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La quarta crociata: l’occidente all’assalto di Costantinopoli

Nel mio precedente articolo dedicato allo scisma d’Oriente ho brevemente accennato nel finale alla quarta crociata e agli effetti devastanti che essa ebbe sui rapporti tra cristiani d’occidente ed ortodossi; oggi voglio raccontarvi di come un’impresa a lungo preparata e ampiamente sponsorizzata dal Papa con lo scopo di riportare la Croce a Gerusalemme  non vide mai neanche le coste della Terra Santa, ma finì per conquistare manu militari la cristianissima Costantinopoli in un miscugli di ambizioni, intrighi, tradimenti e cinismo politico.

Iniziamo dicendo che, da che vi era stato lo scisma tra Roma e Costantinopoli, le relazioni tra l’Europa e l’Impero Bizantino erano andate progressivamente peggiorando e le crociate non fecero altro che aumentare il solco tra le due sponde della cristianità. Per l’occidente infatti Costantinopoli era la scismatica che, dopo aver invocato aiuto per contrastare l’avanzata dei turchi, aveva pugnalato alla schiena i regni crociati non fornendo loro alcun supporto e anzi trescando contro di loro con gli infedeli; da par loro invece gli imperatori bizantini vedevano nell’occidente, e nei crociati in particolare, una minaccia costante al loro trono, non inferiore a quella rappresentata dai turchi, perché sentivano che vi era una crescente ambizione di impadronirsi delle ricchezze di Bisanzio e di riportarla, volente o nolente, sotto il controllo di Roma. Ben presto in Europa iniziarono a farsi piani per la conquista dell’ultima vestigia della romanitas e i primi a farsi avanti furono i Normanni che, dal loro nuovo regno nel sud Italia, ambivano a creare un grande impero mediterraneo. L’idea tornò in discussione sia durante la seconda che, soprattutto, la terza crociata quando Federico Barbarossa sembrò sul punto di attaccare Costantinopoli di fronte al rifiuto di questa di concedergli libero passaggio verso la Terra Santa. La minaccia più seria arrivò però dal figlio del Barbarossa Enrico VI che fece della rivendicazione del trono di Bisanzio il centro della sua politica e sembrò sul punto di passare dalle parole ai fatti quando morì improvvisamente nel 1197 scatenando un immotivato entusiasmo alla corte imperiale la quale non si rendeva conto che la resa dei conti con l’occidente era solo rinviata.

La morte di Enrico VI portò a una grave crisi per la sua successione nel Sacro Romano Impero e fece in modo che il centro della scena europea venisse presa dal neo eletto Papa Innocenzo III uomo dalle grandi ambizioni e pienamente consapevole del suo ruolo di vicario di Cristo in terra. Il nuovo Papa fece subito dell’indizione di una grande crociata uno dei suoi principali obiettivi e, appena sette mesi dopo essere stato eletto, emanò una bolla in cui invitava i re d’Inghilterra e Francia a fari promotori dell’impresa offrendo l’indulgenza plenaria a chiunque vi partecipasse. Quasi contemporaneamente però il regno di Gerusalemme stipulò una tregua con il sultano il che escludeva che l’obiettivo della crociata potesse essere la Palestina, questo fatto invece di frapporsi al prosieguo dei preparativi dell’impresa ne favorì invece ampliamento perché, dovendo trovare un nuovo punto d’attacco, si decise di puntare all’Egitto all’epoca uno dei paesi più ricchi della regione e la cui conquista poteva fornire un perfetto trampolino di lancio per una successiva avanzata verso Gerusalemme. I preparativi si fecero più intensi e Innocenzo III decise di favorirli con una mossa senza precedenti: con la bolla Graves orientalis terrae dispose che tutta la Chiesa dovesse versare una tassa sul reddito pari a un quarantesimo per finanziare la crociata. Era la prima volta che un Papa andava oltre il semplice compito di guida pastorale e interveniva nella fase organizzativa della spedizione il che, probabilmente, favorì un certo gigantismo del piano che si basò sull’idea di portare via mare un’armata direttamente dall’Europa. Per far ciò, ovviamente, servivano molte navi che potevano essere fornite solo dalle città marinare italiane  e i capi crociati decisero di rivolgersi a Venezia con la quale conclusero un accordo in base al quale la città lagunare si impegnava a trasportare quattromilacinquecento cavalieri, novemila scudieri e ventimila fanti; era un numero di uomini mai raggiunto prima per una crociata ed era ben difficile che si potesse pensare che si potessero raggiungerlo con i soli volontari per cui è probabile che il progetto fosse di affiancare a un nucleo di cavalieri volontari dei fanti stipendiati. Per la prima volta si pensò dunque di usare truppe mercenarie durante una crociata e ciò potrebbe spiegare la tassa imposta da Innocenzo III; comunque nessuno parve porsi domande sulle reali possibilità di mettere in campo un esercito del genere e trasportarlo senza scalo da Venezia ad Alessandria d’Egitto (nelle crociate successive si scelse sempre di radunare le truppe in una località intermedia come Cipro)per cui si accettò senza riserve il prezzo chiesto dai veneziani di ottantacinquemila marchi d’argento, un prezzo effettivamente consono se si fosse raggiunto il numero di truppe previste.

Dal momento in cui fu stipulato l’accordo le cose però iniziarono ad andare male: il comandante designato della crociata morì e venne sostituito dal marchese Bonifacio del Monferrato comandante di grande prestigio e appartenente a una famiglia che aveva in precedenza già dato crociati, ma era anche amico e suddito di Filippo di Svevia, fratello del defunto Enrico VI, che a sua volta aveva sposato Irene Angelo, figlia del precedente imperatore bizantino Isacco II deposto, accecato e imprigionato dallo zio Alessio III. Il fratello di Irene, che si chiamava anche lui Alessio, riuscì a sfuggire alla sorveglianza dello zio e si presentò alla corte del cognato con la proposta di appoggiare la crociata se questa interveniva a Costantinopoli per rimettere sul trono il padre; l’idea fu presentata la Papa che però, considerandola un pericoloso diversivo dall’obiettivo egiziano, la respinse e la cosa parve morire lì. Intanto però quando nel 1202 iniziarono a radunarsi i primi contingenti nei pressi di Venezia ci si accorse che i numeri erano molto inferiori alle aspettative, è probabile che la lunga attesa e la sensazione che nessuno dei capi della crociata (i grandi monarchi d’Europa avevano evitato d’impegnarsi) avesse i mezzi necessari per reclutare i mercenari previsti smorzò gli animi di chi aveva preso la croce. Alla fine risultarono presenti all’appello circa un terzo dei fanti previsti più millecinquecento-milleottocento cavalieri, un numero che avrebbe potuto comunque portare avanti la spedizione dato che l’Egitto attraversava una grave crisi economica e Alessandria era pressoché indifesa, ma ciò che mancava erano trentaquattromila marchi per pagare i veneziani i quali misero in chiaro che finché non fosse stato saldato il debito nessuna nave avrebbe preso il mare. In effetti Venezia aveva fatto sforzi enormi per approntare la flotta, sacrificando i commerci e mettendo a rischio i rapporti con l’Egitto con cui faceva ottimi affari, ed era quindi intenzionata a avere fino all’ultimo marco che gli era stato promesso. La crociata neanche era iniziata che già si trovava bloccata perché i veneziani erano irremovibili e minacciavano di tagliare i viveri se i debito non veniva saldato cosa che però era impossibile perché, nonostante la tassa di Innocenzo III e le donazioni di tasca propria dei capi della spedizione, non si era in grado di raggiungere la cifra finale.
A questo punto però salì in cattedra il Doge Enrico Dandalo che, sebbene avesse superato i novant’anni e fosse quasi cieco, era uno degli uomini politici più astuti e d’esperienza di tutto l’occidente; valutando che, se la crociata si fosse sciolta, Venezia non avrebbe comunque visto un soldo offrì ai comandanti un’alternativa: gli sarebbe stato permesso di prendere il mare se prima di puntare sull’Egitto avessero fatto tappa sull’isola di Zara per riconquistarla agli ungheresi in nome della Serenissima. Il problema era che Zara era una città cristiana appartenente a un regno cristiano il cui re aveva preso la croce e quindi la Chiesa non poteva permettere che fosse usato un esercito crociato per attaccarla, ma il pericolo di veder naufragare l’intera impresa spinse i crociati ad accettare l’offerta sebbene i casi di coscienza e le defezioni furono molte. Nell’Ottobre 1202 così, uniti a truppe veneziane guidate dallo stesso doge, i crociati presero il mare sbarcando a Zara un mese dopo trovandovi però ad attenderli una lettera del Papa che gli proibiva categoricamente di attaccare qualsiasi città cristiana il che però non impedì l’assedio e la caduta di Zara il 24 novembre (con spartizione del bottino tra veneziani e crociati), ma ciò portò a nuove e importanti defezioni come quella di Simon de Montfort futuro capo della crociata contro gli albigesi.

Ormai era quasi inverno e quindi si decise di attendere la bella stagione sull’isola ed è qui che si presentarono gli inviati di Alessio Angelo che ripeterono l’offerta già fatta arricchendola però con la promessa di sanare lo scisma, di pagare a veneziani e crociati duecentomila marchi d’argento, di garantire un anno di approvvigionamenti e un esercito greco di diecimila uomini e cinquecento cavalieri per l’attacco ad Alessandria. Chiariamo l’obiettivo dei crociati era ancora l’Egitto, ma quella seconda deviazione non gli dispiaceva perché, se avesse avuto successo, avrebbe permesso di rilanciare la crociata in grande stile mentre Enrico Dandalo intravide subito la possibilità di ottenere il riconoscimento definitivo del monopolio commerciale veneziano con l’oriente a scapito di genovesi e pisani. Il problema era che questo avrebbe voluto dire andare una seconda volta contro gli ordini del Papa quando già avendo attaccato Zara i crociati erano automaticamente incorsi nella scomunica; i vescovi aggregati all’esercito si precipitarono a Roma per spiegare la situazione a Innocenzo III il quale, sperando ancora di poter rimettere la spedizione sui giusti binari, si disse disponibile a rimettere la scomunica, tranne che per i veneziani, se si fosse restituita Zara agli ungheresi e  si fosse subito proceduto verso l’Egitto senza invadere alcun altra terra cristiana. I crociati però erano ormai fuori dal controllo del Papa e Bonifacio del Monferrato decise né di riconsegnare Zara né di rendere nota la scomunica nei confronti dei veneziani, che ormai erano divenuti uno dei contingenti numericamente più importanti, con l’argomento che altrimenti l’intera spedizione sarebbe fallita. Così nell’Aprile 1203 i crociati partirono per Costantinopoli, nonostante che fosse in viaggio una nuova missiva di Innocenzo III che ribadiva il divieto di attaccare terre cristiane citando stavolta esplicitamente l’impero bizantino, sbarcando sul Bosforo il 24 Giugno per poi attaccare Galata ai primi di Luglio rompendo la gigantesca catena tesa all’ingresso del porto per impedire l’ingresso di flotte ostili. I veneziani ne approfittarono per occupare il porto e presero d’assalto le mura, ma dovettero indietreggiare quando seppero che i bizantini avevano attaccato i crociati. Nonostante che la battaglia fosse tutt’altro che persa l’Imperatore Alessio III, pavidamente, abbandonò la città permettendo così ad Alessio Angelo di liberare il padre, che fu alquanto contrariato nel sapere quanto il figlio aveva offerto, e salire al trono come co-imperatore.

Sembrava che dopo tanti problemi la situazione dovesse finalmente volgere al meglio per i crociati i quali decisero di svernare a Costantinopoli per poi riprendere finalmente verso l’Egitto; anche Innocenzo III pareva essersi messo il cuore in pace abbandonando i toni da scomunica e limitandosi a una reprimenda chiedendo ai crociati di fare ammenda dei loro peccati prima di procedere verso la loro destinazione. Nessuno aveva però fatto i conti con l’insofferenza dei locali contro i latini e l’imperatore da loro installato sul trono, tutto ciò che Alessio Angelo aveva promesso sembrava infatti fatto a posta per scatenare l’indignazione della popolazione; la garanzia della sottomissione della chiesa ortodossa a Roma e l’ingente pagamento da effettuare erano al di fuori delle possibilità di Alessio Angelo che ben presto si trovò stretto tra una città sull’orlo della rivolta e i crociati che rifiutavano ogni proroga al versamento della prima rata. Alla fine l’insurrezione scoppiò in Agosto divenendo un gigantesco pogrom anti-latino che si concluse con l’uccisione del co-imperatore e l’installazione sul trono di Alessio V Ducas, genero del precedente imperatore Alessio III, il quale immediatamente ruppe ogni relazione coi crociati che quindi si trovarono di nuovo bloccati nell’impossibilità di proseguire il viaggio e a corto di rifornimenti. L’unica soluzione che si presentava a quel punto era di prendere d’assalto Costantinopoli e impiantare un nuovo imperatore scelto però stavolta all’interno delle file dei crociati, i preti al seguito dell’esercito misero in campo una serie di scuse puerili, batterono molto sul fatto che i bizantini fossero scismatici, per convincere i recalcitranti a questa ennesima disobbedienza agli ordini del Sommo Pontefice. Fatto però molto più importante fu che Enrico Dandalo e i capi della spedizione stipularono un accordo in cui mettevano nero su bianco ogni aspetto della divisione dell’impero e del bottino una volta conquistata la città: i veneziani avrebbero avuto i tre quarti del bottino fino alla compensazione completo del loro credito dopodiché il restante sarebbe stato diviso in parti uguali, una commissione di dodici elettori avrebbe dovuto scegliere il nuovo imperatore a cui sarebbe andato un quarto dell’Impero e di Costantinopoli mentre i restanti tre quarti sarebbero stati divisi a loro volta tra crociati e veneziani. Oltre a ciò il Doge riuscì a ottenere tanti e tali privilegi commerciali e politici da rendere di fatto il futuro Impero Latino completamente dipendente da Venezia.

E’ probabile che su trentunomila uomini giunti sul Bosforo vi fossero almeno dodicimila combattenti a cui andavano aggiunti almeno seimila occidentali, fuggiti dalla città durante la rivolta anti-latina, in grado di portare armi su un
totale di quindicimila rifugiati. L’attacco ebbe inizio il 9 Aprile 1204 contro le mura del porto, la mura teodosiane esterne erano considerate imprendibili, e, sebbene fallì, venne ripreso con maggior decisione il 12 usando le navi per assaltare le torri con dei ponti volanti;  verso sera i crociati riuscirono a irrompere in città e il giorno dopo, di fronte alla fuga dell’Imperatore, le difese bizantine si dissolsero così che la battaglia si trasformo in un orribile saccheggio che sarebbe durato tre giorni. Chiese, palazzi e case private furono sistematicamente depredate senza risparmio neanche per le reliquie dei santi di cui la città traboccava e i frutti di questo immenso sacco possono ancora oggi essere ammirati a Venezia, dove furono portati molti tesori bizantini tra cui la famosa quadriga di Piazza San Marco che ornava l’Ippodromo di Costantinopoli (e che nel 1797 sarebbe stata a sua volta rubata da Napoleone).

Padroni ormai della città crociati e veneziani passarono a spartirsi il bottino secondo gli accordi e ad eleggere il nuovo imperatore nella scialba figura del conte Baldovino delle Fiandre gradito a tutti perché capace di essere d’ostacolo a nessuno. Chi fece la parte del leone nella spartizione dell’Impero bizantino furono i veneziani  che si presero i tre ottavi di Costantinopoli, con ampi diritti di estraterritorialità fiscale e giudiziaria, e occuparono tutti i luoghi commercialmente strategici come le isole dell’Egeo, i porti dell’Ellesponto  e del Peloponneso oltre che le città di Durazzo e Ragusa; in seguito avrebbero anche acquistato Creta da un Impero Latino alla disperata ricerca di fondi per la sua sopravvivenza e per questo non pare esagerata l’affermazione che il Doge era divenuto “signore della quarta parte e mezza dell’impero romano”. Teoricamente la crociata avrebbe dovuto ancora procedere verso l’Egitto, ma ormai nessuno aveva più la forza e la voglia di continuare con quell’impresa, soprattutto ora che si era racimolato un bel bottino, e così mestamente il legato papale svincolò i crociati dalla promessa di liberare Gerusalemme mettendo così fine alla quarta crociata.

A questo punto però bisogna chiedersi di chi fu la colpa del perché una spedizione contro gli infedeli si trasformò in una guerra tra stati cristiani? Gli storici hanno di volta in volta indicato vari colpevoli: Bonifacio del Monferrato, Alessio Angelo, Filippo di Svevia, Enrico Dandalo e persino Innocenzo III che sicuramente tra tutti è il più incolpevole dato che tentò disperatamente fino all’ultimo di ricondurre la spedizione sulla retta via restando inorridito dal sacco di Costantinopoli che condannò esplicitamente; al massimo al Papa si può imputare di essere stato il promotore di un piano eccessivamente ambizioso che conteneva già al suo interno i germi del disastro. Il grande accusato è stato invece Enrico Dandalo che avrebbe tramato per dirottare la crociata contro Costantinopoli e questa è stata la tesi anche del grande bizantinista Ostrogorsky il quale ha affermato che il doge era intenzionato a sfruttare la situazione per abbattere l’Impero bizantino sin dal momento in cui aveva sottoscritto l’accordo con i crociati con cui si impegnava a portarli in Egitto. Per quanto apprezzi enormemente la Storia dell’Impero Bizantino di Ostrogosky, libro che consiglio vivamente, ritengo che su questo argomento sconfini nella dietrologia perché certamente Enrico Dandalo era un politico brillante, ma gli si concedono anche doti profetiche per aver potuto immaginare prima che i crociati non avrebbero avuto i soldi per pagare il debito contratto e poi che Alessio Angelo si sarebbe presentato offrendo Costantinopoli su un vassoio d’argento. Sicuramente il doge a un certo punto intuì che la spedizione poteva essere sfruttata dalla Repubblica per accrescere il suo potere, ma supporre che questo fosse sin dall’inizio il suo piano mi pare eccessivo e condivido molto più l’opinione di Riley-Smith il quale crede che l’esito della quarta crociata sia stata il prodotto di una serie di circostanze che si sono accatastate l’una sull’altra fino alla catastrofe finale.

L’Impero latino ebbe una vita breve ed effimera crollando appena sessant’anni dopo la sua fondazione quando, abbandonato da tutti, finì per cedere di fronte al ritorno di fiamma dei bizantini. La quarta crociata ebbe però delle conseguenze durature e di grande importanza per la storia perché cancellò definitivamente ogni speranza di una ricucitura dello scisma tra oriente ed occidente, infatti per i greci i cristiani divennero gli odiati conquistatori e il Papa il mandante dell’intera operazione per cui la difesa della chiesa ortodossa contro ogni velleità di riunificazione con Roma divenne un dogma anche contro gli Imperatori bizantini che avrebbero cacciato i latini. Soprattutto però la quarta crociata inflisse una ferita fatale nel corpo già malconcio dell’Impero bizantino perché, anche dopo aver riconquistato il cuore dell’Impero, esso non riuscì mai a restaurare la sua unità politico-amministrativa e iniziò ad essere lentamente rosicchiato dai turchi ottomani finché nel 1453 i bastioni di Teodosio cedettero difronte all’artiglieria di Maometto II chiudendo i quattordici secoli di storia dell’Impero Romano. Gli unici ad uscire vincitori dalla quarta crociata furono i veneziani che gettarono le basi per quell’impero commerciale nel Mediterraneo che avrebbe portato la Serenissima all’apice della sua gloria e sarebbe durato fino al Trattato di Campoformio del 1796 quando Napoleone ne consegnò i resti all’Austria gettando nello sconforto l’Ortis di Foscolo, ma questa è un’altra storia.

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