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Storia dei Fasci siciliani dei lavoratori – Le agitazioni operaie e lo sciopero dei contadini del 1893

Di Carlo Bonaccorso

La nuova pubblicazione è incentrata sulle agitazioni che operai e contadini misero in atto in Sicilia negli anni precedenti alla nascita dei fasci dei lavoratori, fino allo sciopero contadino del 1893 definito dallo storico Francesco Renda “il primo grande sciopero dell’Italia capitalista”1. Tale saggio risulta estremamente importante in quanto ci permette di capire la forte incidenza che il movimento dei lavoratori organizzato ebbe all’interno della società siciliana e nazionale, quando per un momento le classi lavoratrici diventarono protagonisti della storia, provando a rovesciare quel sistema che li aveva sempre soggiogati: “Coi Fasci ha inizio quel periodo di gravi turbamenti della società nazionale, e di profonde lacerazioni della direzione politica ai vertici dello Stato, che solo verrà composta con gli inizio del nuovo secolo.”2

Il contesto politico liberale borghese vedeva nei fasci una minaccia all’ordine sociale; ma se il governo Giolitti, in carica fino al novembre 1893, si limitò a controllarli operando di tanto in tanto arresti e perquisizioni (nello stesso anno inviò in Sicilia il Direttore Generale di Pubblica Sicurezza Sensales), il secondo inviò il Generale Morra di Lavriano per instaurare lo stato d’assedio che decretò la fine del movimento contadino dei Fasci.

Che le associazioni operaie in Sicilia fossero tutt’altro che inesistenti prima dei Fasci siciliani, questo è ampiamente dimostrato. La loro nascita alla fine dell’Ottocento non fu improvvisa, né tanto meno inaspettata; nelle grandi città (Palermo, Catania e Messina) l’attivismo operaio era già presente come conseguenza dei miseri salari e delle tante ore di lavoro cui erano costretti, tuttavia, risultava estremamente frammentato e poco compatto, come a Palermo: “Già nel 1873 il giornale “Il Povero”, gestito da operai della Fonderia Oretea (stabilimento metallurgico di proprietà Florio), aveva lanciato la proposta di unificare in un’unica organizzazione che raggruppasse sezioni di mestieri; ma anche altre aree politiche propugnavano la medesima cosa, come gli anarchici, i repubblicani.”3
Ma ancor prima vi furono esperienze di associazionismo come, ad esempio, quella operata nel 1864 da Giuseppe Badia, figura carismatica repubblicano – democratica che tentò di riunire in un’unica famiglia il maggior numero di sodalizi operai riformando lo Statuto delle Società Operaie con l’obiettivo di collegare le associazioni siciliane con quelle inglesi e francesi per la formazione dell’Associazione internazionale dei lavoratori, passata poi alla storia come Prima Internazionale.4

Fu quindi in questo contesto che il Fascio dei lavoratori locale si formò, inaugurando la sua nascita con quello che oggi definiremmo corteo, ma che a quei tempi veniva chiamata “passeggiata”, accompagnata da bandiere e cartelli “una marcia di operai che attraversando tutto Corso Vittorio Emanuele, arrivò al Municipio per prelevare il gonfalone lasciato dagli operai milanesi venuti in Sicilia per l’Esposizione Nazionale ad inizio anno, affinché venisse dato all’organizzazione operaia più forte.” 5 Quei milanesi erano Alfredo Casati e Carlo Della Valle, noti agitatori che nel 1892 arrivarono a Palermo per l’Esposizione Nazionale e per il Congresso Nazionale delle 689 Società Operaie Affratellate il quale decretò il distacco dalle idee mazziniane della classe operaia, che si indirizzò verso il socialismo.

La nascita del fascio palermitano (qui per saperne di più sulla sua costituzione (https://www.restorica.it/novecento/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-il-fascio-di-palermo/ ) fu, per molti storici, la naturale evoluzione di quel progetto cominciato nel 1860 a Corleone con la costituzione della Società di Mutuo Soccorso “Francesco Bentivegna” che diede a tutta la provincia la spinta per la costruzione delle prime basi organizzative operaie; ed in effetti fu Corleone, insieme a Piana dei Greci, il fulcro della lotta dei fasci nelle campagne. Vi era dunque la presenza, dunque, di consolati operai in città “A Palermo le società operaie non mancavano; il Consolato Operaio, infatti, creato nel 1882 e di ispirazione democratico-radicale, era una realtà ben strutturata; tuttavia, la sua attività si limitava a quella di “organo garante” dei rapporti tra lavoratori e capitalisti, non andando aldilà di essi. Era così a Palermo, era così in tutta la Sicilia dove le numerose società di mutuo soccorso presenti nell’isola, spesso creazioni clientelari di politici locali, non svolgevano effettiva azione di rivendicazione e difesa dei diritti dei lavoratori.”6 A Palermo, così come a Catania, Messina e in misura minore a Trapani, negli anni antecedenti al 1892 si registrava la presenza di diverse associazioni che seppur simili alle Società di mutuo soccorso nei sistemi organizzativi, se ne distaccavano nelle rivendicazioni e nei metodi di lotta. Diverse furono le manifestazioni che si registrarono di disoccupati o di lavoranti sarti e fornai: “A Messina, a Catania e a Palermo i lavoratori disoccupati percorrono spesso le vie della città recando in silenziosa processione, scritte reclamanti “Pane e lavoro”, o scioperano i lavoranti sarti e i lavoranti fornai” 7.

L’aumento del numero di disoccupati che si registrò nelle città siciliane, aumento dovuto alla chiusura di diverse attività, (come causa di politiche economiche volte a favorire il settentrione d’Italia) tra cui quelle tessili a Messina e Palermo8, quelle della lavorazione di lino e canapa a Catania9, di fabbricatori di carrozze ad Agrigento10 o di costruzioni di botti a Trapani11, in parte venne assimilato dall’industria nascente metallurgica e meccanica, o pastaia ed anche zolfifera e ferroviaria. I più colpiti però erano gli strati artigiani che pagavano le conseguenze della concorrenza con le fabbriche del settentrione, maggiormente produttive, che li spinse sempre più verso la povertà, in virtù di un aumento del costo della vita impossibile da sostenere.

A Palermo l’attivismo operaio era concentrato soprattutto negli stabilimenti metallurgici della Fonderia Corsi e della Fonderia Oretea (che usufruivano, in maggioranza del trattamento salariale minimo di L. 2,50), oltreché negli stabilimenti industriali della Navigazione Generale. Tuttavia, diverse furono le categorie che avevano dato segno di profondo disagio, manifestando il bisogno di far sentire la propria voce; ancor prima della nascita del fascio palermitano, nel gennaio1892 in città si ebbe uno sciopero di 200 lavoratori del forno Spadaro che chiedevano “pane e lavoro”, ma a farsi sentire vi erano anche murifabbri, lavoranti calzolai, pastai, tutte categorie che andarono a comporre in misura maggiore il fascio cittadino.12 Nel luglio del 1892 i lavoratori della Fonderia Corsi entrarono in sciopero per chiedere il pagamento a giornata anziché a cottimo e la regolarità nel pagamento dei salari; in alternativa, si chiedeva il cottimo con un minimo di L. 12 (invece di 5) ogni 100 kg; Rosario Garibaldi Bosco figura già da tempo conosciuta negli ambienti operai cittadini13, Presidente del Fascio, decise di sostenere la protesta ottenendo subito numerose iscrizioni. Il Corsi tuttavia non cedette, arrivando così a promettere unicamente il pagamento regolare degli stipendi ogni sabato mattina14. Anche se non si ottenne un pieno successo, la protesta suscitò scalpore e diede al Fascio la possibilità di crescere e di mostrarsi come punto di riferimento delle lotte operaie. Esso si prodigò negli scioperi dei tagliapietre e dei sommaccai (settembre 1892) per la riduzione delle ore di lavoro e condusse l’agitazione dei braccianti impiegati nella bonifica della palude di Mondello.

La lotta dei lampisti fu un chiaro esempio di conduzione organizzata: “Gli operai della fabbrica di fanali Savettieri erano entrati in agitazione nel luglio del 1892 contro la riduzione del compenso per il cottimo che il signor Savettieri voleva applicare a tutti gli operai. Licenziati gli operai che si opponevano alla diminuzione, i compagni di lavoro per solidarietà abbandonavano la fabbrica e si mettevano in sciopero. Riunitisi nella sede del Fascio decidevano di porre come condizione per la ripresa del lavoro l’abolizione del cottimo, la riduzione delle multe e la corresponsione di un salario sufficiente ai bisogni della vita. Durante lo sciopero, iniziato il 19 luglio, i lampisti prendevano il giorno 21 la decisione di costituirsi in cooperativa: sottoscrivevano un atto, con il quale ponendo in comune tutti gli strumenti di lavoro, di cui erano individualmente forniti, mettevano su un’officina, la quale si trasferiva più tardi in via Lincoln e continuava a funzionare fino al settembre seguente con sottoscrizioni di 10 centesimi per socio fra i soci delle varie arti.”15

Furono le cooperative lo strumento prediletto del fascio, sia di produzione che di consumo, così come la costruzione di forni cooperativi per la produzione del pane che veniva venduto a prezzo più basso rispetto a quello ordinario, con l’impiego di lavoratori a otto ore giornaliere. Era questo uno strumento fondamentale per dimostrare l’efficienza delle otto ore lavorative (battaglia che il Partito dei Lavoratori Italiani farà sua negli anni successivi). La minaccia di costituirsi in cooperativa fu l’arma maggiormente usata dai lavoratori in sciopero.

Diversa invece era la situazione nei cantieri navali. Nonostante l’intensa attività del fascio all’interno degli stabilimenti con un discreto numero di soci iscritti, fu estremamente difficile guidare le lotte in maniera compatta e questo per la presenza di numerose associazioni operaie formatesi negli anni precedenti, molte delle quali collegate direttamente ai padroni come la Società di mutuo soccorso “Florio”. Nel mese di luglio 1892 la minaccia di chiusura del compartimento marittimo spinse i lavoratori soci del fascio ad entrare in sciopero; lo stesso Bosco scrisse al Ministro Camillo Finocchiaro Aprile: “Fascio lavoratori composto 4000 operai comprendenti quasi totalità operai meccanici e lavoranti Borgo che trovano sussistenza nel compartimento marittimo rivolgono alla signoria vostra senza reticenza voglia dire se veramente nelle nuove convenzioni marittime trovasi condizione che compartimento nostro sia mantenuto. Operai vogliono lavorare tranquilli senza incertezza del domani e dal concittadino attendono risposta franca, leale. Eviteremo così agitazione necessaria per salvaguardare nostri interessi.”16 Nessuna risposta arrivò mai al fascio che continuò l’agitazione denunciando inoltre le continue intimidazioni che i soci subivano all’interno degli stabilimenti, sia dai capi sia dagli stessi lavoratori iscritti alle società controllate dai Florio, plagiati da quel paternalismo padronale che puntava a dividere gli operai. Nessuna delle promesse padronali venne mai rispettata.

A Catania la situazione non era tanto diversa; l’Unione, il giornale diretto da De Felice, pubblicò un’intervista ad un murofabbro il quale presentò una situazione economica tragica: “Con un introito di 465 lire l’anno (calcolando 250 giorni di effettivo lavoro) e segnando la spesa minima di L. 0,45 per un chilo di pasta, L. 0,70 per 2 chili di pane, L. 0,25 per un litro di vino, L. 0,12 per formaggio, olio e carbone, che formavano il totale di 1,53 lire al giorno, si registrava una spesa di L. 558,45 l’anno, cioè immediatamente un debito di 102,45 già solo sull’alimentazione, non calcolando le altre spese fisse della pigione, del vestire e della luce.”17 Anche qui la nascita del fascio (qui per saperne di più https://www.restorica.it/novecento/sroria-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-il-fascio-di-catania/ ) fu la naturale evoluzione dell’attivismo operaio presente già danni in città: “La nascita del fascio catanese fu il prodotto di un lungo lavoro all’interno della classe operaia cittadina, molto attiva negli anni precedenti; le numerose società popolari presenti che confluirono successivamente nel Fascio ne sono chiara dimostrazione: “I Figli del lavoro”, “I Figli della pace” (fornai), “Figli della speranza” (conciapelli), “Onestà e lavoro” per citarne alcune; associazioni di arti e mestieri e associazioni democratiche si ritrovarono così all’interno di un’unica organizzazione, vedendo piccola borghesia urbana e ceti popolari uniti nelle lotte. Un processo chiaro e ben definito, voluto dal fondatore del fascio catanese, Giuseppe De Felice Giuffrida.”18

Nel 1886 l’associazione I Figli della Pace scioperò contro i padroni dei forni, ottenendo un aumento salariale; anche le associazioni dei lavoratori edili aveva mostrato un forte attivismo, così come quella degli operai delle Ferrovie Sicule, categoria particolarmente cara a De Felice. La nascita del Fascio catanese raccolse queste categorie, organizzandone le lotte. Nel dicembre del 1892 due dei suoi maggiori esponenti, Macchi e Duso, si recarono dal Prefetto per sostenere la lotta degli zolfatai e più tardi guidarono una nuova agitazione dei fornai; nel novembre del 1893 il fascio guidò la protesta degli edili che si concluse con la stipula di un contratto accettato da entrambe le parti.19

Anche Messina visse analoghe situazioni legate soprattutto ai lavoratori portuali che videro l’antica attività del porto ridursi in maniera drastica negli anni, portando ad un forte aumento della disoccupazione; caricatori e scaricatori di grani e agrumi (che lavoravano per non più di tre mesi l’anno), così come i barcacceri, trovarono nel fascio istituto da Nicola Petrina nel 1889 lo strumento per far sentire la loro voce. Nel marzo del 1893 e nel maggio dello stesso anno scioperarono in 200, guidati dal fascio, non ottenendo però nessuna garanzia. Ma a Messina già anni prima vi erano state manifestazioni di protesta quale quella dei pastai che nell’aprile del 1889 avevano ottenuto miglioramenti salariali dopo dieci giorni di sciopero; poco dopo anche i fornai scioperarono, riuscendo ad ottenere l’imposizione di una tabella minima di salari; il 4 luglio a scioperare erano 250 pescatori contro i dazi sul pesce fresco; qui subentrò il fascio che tramite il suo giornale Il Vespro denunciò in maniera massiccia le condizioni dei pescatori; il fascio appena costituitosi20, ottenne subito numerose iscrizioni, ma dovette sospendere poco dopo le attività per l’arresto di Nicola Petrina.21

Per quanto riguarda Trapani, qui vi era un discreto numero di associazioni di categoria antecedenti ai fasci, di estrazione democratica – radicale soprattutto, attive principalmente negli anni tra il 1870 ed il 1880; se però i democratici si allontanarono gradualmente dai bisogni della classe lavoratrice, radicali ed anarchici (in special modo a Marsala) si radicarono tra i lavoratori e crebbero di numero.22 Proprio dall’area radicale si sviluppò quella corrente socialista che trovò in Giacomo Montalto la sua figura di riferimento. Fondatore del giornale L’Esule (poi Il Mare dal gennaio 1893) e successivamente del Fascio di Trapani (settembre 1892), egli lavorò incessantemente per organizzare i lavoratori in un’unica formazione. Nel trapanese le maggiori attività cittadine riguardavano il piccolo artigianato; l’unica industria massiccia presente faceva riferimento all’opificio di Favignana per la preparazione in olio del tonno, gestita dalla famiglia Florio, seguita poi da quella dei capitalisti inglesi Woodhouse e Ingham impegnati nella produzione di vini di pregiata qualità a Marsala.

Le conseguenze della crisi del 1891 – 92 non ricaddero tanto su queste grosse realtà industriali, quanto invece sulle piccole attività che subirono un fortissimo tracollo economico; la chiusura di mercati vitali come quelli tunisini e francesi diede la mazzata finale a moltissimi viticoltori, aumentando il numero di disoccupati. Vi era poi l’industria del sale dove lo sfruttamento dei lavoratori era maggiormente presente; si trattava di più di mille persone impiegate in quel settore, costrette a lavorare dall’alba al tramonto con una paga che non superava lire 1,60. 23 Erano però contadini e pescatori le categorie che presentavano i numeri più alti, essendo agricoltura e pesca i due settori più importanti e redditizi. Di agitazioni nel trapanese ne avvennero già intorno agli anni ’70 dell’Ottocento, ma fu con i fasci che esse si svilupparono secondo un’organizzazione più compatta. Calzolai, carrozzieri, bottai, forgiatori, fabbriferrai, andavano a comporre il numero dei soci del fascio, così come il comitato dirigente che affiancò Montalto e il farmacista Curatolo, figura chiave del socialismo a Trapani.

Se dunque il contesto operaio nelle città presentava questo tipo di situazioni, nei centri rurali e dunque nelle campagne e nelle zone minerarie, l’atmosfera era ancora peggiore. Essendo già entrati nello specifico di questi argomenti (qui i saggi di riferimento sulla campagna sicilina, sul fascio di piana dei greci, su quello di Grotte, sulla strage di Caltavuturo e sui congressi di Corleone e Grotte) andremo ad esaminare nel dettaglio il momento chiave della lotta contadina di fine Ottocento in Sicilia, ovvero il grande sciopero del 1893.

Se già nel periodo antecedente alla formazione dei fasci rurali, contadini e zolfatari avevano fatto sentire la loro voce, adesso però le agitazioni erano compatte e le rivendicazioni ben chiare. Negli anni compresi tra il 1879 e il 1889 gli zolfatari fecero salire la Sicilia al primo posto per numero di scioperi24; i contadini invece, tranne qualche tentativo25, vivevano le loro misere condizioni economiche e sociali con maggiore passività, conseguenza di rapporti angarici cui erano costretti dai gabelloti e dalla borghesia municipale. Ecco perché la diffusione dei fasci in quelle zone ebbe maggiore risalto. E i congressi di Corleone del luglio 1893 e di Grotte dell’ottobre dello stesso anno furono chiara dimostrazione (nonostante le tante pecche) del successo del movimento fasciante siciliano. Se i minatori non riuscirono però ad andare oltre il congresso per la repressione che colpì i Fasci siciliani nel gennaio 1894, 50 mila contadini invece, da settembre a novembre misero in atto un grande sciopero per la piena attuazione dei patti di Corleone decisi nel congresso del 30 luglio 1893. Ancor prima di quello sciopero però, nei mesi passati i fasci avevano già guidato diverse agitazioni contadine, come quelle a Campofiorito dove nel maggio 1893 cento lavoratori della terra protestavano per l’aumento dei salari; poco tempo dopo si aggiunsero anche i mezzadri che rivendicavano miglioramenti contrattuali; la protesta guidata da Bernardino Verro, Presidente del Fascio di Corleone e membro del Comitato Centrale dei Fasci, trovò un punto di svolta nel momento in cui i padroni decisero di aprirsi al confronto, grazie all’opera di mediazione di Verro, salvo poi tornare indietro sui loro passi per un articolo apparso sul giornale del movimento contadino Giustizia Sociale e da loro considerato offensivo.

In una lettera al Sottoprefetto di Corleone, Verro spiegò “Comprendemmo che non si voleva la riunione da parte dei proprietari e comprendemmo pure che i proprietari terrieri benché abbiano accettato la tariffa ultima non intendono rispettarla, anzi la violano spudoratamente sfruttando i poveri contadini, che spossati dalla fame domandano lavoro.”26

La protesta dilagò a Piana dei Greci, Roccamena, Contessa Entellina, Chiusa Sclafani, Bisacquino, Belmonte Mezzagno. Fu proprio da queste agitazioni che il Comitato Centrale, senza mai far trapelare nulla, decise la convocazione di un Congresso, il primo tra contadini, per discutere dei patti agrari e dei salari. Il Congresso fu appunto quello di Corleone.27 Lo sciopero che ne derivò produsse non pochi problemi di tipo economico e politico, decretando di fatto l’entrata nella storia dei lavoratori della terra che fino a quel momento erano relegati ai suoi margini; non erano più soli ma sostenuti da un gruppo dirigente che organizzò e sostenne le lotte, facendosi rappresentante delle loro rivendicazioni davanti ai padroni. Fu lì inoltre che cambiarono profondamente le modalità legate all’elaborazione contrattuale in quanto non erano più scritti e decisi unicamente da proprietari e gabelloti, ma discussi da un’altra controparte.

Se a livello politico i patti di Corleone produssero una rottura con il Partito Socialista28 (che non comprendeva la scelta della mezzadria decisa al congresso, reputata come strumento angarico al pari delle altre tipologie contrattuali29), a livello sindacale e sociale si rivelò devastante. Esso coinvolse le quattro province della Sicilia occidentale, da Corleone e Piana dei Greci fino a Canicattì, da Valledolmo a Caltabellotta. Il palermitano, il trapanese, l’agrigentino e il nisseno andarono a comporre il teatro dello sciopero. L’obiettivo era chiaro: distruggere quei rapporti feudali e garantire protezione all’interno di quelli capitalisti che si stavano prepotentemente instaurando; come ebbe a dire lo storico Salvatore Costanza “I lavoratori si trovavano afflitti nel medesimo tempo dai mali derivanti dall’introduzione di forme capitalistiche nel processo produttivo e dalle conseguenze negative del vecchio assetto semifeudale.”30

Le rivendicazioni uscite fuori da Corleone non puntavano al massimalismo rivoluzionario, ma ad un miglioramento dei patti agrari tramite contrattazioni. I contadini si esentarono dall’andare al lavoro, facendo opera di propaganda tra coloro che invece si mettevano a disposizione dei padroni. E la reazione di quest’ultimi fu dura, ma ancora più forte fu quella messa in atto dai gabelloti che si sentivano fortemente minacciati dai fasci. Si passò dai tentativi di corruzione nei confronti dei dirigenti, alle minacce e all’uso arbitrario delle forze dell’ordine e guardie campestri, usando spesso come mezzo le amministrazioni comunali.31 Ma lo sciopero proseguì compatto. Neanche l’arresto, ad agosto, di Bernardino Verro per un discorso fatto a Palazzo Adriano e considerato sovversivo, fermò l’agitazione. Compiuta la fase di raccolto, i lavoratori si astennero dall’iniziare i nuovi lavori; vennero organizzate colonie frumentarie per raccogliere le offerte in vista del periodo di agitazione. I braccianti e i mezzadri si astenevano da qualsiasi attività lavorativa alle condizioni precedenti32. La resistenza padronale cominciò a sfaldarsi; a Corleone Angelo Streva, Gaetano Palazzo Dara, Antonio Provenzano, Sarzana Marchese di Sant’Ippolito, cedevano e aprivano al confronto; tramite Verro ed il Sottoprefetto Ghizzoni, si organizzarono i primi tentativi di confronto. Anche nelle altre zone, cominciarono ad esserci aperture; quasi sempre i proprietari accettavano i patti di Corleone, tenendo però fuori da essi i terreni migliori. A Milocca (oggi Milena), frazione di Butera, nel girgentano, i contadini riuscirono ad ottenere patti agrari più equi. A perderci però sotto tutti i punti di vista furono i gabelloti e di fatti fu verso di loro che l’agitazione s’indirizzò, soprattutto nell’ultimo periodo.

Nonostante lo sciopero fu non violento ed organizzato nei minimi dettagli (per ogni decisione da prendere, i contadini proclamavano assemblea per discutere insieme le decisioni da prendere), vi furono episodi di scontri duri come a Villafrati, dove la contrapposizione contadini/proprietari e gabelloti fu più dura. Sorto grazie all’opera propagandistica di Verro, il Fascio locale con Presidente il giovane studente di medicina Achille Calandra33, vedeva di fronte cinque famiglie che possedevano i due terzi delle terre: Lo Bue, Ortoleva, Santomauro (sindaco del paese che gestiva le terre anche per conto del conte San Marco) e Forte.34 Il fronte padronale decise di non cedere a nessuna richiesta, adoperandosi in minacce e aggressioni nei confronti dei manifestanti. Il 28 di ottobre una decina di donne, guidate dalla giovane Caterina Costanza si recavano nelle terre del proprietario Forte per parlare con i contadini al lavoro; le forze dell’ordine prontamente chiamate le arrestarono tutte, ma le proteste che infuriarono successivamente portarono alla loro liberazione. A novembre i padroni cominciavano a cedere, nello specifico la famiglia Ortoleva e il sindaco Santomauro che decisero però di trattare direttamente con i contadini non volendo riconoscere il fascio.35

Ancora prima, ad agosto, proprio durante la breve detenzione di Verro, a Santa Caterina Villarmosa, 130 contadini presero l’iniziativa ed occuparono le terre dell’ex feudo Monte Camino di proprietà del Conte Testasecca; presentatisi davanti al proprietario, chiesero la diminuzione nei prezzi di mezzadria. Non riuscendo ad ottenere risposta positiva si diressero verso il paese in un lungo corteo.36 Come spiegò Renda, si trattò di un episodio più spontaneistico che organizzativo, rischioso in quanto avrebbe potuto accendere pericolosi scontri; tuttavia, furono gli stessi contadini a gestire senza eccessi violenti l’azione, dimostrando d’aver ben chiare le modalità organizzative decise durante le assemblee.

A Paceco, nel trapanese, il 29 ottobre numerosi braccianti e piccoli affittuari iscritti al Fascio scioperavano per aumenti salariali e riduzione delle gabelle per le terre; qui l’intervento delle forze dell’ordine, chiamate dai proprietari terrieri, fu violenta: 21 i contadini arrestati poi successivamente rilasciati.37

Frattanto, il 24 novembre 1893 cadeva il governo Giolitti e Crispi s’apprestava a ricevere la carica di Presidente del Consiglio.

Le piccole ma importanti vittorie che i fasci ottennero nello sciopero contadino del 1893 non vennero recepite in Sicilia orientale, dove i fasci locali preferirono non aderire allo sciopero. Lo stesso De Felice e tutto il gruppo dirigente di quell’area, non riuscirono a coinvolgerli nell’agitazione. Durante il Congresso provinciale di Ragusa del novembre 1893, i fasci locali preferirono rimandare la discussione legate ai patti agrari. Il perché di questa scelta è legato alle diverse condizioni sociali presenti in quella zona: essendo la piccola proprietà vinicola e agrumaria maggiormente presente rispetto al latifondo, diversi erano i rapporti contrattuali ed inoltre i braccianti non vedevano di buon occhio una lotta al fianco dei piccoli proprietari. Questo fu indubbiamente un aspetto negativo per il movimento contadino, soprattutto nel siracusano e nel ragusano; qui, infatti, si preferì concentrare le lotte contro i dazi e le tasse comunali, fattore scatenante dei tumulti che nel mese di dicembre scoppiarono in tutta l’isola, in particolar modo nei luoghi dove i fasci non avevano ottenuto una presenza forte e radicata. Si trattò di scontri violenti che provocarono numerosi morti e che portarono allo stato d’assedio decretato il 3 gennaio 1894.

Note:

1 F. Renda, I Fasci siciliani 1892-94, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1977

2 F. Renda, I Fasci, la questione agraria e il Partito Socialista, in I Fasci siciliani, volume primo, relazioni del convegno I Fasci siciliani e la società nazionale (Agrigento 9 – 11 gennaio 1975), Movimento Operaio, De Donato editore, Bari, 1975

3 https://www.restorica.it/novecento/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-il-fascio-di-palermo/

4 G. Oddo, Il miraggio della terra nella Sicilia post – risorgimentale (1861 – 1894), Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2013

5 Ibidem

6 Ibidem

7 R. Marsilio, I Fasci siciliani, Edizioni Avanti, Roma, 1954

8 Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Messina e Palermo, in Annali di Statistica, fasc. 48, Roma, 1893

9 Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Catania, in Annali di Statistica, fasc. IX, 1887

10 Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Girgenti, in Annali di Statistica, fasc. LX, Roma, 1896

11 Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Trapani, in Annali di Statistica, fasc. LXI, Roma, 1896

12 S. F. Romano, Storia dei Fasci siciliani, Editori Laterza, Bari, 1959

13Bosco è un giovinotto grosso e tarchiato, dalla larga faccia rotonda, dal colorito olivastro, capelli neri tagliati corti e baffetti da adolescenti. Era lui l’anima dell’organizzazione dei Fasci e il SUO valore era così noto fra i socialisti che all’ultimo Congresso di Reggio Emilia l’avevano nominato presidente in più d’una seduta. […] Viveva modestamente con la sua famiglia composta dei vecchi genitori, della moglie e d’un bambino. […] A quindici anni era già segretario di tutte le associazioni popolari di Palermo, leggeva i giornali socialisti agli operai, spiegava gli opuscoli e impiegava le domeniche a inoculare ne’ suoi compaesani i germi delle nuove idee.” (Adolfo Rossi, L’agitazione in Sicilia. Inchiesta sui Fasci dei lavoratori, Milano, Max Kantorowicz editore, 1894)

14 Il Socialista, luglio 1892

15 S. F. Romano, op. cit., pag. 275-276

16 Rapporto Questore reggente 19 luglio 1892, n. 40804, ASP Prefettura, 1892, cat. 16, f. 53

17 S. F. Romano, op. cit., pag. 66

18 https://www.restorica.it/novecento/sroria-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-il-fascio-di-catania/

19 Unione, 1892 – 1893

20 Il 29 ottobre 1888 Il Vespro annunciava che le società riunite tra i conciapelli, i meccanici, i falegnami ed i cocchieri deiliberavano di fondare il Fascio Operaio della città e provincia di Messina e quindi non appena solidamente riuniti di fare appello a tutte le associazioni operaie perché vogliano entrare nel Fascio. Il 4 gennaio 1889 con l’acclamazione di Emanuele Pancaldo come Presidente e Nicola Petrina come Segretario, nasceva ufficialmente il Fascio dei lavoratori. Il fascio messinese fu d’ispirazione anarco-socialista. G. Cerrito, I Fasci dei lavoratori nella provincia di Messina, Edizioni Sicilia Punto L, Ragusa, 1989

21 G. Cerrito, op. cit.

22 S. Costanza, op. cit.

23 G. Mondini, Le saline della provincia di Trapani, in Scritti vari, Palermo, tip. M. Amenta, s.d.

24 https://www.restorica.it/novecento/storia-dei-fasci-siciliani-dei-lavoratori-la-campagna-siciliana/

25 Nel 1875, 400 contadini della zona del vallone, nel nisseno, fondarono la “Coalizione dei contadini”, scioperando e astenendosi dal lavoro della semina; la protesta venne repressa per ordine del prefetto di Palermo. Nel luglio del 1882 duemila giornalieri impiegati nella pianura di Catania per il raccolto, scioperarono due giorni per l’aumento della mercede; riuscirono alla fine ad accordarsi con le controparti; nello stesso anno, a Piana dei Greci, vi fu uno sciopero dei contadini per la revisione dei contratti agrari.

26 Lettera di B. Verro al Sottoprefetto di Corleone, 16 maggio 1893, in ASP, Prefettura, 1893, cat. 16, f.39

27 Secondo lo storico Giuseppe Oddo, con i patti di Corleone il prodotto si spostava a favore del contadino del 20%. G. Oddo, Il miraggio della terra nella Sicilia post – risorgimentale, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2013

28 Bisogna sottolineare comunque una poca predisposizione dei Fasci nei confronti del Partito di Turati, nonostante il duro lavoro di propaganda del fascio palermitano, come sottolineato da queste indicazioni: su 177 fasci accertati nel 1893, 66 aderirono al Partito Socialista, un terzo. Nel catanese 3 su 33, nel messinese 1 su 17, nel palermitano 22 su 45, nell’agrigentino 18 su 21, nel nisseno 10 su 22, nel siracusano 7 su 12, nel trapanese 5 su 17. G. Oddo, op. cit.

29 Nel 1893, con il Congresso di Reggio Emilia e Zurigo prima e con quelli poi successivi di Nantes (1894) e Breslavia (1895), il Partito dei lavoratori italiani allontanandosi dal programma agrario di Marsiglia, decise di sostenere unicamente il bracciantato agricolo, tornando così su quelle che erano le prime posizioni lombardo-emiliane, accusando mezzadri e piccoli proprietari di rifiutare la socializzazione della terra preferendo la proprietà individuale. Per i Fasci questo fu un colpo duro; venne a mancare il sostegno della principale forza socialista nazionale che addirittura arrivò a definire i Fasci come un episodio di semplice ribellismo. Le ripercussioni di queste decisioni ebbero effetti pesanti nel lungo periodo, portando successivamente molti dei dirigenti socialisti siciliani verso posizioni autonomiste e federaliste, sostenute peraltro da Napoleone Colajanni.

Il manifesto socialista del 1896 venne redatto in tal senso.

30 S. Costanza, I Fasci dei lavoratori. L’esperienza trapanese 1892 – 94, Associazione per la tutela delle tradizioni popolari del trapanese, Trapani, 1990

31 Lo stesso Prefetto di Palermo sospettò una troppa condiscendenza delle autorità comunali coinvolte, nelle richieste dei proprietari per l’uso della forza contro i contadini. Il Prefetto 16 settembre 1893, n 670, in ASP cat. 20, f.154

32 Rapporti vari ASP, Carte Sottoprefettura, rapporti CC.RR

33 S. F. Romano, op. cit., pag. 308

34 Rapporto delegato P.S. Furia, trasmesso dal Questore al Prefetto, 11 novembre 1893, n. 5427, in ASP, Prefettura, 1893, cat. 16, f. 108

35 S. F. Romano, op. cit.

36 F. Renda, op. cit.

37 Il Mare, periodico socialista

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