazione che l’azione delle navi turche era stata provocate dal comportamento dei russi. Messe così le scuse erano irricevibili e infatti la Russia rispose inviando un ultimatum alla Turchia che, ovviamente, fu respinto; il 2 Novembre l’Intesa ruppe infine gli indugi e dichiarò guerra all’Impero Ottomano. Sei anni dopo con il trattato di Sèvres quello stesso Impero venne smantellato e, in un ultimo sussulto di ambizione coloniale, francesi e inglesi si spartirono il Medio Oriente tracciando quei confini artificiosi che, lasciati in eredità agli stati locali che vennero dopo, rendono ancora oggi l’area una polveriera di odio e sangue.
enza coletta
20 Maggio 2017all’inizio il Nuovo mi ha confuso d agitato, alla mia età mi accorgo che mi crea difficoltà adattarmi al cambiamento, ma poi ho letto in un baleno! Complimenti