La storia è ormai piena di leggende e luoghi comuni che si sono andate sviluppando nel tempo, alcune di queste hanno avuto una tale diffusione da divenire fatti per i non addetti ai lavori.
Con la serie di articoli che inizio oggi vorrei indagare su alcune di queste leggende provando a smentirle iniziando con le leggende riguardanti il crollo della Francia nel 1940.
Il fallimento della linea Maginot
E’ idea diffusa che la linea Maginot sia stata un colossale fiasco al punto che se si vuole indicare un qualcosa su cui si è fatto grande affidamento per difendere un propria posizione crollando però miseramente si dice appunto che è stata una “linea Maginot”. In realtà tale nomea è assolutamente ingiustificata perché la linea il suo dovere lo fece appieno! Lo scopo della Maginot infatti era quello di bloccare un attacco tedesco nel settore che andava dal confine svizzero a quello belga attraverso un serie continua di fortificazione, alcune dotate di posizioni d’artiglieria fissa, contro cui il nemico sarebbe andato a infrangersi. Bene, questo la Maginot lo fece egregiamente infatti i tedeschi, consapevoli della solidità di questa linea fortificata, non lanciarono mai alcuna offensiva diretta contro di essa restando sempre e solo sulla difensiva. Si dovette aspettare che le truppe della Wermacht fossero dietro la linea perché, attraverso un attacco concentrico dai due lati, la si potesse scardinare, attacco comunque condotto contro truppe già fortemente demoralizzate dal crollo generale dell’esercito francese e dalla caduta di Parigi. Il vero problema della Maginot non è che fu inefficace o mal progettata, ma che non venne mai completata. La ratio della linea stava nelle eredità della guerra del ‘14-‘18: eredità psicologica per l’invasione subita, e quindi l’idea che in caso di una nuova guerra la Germania sarebbe stata di nuovo la prima a passare all’offensiva, ed eredità demografica per le pesanti perdite subite dalla Francia che riducevano di molto gli effettivi mobilitabili rispetto al nemico. In ragione di ciò il progetto originale del 1928 prevedeva un estensione delle fortificazioni che andassero dal confine Svizzero al mare del Nord sigillando in questo modo l’intera parte del confine francese che potesse essere oggetto di un offensiva tedesca. Questo progetto iniziale non venne però mai implementato preferendo una versione ridotta che si fermasse al confine del Belgio; le ragioni di questa scelta non furono principalmente di carattere economico, i maggiori finanziamenti ai lavori giunsero nel 1930 dopo che la crisi aveva colpito anche la Francia (sebbene in contemporanea ci fu una riduzione degli effettivi dell’esercito e della durata della ferma militare), ma diplomatico. Come infatti ha osservato Tayler nel suo “Le origini della seconda guerra mondiale” originariamente i francesi ritenevano che un estensione della linea lungo la frontiera belga fosse inutile in quanto il Belgio, allora alleato della Francia, avrebbe costruito un suo proprio sistema di fortificazioni al confine con la Germania che avrebbe integrato la Maginot. Nel 1936 però, in conseguenza dell’inazione francese di fronte alla rimilitarizzazione della Renania, il Belgio tornò al suo status di neutralità precedente al 1914 abbandonando l’idea di una propria linea difensiva; i francesi nonostante ciò decisero di non riesumare il piano del 1928 perché ritenevano che ciò avrebbe significato ammettere che in caso di guerra rinunciavano a un eventuale difesa del Belgio col rischio di spingerlo verso un acquiescenza nei confronti della Germania. A tradire i francesi non fu il “complesso della Maginot”, ma, come vedremo a breve, la tempesta perfetta creatasi dallo scontro tra il loro piano di guerra e quello tedesco. Dare alla linea Maginot la colpa della caduta della Francia è come, dopo un pareggio, dare la colpa della mancata vittoria non all’attaccante che non ha segnato, ma al portiere che non ha preso gol.
La riedizione del “Piano Schlieffen”
Altra idea molto diffusa è che nel ‘40 i tedeschi si limitarono a ripetere il piano di guerra del ‘14 quindi, in sintesi, entrare in Belgio e cogliere di sorpresa i francesi. Anche qui nulla di più falso perché tra il piano Schlieffen del 1914 e Fall Gelb nella versione di Von Manstein del 1940 ci sono differenza sostanziali sia nella ratio che nell’esecuzione. L’unico autentico punto di contatto tra i due piani è la scelta di usare il Belgio come direttrice d’attacco, ma nel momento in cui la Germania voglia attaccare la Francia se si esclude l’attacco frontale attraverso la frontiera in comune l’unica possibilità è per forza di cose un aggiramento da sud attraverso la Svizzera (dovendo però affrontare le Alpi) o da Nord attraverso il Benelux.
Ma veniamo ai due piani iniziando da quello del 1914. Il piano Schlieffen nasceva da uno stato di necessità: l’alleanza franco-russa che era in grado di attaccare su due lati la Germania; per rispondere a questa minaccia il conte Schlieffen, capo di stato maggiore tedesco dal 1891 al 1905, elaborò una strategia che si fondava sul presupposto che la lentezza della mobilitazione russa offriva alla Germania una finestra di tempo in cui attaccare la Francia per costringerla alla resa in modo tale da poter poi concentrare tutte le sue forze ad est. L’idea, che Schlieffen avrebbe definito una Canne su grandi dimensioni, era di creare una gigantesca ala destra di 53 divisioni che, attraversando il Belgio e facendo perno sull’area fortificata Metz-Thionville, aggirasse l’esercito francese per spingerlo verso la Mosella così da incastrarlo tra le fortezze della Lorena e il confine Svizzero. Usando l’immagine di Basil Liddell-Hart “La manovra avrebbe dovuto funzionare come una porta girevole: se si esercita un’energica pressione su uno dei battenti, l’altro ruota sul cardine e colpisce alle spalle chi spinge”. Sempre lo storico britannico riflette che stava in questo movimento, e non nella deviazione geografica, il centro dell’intero piano e ricorda le parole del conte sul letto di morte “La faccenda deve concludersi in uno scontro, Preoccupatevi soltanto che l’ala destra sia forte.” Sui motivi che portarono questo piano a fallire conviene non dilungarsi oggi perché meritano un articolo a parte e passiamo invece a ciò che accadde nel 1940. In pimis gli alleati, memori dell’esperienza fatta nel ‘14, si aspettavano che i tedeschi potessero decidere di lanciare di nuovo un attacco attraverso il Belgio (e onestamente sarebbe stato da ingenui non prendere in considerazione una possibilità del genere) e infatti la loro strategia, il piano D elaborato dal comandante francese Gamelin, prevedeva che la’ala sinistra francese rafforzata dalle truppe inglesi si fosse lanciata nel Belgio non appena questo fosse stato invaso dai tedeschi. E’ dunque falso che gli alleati si fecero cogliere di sorpresa dallo stesso piano del ‘14 perché anzi la loro strategia si fondava proprio sull’idea che i tedeschi avrebbero fatto ciò; la cosa paradossale è che i tedeschi furono sul punto di fare ciò! L’originale Fall Gleb (Caso giallo) prevedeva infatti un offensiva attraverso il Belgio centrale, cui sarebbero state destinato il grosso delle forze corazzate, con un attacco di complemento nelle Ardenne. Questo piano venne scartato a causa di un evento fortuito, un ufficiale tedesco in possesso dei piani durante un trasferimento aero perse la rotta e atterrò in Belgio dove venne catturato con parte della documentazione, e così si dovette cercare un nuovo piano. Il generale Erich von Manstein, a mio paese il più brillante stratega tedesco di tutta la guerra, già a suo tempo aveva elaborato una strategia alternativa proprio perché riteneva che Fall Gleb fosse troppo simile al piano Schlieffen e diceva “Potremmo forse sconfiggere le forze alleate in Belgio. Potremmo conquistare la costa della Manica. Ma è probabile che la nostra offensiva sarebbe arginata in modo definitivamente lungo la Somma. A quel punto verrebbe a crearsi una situazione analoga a quella del 1914… non ci sarebbe alcuna possibilità di raggiungere una pace.” Lo stato maggiore però non gradì il modo corsaro con cui von Manstein tentò di promuovere il suo piano e lo declassò al comando di un corpo d’armata di fanteria, questo trasferimento però lo portò a un colloquio, in teoria solo formale, con Hitler in cui Manstein poté presentare al Führer il suo piano proprio nel momento in cui questo ne stava cercando uno. Il piano piacque a Hitler che lo adotto, attribuendosene poi la paternità, e fu questo che venne eseguito nel Maggio-Giugno del 1940. Il piano di Manstein prevedeva che l’attacco principale sarebbe venuto attraverso la foresta delle Ardenne, che tanto gli alti comandi tedeschi che alleati ritenevano inattraversabile da un esercito moderno, lì dove c’era il punto più debole dello schieramento alleato cioè presso Sedan tra la congiunzione della linea Maginot e lo schieramento delle truppe inglesi. L’attacco in Olanda e Belgio diventava adesso una trappola in cui inconsciamente gli alleati si infilarono perché tanto più avanzavano in forze nei paesi bassi tanto più lasciavano un immensa prateria alle loro spalle nella quale avrebbero potuto scorrazzare i panzer tedeschi una volta superate le Ardenne. Tra l’altro sempre Liddell-Hart afferma che se gli alleati, nella foro fobia del 1914, non fossero passati al piano D, ma avessero mantenuto il loro progetto originale di una forte difesa sul confine belga difficilmente il piano di Manstein avrebbe potuto cogliere l’immenso successo a cui invece andò incontro.
La superiorità dei Panzer tedeschi
Da ultimo voglio smentire la leggenda per cui la vittoria tedesca fu agevolata dalla netta superiorità, sia numerica che tecnica, che questi avevano in termini di carri armati. In realtà nel 1940 l’unica arma in cui i tedeschi avevano una netta superiorità sugli alleati era l’aviazione perché la Germania era l’unico paese in cui si era teorizzato l’uso di questa forza non come ausiliaria dell’esercito, ma come autonoma e perfettamente integrata ad esso nel portare avanti l’azione offensiva.
Iniziamo dal semplice dato numerico: nel 1940 i tedeschi schierarono sul fronte occidentale 2439 carri armati divisi in cinque copri corazzati, tre dei quali usati come punta di lancia dell’attacco attraverso le Ardenne del Gruppo d’Armate A di Rundstedt. I soli francesi disponevano invece di un totale di 3254 carri a cui andavano aggiunti i corpi corazzati inglesi, olandesi e belga; per cui gli alleati disponevano di un vantaggio di quasi mille carri rispetto ai tedeschi. Anche dal punto di vista qualitativo il confronto risulta a favore degli alleati: stando alle memorie di Guderian la Wermacht invase la Francia schierando 523 Panzer I, 955 Panzer II, 349 Panzer III, 278 Panzer IV , 106 Panzer 35 (t)s e 228 Panzer 28 (t)s per cui la netta maggioranza era composta dai carri leggeri modelli I e II il cui armamento era nettamente inferiore rispetto ai carri medi e pesanti sia inglesi che francesi. Il Panzer III era superiore ai carri leggeri francesi come il Renaul R35, ma sia lui che il Panzer IV risultarono inferiori nello scontro diretto sia con il carro medio SOMUA S35 che con i carri pesanti Char D1 e D2. Grosse difficoltà i carri tedeschi le ebbero anche contro i Matilda I e II inglesi le cui corazze risultarono quasi inscalfibili sia dai cannoni dei carri che dagli anti carro e questo fu evidente ad Arras il 21 Maggio quando la 1st Army Tank Brigade lanciò un contrattacco contro le Panzer Division di Rommel. Nello scontro diretto tra carri gli inglesi ebbero la meglio e solo il pesante intervento della Luftwaffe e il lampo di genio di Rommel che schierò i cannoni anti aerei da 88 come arma anticarro ne rintuzzò l’avanzata. La vera differenza in termine di carri armati tra tedeschi e alleati non fu né nella qualità né nel numero bensì nell’utilizzo che se ne fece: per gli alleati il carro armato era e restava un mezzo di accompagnamento della fanteria mentre per i tedeschi, o meglio per Guderin che fu il vero profeta dei Panzer, i carri dovevano “effettuare profonde penetrazioni strategiche con forze corazzate indipendenti, incursioni in profondità di carri armati destinate a tagliare le principali vie di comunicazione dell’esercito nemico ben indietro rispetto alla sua prima linea”. Gli inglesi prima della guerra avevano teorizzato qualcosa di simile, ma ritennero impossibile applicarlo sul campo di battaglia; Guderian invece decise, sfidando anche le idee dei suoi superiori, di rischiare e fece Jackpot. Gli alleati furono completamente colti di sorpresa da queste forze corazzate che avanzavano in profondità senza aspettare l’appoggio della fanteria che li seguiva lentamente occupandosi di annientare le sacche di resistenza rimaste, quando si riebbero dallo shock le forze anglo-francesi nel Nord erano già state tagliate fuori dalle loro linee di rifornimento mandando in crisi l’intero dispositivo di guerra alleato.