Di Carlo Bonaccorso
Dopo aver esaminato la nascita, l’evoluzione e il contesto nel quale crebbe il Fascio rurale meglio organizzato, ovvero quello di Piana dei Greci, si ritiene utile fare altrettanto con quello maggiormente rappresentativo della zona mineraria; la quinta pubblicazione, dunque, riguarderà il Fascio di Grotte. Tale contributo meriterebbe di certo tempo maggiore, se non altro per lo studio e la ricerca ancora più approfondita che un lavoro su larga scala richiede, soprattutto per quel che concerne il contesto locale, la composizione sociale, nonché la conoscenza di cifre e numeri quanto più veri possibili. La documentazione disponibile sul fascio di Grotte è di non facile reperibilità, ma all’interno di questo lavoro di ricerca e pubblicazione che si sta affrontando sui fasci, non si esclude un esame più dettagliato in futuro. Prima di addentrarci, dunque, nel borgo agrigentino, è necessario presentare le condizioni dei lavoratori delle miniere in Sicilia negli anni ’90 dell’Ottocento.
Concentrate soprattutto nella Sicilia centrale, tra il nisseno, l’ennese e l’agrigentino, con qualche eccezione anche nel palermitano (Lercara Friddi) e nel catanese, le zolfare siciliane erano tra le più produttive a livello europeo e mondiale (1) dando lavoro a migliaia di operai divisi tra picconieri e carusi (50mila famiglie vivevano del lavoro delle miniere (2)); il coltivatore gestiva direttamente la miniera per conto del proprietario, rifacendosi sui lavoratori per i torti subiti. Il picconiere veniva pagato non più di 2-3 lire massimo per 9 ore di lavoro (il caruso massimo 2), per cinque giorni alla settimana, meno le trattenute applicate dal coltivatore (spesso vere e proprie angherie come, ad esempio, quelle legate agli acquisti obbligati di materiale da lavoro nelle botteghe della miniera, dove i prezzi erano più alti rispetto a quelli in paese) che arrivavano a togliere più del 10% del salario (3), lasciando il lavoratore nella miseria più grande. Il caruso, giovane che non superava i tredici anni d’età, era alle dirette dipendenze dei picconieri secondo la becera usanza del soccorso morto o altrimenti detto affittanza della carne umana: il picconiere pagava alla famiglia del caruso la somma di 150 lire, diventando padrone indiscusso del giovane; a quest’ultimo veniva dato il pesante compito di trasportare all’esterno i carichi di zolfo che potevano raggiungere i 20kg di peso, con pesantissime ripercussioni sulla crescita fisica; se il picconiere si comportava da padrone, non di rado tra i due si creava un rapporto molto forte, simile a quello padre-figlio.
I lavoratori delle miniere erano una delle categorie più attive all’interno del panorama rurale isolano; la serie di scioperi registrati tra il 1879 e il 1889, prevalentemente per l’aumento del salario e l’abolizione del pagamento in natura, fecero salire la Sicilia ai primi posti sul piano nazionale nella graduatoria degli scioperi; nonostante tra produttore e lavoratore non scorresse buon sangue, non rari erano gli episodi nei quali i primi partecipavano alle proteste, lamentando anch’essi i torti subiti da parte del padrone. La crisi economica che farà crollare il prezzo dello zolfo (nel 1891 era sceso a 112 lire rispetto alle 141 del 1875 (4)), contribuì alla nascita del fascio e sentenziò l’unione tra le due categorie che portò poi i minatori e i coltivatori all’elaborazione del documento rivendicativo durante il I Congresso degli zolfatari (che vedremo successivamente, nel dettaglio, nel saggio ad esso dedicato); per i produttori, la creazione di una banca mineraria che ponesse gli esercenti al riparo dalle sopraffazioni e dallo strozzinaggio degli esportatori e dei magazzinieri, era questione primaria (5).
La nascita e diffusione dei fasci nelle zone minerarie avvenne nella primavera – estate del 1893 grazie alla propaganda di figure importanti quali Agostino Lo Piano Pomar (dirigente del Fascio di Caltanissetta); Adolfo Rossi, nella sua inchiesta sui fasci, nel descrivere l’arrivo al fascio di Campobello di Licata e successivamente la visita alla miniera vicina, affermò “Ci accompagnavano senza grida incomposte, ragionando seriamente della loro posizione. Al mio fianco camminava un intelligente ragazzo che portava una tabella infissa sopra un’asta, con la scritta: “L’avvenire è per noi”. Un’altra tabella recava i versi del canto dei lavoratori: “Se divisi siam canaglia, Stretti in Fascio siam potenti”.” (6)
Il Fascio più importante della zona, sia per numero di iscritti, sia per l’alta concentrazione di lavoratori delle miniere, fu quello di Grotte, nell’agrigentino.Qui il fascio (che arrivò a contare più di tremila iscritti) si formò nel 1892, presieduto da Giovanni Battista Castiglione. Paese di diecimila abitanti, ebbe sempre un ruolo guida negli scioperi degli zolfatari, anche grazie all’incessante lavoro di esponenti socialisti come Rinaldo Di Napoli, maestro elementare, che contribuì enormemente alla creazione dei fasci nella zona (tra cui quello ben organizzato di Milocca, oggi Milena). Arrestato nel settembre 1893 dopo un discorso definito “pericoloso” dalle autorità, il Nostro non ebbe il tempo di organizzare gli scioperi decisi dopo il Congresso di Grotte per la repressione che a gennaio del 1894 colpì i fasci.
Per comprendere la nascita del fascio a Grotte, bisogna inoltre tornare indietro agli anni ’70 dell’Ottocento, quando il borgo agrigentino diventò teatro di uno scisma religioso che influì all’interno della società grottese, passato alla storia come “Scisma di Grotte”.
La religione occupava, nella vita degli abitanti, un ruolo fondamentale; qui però oltre al clero cattolico, vi era una forte componente valdese (confessione cristiana protestante che si rifà ai dettami professati da Valdo di Lione) da sempre attiva nel sociale. A Grotte venne eretta una Chiesa Valdese per opera dell’ex prete Stefano Di Mino e di Luigi Sciarratta, entrambi protagonisti dello scisma, coadiuvati dal minatore Giuseppe Licata che, convertitosi al protestantesimo valdese con la famiglia, contribuì alla diffusione del credo in paese (7). Sostenuti dal pastore valdese di Caltanissetta, Stefano Revel, Di Mino e Sciarratta ebbero un notevole seguito soprattutto tra gli operai minatori. E fu proprio Di Mino che, a metà degli anni Settanta, fondò il Circolo Operaio “Savonarola”, professando un protestantesimo che si rifaceva a principi socialisti e che si diffuse rapidamente tra i lavoratori: “Richiamandosi alla comunione dei beni in Cristo, predicava un evangelismo socialisteggiante, e introducendo in tal modo fra quei minatori orientamenti favorevoli alla diffusione delle idee socialiste.” (8)
Le lotte dei minatori grottesi coinvolsero non solo gli abitanti del borgo, ma si estesero in tutto il circondario, arrivando a coinvolgere anche i contadini; categoria, quest’ultima, vicina, nel bene e nel male, ai minatori, spesso ex lavoratori della terra che abbandonarono il vecchio mestiere per lavorare nelle zolfare. Già intorno agli anni ’70 dell’Ottocento, molti ex contadini erano impiegati nelle miniere e quei vecchi picconieri, una volta commiserati dagli stessi lavoratori della terra, da quel momento si facevano chiamare “mastri” alla stregua del “massaro”. Tutto questo spiega la collocazione all’interno del latifondo delle lotte degli zolfatari.
In conclusione, dunque, lo scisma occupò un posto rilevante all’interno del processo d’emancipazione dei lavoratori di Grotte, culminato con la nascita del Fascio; la diffidenza del clero cattolico nei confronti delle misere condizioni dei lavoratori fu la causa principale di tale rottura; nel corso degli anni anche la Chiesa Valdese cominciò a perdere molto del suo carisma passato portando lo scisma, come affermò Massimo Ganci “ad estinguersi per consunzione interna”. Il laicismo che si diffuse all’interno della cultura grottese contribuì a rafforzare la coscienza operaia nei lavoratori che continuarono a portare avanti negli anni successivi, le lotte sindacali.
NOTE:
1) Pietro Maccarrone nella sua opera Fasci siciliani e lotte dei cattolici, edizioni Makar, Biancavilla, 2007, porta cifre impressionanti: prendendo come riferimento l’anno 1892, su una produzione mondiale di zolfo di 460.785 tonnellate, 378.359 (pari ai quattro quinti) venivano prodotte in Sicilia.
2) Napoleone Colajanni, Avvenimenti di Sicilia e loro cause, Sandron, 1895
3) Salvatore Francesco Romano, Storia dei Fasci siciliani, edizioni Laterza, Bari, 1959
4) Gaetano Natale, La questione sociale e la crisi del Parlamento dal 1890 al 1900, pag. 192
5) Pietro Maccarrone, I Fasci siciliani e lotte dei cattolici, edizioni Makar, Biancavilla, 2007
6) Adolfo Rossi, Agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci Siciliani, Max Kantorowick, Milano 1894
7) Società di Studi Valdesi, Dizionario Biografico dei Protestanti in Italia
8) Salvatore Francesco Romano, Storia dei Fasci siciliani, op. cit., pag. 71
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